Gaetano Salvemini
Gaetano Salvemini
Viva la storia di Molfetta!

Molfetta e il suo figlio più illustre: la storia di Gaetano Salvemini

Al Salone Internazionale del Libro di Torino tributo a Salvemini

Nel recentissimo intervento di apertura del Salone Internazionale del Libro di Torino, il prof. Alessandro Barbero ha concluso il suo discorso parlando della straordinaria capacità dell'essere umano di saper reagire alle catastrofi del mondo.
E lo ha fatto citando il molfettese Gaetano Salvemini: "Salvemini era esule dal 1925, quando si era capito che non si poteva più combattere il fascismo apertamente…Nel 1949 poi Salvemini finalmente torna in Italia. Guarda quell'Italia degli anni '40 e rimane esterrefatto e felice, perché dice di vedere gli italiani al lavoro, quel meraviglioso formicaio umano, che è più rapido a ricostruire di quanto non siano gli altri a devastare. E profetizza che questo Paese si riprenderà con una rapidità che nessuno ha mai sospettato. Il formicaio, conclude, è in piena efficienza".

Non è la prima volta che il prof. Barbero cita nei suoi discorsi il nostro caro concittadino. Nel dicembre 2019, ha tenuto a Barletta persino una lectio magistralis su di lui, in un teatro Curci stracolmo di gente. Barbero lo sottolinea più volte nei suoi interventi: durante la prima metà del 1900, Salvemini era considerato uno degli uomini più importanti e più influenti d'Italia.

Grande storico e meridionalista, eccellente politico, Gaetano Salvemini scampa miracolosamente al terremoto di Messina del 1908, in cui però muoiono sua moglie e i suoi cinque figli. Per alcuni giorni di lui non si sa nulla, tanto che in molti lo danno per morto. Arriva persino un telegramma di condoglianze al suocero, è firmato Benito Mussolini.
Ed invece Gaetano Salvemini sopravvive, e va avanti con il suo lavoro di professore, con la sua attività di ricerca, con il suo impegno politico. Due mesi dopo il tragico avvenimento, scrive ad un amico "Io mi sono messo al lavoro, e vedo con gioia e con terrore che mi interessa", e prosegue: "tutti pensano che io ne sia uscito, mi credono forte, e non pensano che io sono un poveretto".

Continua a fare politica dunque, pensando al sud.

Si presenta alle elezioni, fa campagna elettorale nel sud Italia. E lì scopre l'altra faccia della medaglia. Scrive un libro; "il ministro della mala vita" in cui si scaglia ferocemente contro l'allora primo ministro del Regno d'Italia, Giovanni Giolitti. Salvemini sostiene che l'altra faccia della medaglia consista nel fatto che Giolitti si regga su una maggioranza eletta soprattutto al sud, e denuncia la meschina irregolarità delle elezioni nelle piccole città. I giorni delle elezioni, scrive, i paesini del meridione sono pattugliati da gente munita di manganello che va in giro picchiando gli elettori antigovernativi, per cui questi, o rimangono o chiusi in casa o scappano dalle città. Salvemini continuerà per anni a denunciare gli scandali di cui è a conoscenza.

Nelle elezioni del 1919 viene eletto a Bari ed entra in Parlamento con il "Partito dei combattenti".

Arriviamo al 1922, la marcia su Roma, siamo all'inizio dell'era fascista in Italia. In principio Salvemini sottovaluta il fascismo, come tanti altri faranno.
Ancora dopo il delitto Matteotti si illude, pensa che i fascisti non possano durare. Lui sostiene che la politica italiana sia stata sempre una dittatura, che i picchiatori ci siano sempre stati, e che Mussolini sia solo un dittatore tra gli altri. Mussolini stesso lo esorta ad iscriversi al partito fascista, ma Salvemini rifiuta. Iniziano per lui i problemi. Lo invitano in Inghilterra a fare lezioni ad Oxford, chiede il passaporto e glielo negano, espatria allora lo stesso clandestinamente e va a fare le sue conferenze nel Regno Unito. A Firenze, dove insegnava all'Università, gli studenti fascisti tappezzano tutta la città di manifesti con scritto "La scimmia di Molfetta non rientrerà in Italia". Sul quotidiano La Nazione, compaiono articoli in cui si invitano tutti gli studenti fascisti dell'Università a tenersi a disposizione: "…per quell'azione morale che nei limiti della legge, valga a somministrare al Salvemini il premio delle sue opinioni antitaliane".

Mussolini lo fa ritornare in Italia e Salvemini ricomincia a fare lezione. Il clima però è pesantissimo. Gli studenti manifestano contro di lui e il rettore dell'Università di Firenze non interverrà mai per difenderlo. Nel 1925 avviene il delitto Matteotti, Salvemini crea un giornale clandestino, invitando alla resistenza. Lo scoprono e lo arrestano nel giugno del 1925. Il 31 luglio avviene l'amnistia per tutti gli accusati dei reati politici (proclamata essenzialmente per tirar fuori di galera gli assassini di Matteotti). Salvemini è libero, prende un treno, con i poliziotti intanto che lo pedinano. Arriva alle 3 di notte alla stazione di Milano prende un taxi, trova dei colleghi che lo aspettano in macchina, ed insieme oltrepassano il Piccolo San Bernardo, ed arrivano in Francia.

Salvemini all'estero si butta nell'ultima grande battaglia della sua vita, quella di controbattere la propaganda fascista, e fuori dall'Italia ciò avrà un'efficacia enorme. È già uno storico famosissimo e così comincia ad essere invitato a parlare in delle conferenze, prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti. Ha un tale successo che ad un certo punto avrà un impresario che lo porterà in giro per l'America. Alla fine il ministero degli esteri italiano dà ordine di farlo smettere. La Farnesina scrive all'ambasciata italiana a Washington: "Bisogna seguire ogni conferenza del prof. Salvemini, e bisogna che in ogni conferenza ci sia uno dei nostri che comincia a disturbare o che si alza a fare obiezioni". Salvemini comunque continua. Al New York Times arrivano delle veline in cui si comunica che il Salvemini sia un pericoloso terrorista, e che stesse preparando un attentato per far saltare San Pietro in Vaticano. Il giornale pubblica la notizia, si solleva un grande polverone, ma Salvemini continua. Nel frattempo gli offrono una cattedra ad Harward e comincia ad insegnare "Storia della civiltà italiana" all'Università di Harward. Si arriva al dopoguerra, e una delle preoccupazioni del nuovo governo di De Gasperi, è quella di far rientrare in Italia Salvemini, cosa che avviene nel 1949. A 76 anni gli ridanno la cattedra a Firenze, e dopo 24 anni terrà lì la sua prima lezione esordendo: "Come stavamo dicendo l'ultima volta…".

Muore a Sorrento il 6 settembre 1957 all'età di 84 anni.

Concludo prendendo in prestito le parole di Gerardo de Marco, che racconta di un Salvemini ormai vecchio e che descrive, forse, il suo ultimo incontro con la città di Molfetta.
"Preferisco, da parte mia, credere di più ad una voce popolare, secondo cui Salvemini, dovendo nel 1949 recarsi a Bitonto e poi a S. Spirito, si sarebbe fermato a Molfetta, di sfuggita ed a notte inoltrata. Sceso dall'automobile avrebbe sostato a meditare, quasi a cospetto del mare, tra la statua di Mazzini e la facciata della chiesetta di S. Stefano; pochi minuti, in silenzio, per poi ripartire".

Fonte:
Alessandro Barbero "La responsabilità dello storico. Gaetano Salvemini: dall'interventismo socialista all'antifascismo" in Festival della Mente 2015.
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