Viva la storia di Molfetta!
Le Torri di Molfetta, tra verità e falsi miti
Dal Medioevo al '700, da Torre Gadaleta e Torre Calderina
giovedì 28 giugno 2018
Nelle carte medievali di Molfetta (1100-1309 ) per tre volte si fa riferimento a torri site dentro la città.
Un'altra volta viene indicata una torre diruta di proprietà privata posta vicino all'ingresso della Città e infine per tre volte in tre distinti documenti viene citata una torre con palmeto in località Summo, presso il Cenobio di San Martino.
Al di fuori di questi riferimenti segnalati, nei centosettanta diplomi che formano il volume delle carte medievali di Molfetta, non si incontrano altri riferimenti a torri né dentro né fuori della città. Sembra, sulla scorta dei documenti di cui disponiamo, che l'agro di Molfetta fosse del tutto privo di torri. Naturalmente questo non è credibile, perché almeno i casali possedevano in proprio sicuramente una torre, e anche le corti, i trappeti, ed i palmeti. Se i documenti non ne parlano è in parte un caso, in parte perché le torri erano parti integranti dei casali o chiese e non c'era ragione di menzionarle separatamente; ma c'è un altro motivo di questi riferimenti così radi, ed è che le torri vere e proprie fuori dalle contingenze accennate dovevano essere piuttosto scarse nel paesaggio storico dell'agro molfettese.
Bisogna giungere, documentariamente parlando, al secolo XVI per incontrare una congrua serie di torri di cui prendiamo per la prima volta conoscenza attraverso il Catasto del 1561: Torre di Antonello Gadaleta, Torre Cavata, Torre Gigante, Torre Isello alias lo chiuso del Fano, Torre del Mastro Nicola, Torre de Quina. Di fronte a questi nomi emergono due constatazioni: la prima è che nessuna delle sia pur poche torri preesistenti viene più registrata alla data del Catasto del 1561; la seconda è che di tutte queste torri si è persa ogni traccia non solo come costruzioni, ma anche come nomi nella tradizione.
Tra la fine del '500 e il principio del '600 qualche fatto nuovo è intervenuto nell'uso delle torri. Uno di questi è "l'andare in villa", ossia l'uso della villeggiatura da parte di ceti signorili. Non sappiamo come potessero essere queste ville del '500, perché non ne conosciamo esempi superstiti nel nostro territorio che siano databili a quell'epoca, ma possiamo pensare che ricalcassero modelli classici conformi alla tipologia architettonica rinascimentale, e mantenessero in tutto o un parte la forma di torri o includessero nelle proprie strutture una torre come espressione di prestigio gentilizio ed anche come mezzo valido di difesa dai nemici in caso di bisogno. Ma un'altra cosa va debitamente segnalata sotto l'aspetto linguistico, ed è l'uso del nome torre per indicarne l'uso signorile. A giustificare questo uso non basta supporre che le ville cinquecentesche avessero forma di torri e che con questo nome si continuasse a chiamarle anche quando la loro forma cambiò del tutto. La questione ha un suo risvolto linguistico poiché a partire dal 1500 anche nella lingua spagnola si registra una vicenda affine nell'uso della parola torre, che specialmente nel catalano e nell'aragonese evolve nel senso di "villino di campagna". È difficile credere che si tratti di vicende indipendenti, poiché è proprio in quest'epoca che il territorio dell'Italia meridionale fu sotto la dominazione spagnola.
L'altro fatto nuovo, è l'apparizione delle prime masserie o fattorie, a partire dal sec. XVII in presenza di un tipo di economia padronale antifeudale. Masserie come quelle di Navarrino o Capo di Cane, assolvevano il compito di organizzazione e controllo dei lavori nei campi, in cui il proprietario e la sua famiglia poteva trascorrere periodi anche di villeggiatura, unendo così l'utile al dilettevole. Non è quindi un caso che anche le ville fossero sovente integrate da strutture aggiunte, come dipendenze per massari, coloni, lavoranti, dalla presenza di palmeti, frantoi, piscine e altri apprestamenti palesemente adibiti al compimento delle opere campestri, al ricovero del bestiame e al riparo degli attrezzi agricoli.
Tuttavia, la maggior parte delle torri dell'agro molfettese è di documentazione settecentesca, e la fonte documentaria a cui si fa riferimento è la Platea del Capitolo del 1701. Qui troviamo riferimenti a torri ancora esistenti come Torre Calderina, Torre di Capa Vecchia, Torre Cascione, Torre Sgamirra etc., e torri di cui non esiste altro che il nome come Torre Capezza, Torre Cavata, Torre della Cona, Torre delli Gesuiti, Torre del Sale etc.
La tesi più suggestiva, ma anche più fallace, che pure continua a trovare qualche credito, è che le torri sparse nel nostro territorio possano aver avuto in un tempo imprecisato la funzione di difesa di città da nemici provenienti dal mare o da terra, mediante segnalazioni visive o acustiche del pericolo incombente. Non si vuole escludere che in certe circostanze la gente che abitava per le campagne potesse trovare rifugio in qualcuna di queste torri, se già non vi abitava, segnalando come poteva agli altri il proprio stato di pericolo per averne eventuale aiuto e per scoraggiare gli aggressori. I quali potevano essere non altro che comuni briganti, perché quanto ad altre ipotesi come quella di incursioni piratesche o passaggio di gente armata in tempo di guerra ci sarebbe voluta ben altra difesa che le nostre sedicenti torri in veste di imbelli casini di campagna. Quando i nostri storici, a partire dal Lombardi, parlano di torri esploratorie, in realtà non riescono a dire altro che questo: torri da cui si poteva osservare il terreno circostante. Ben altra cosa è Torre Calderina, costruita appositamente in funzione di avvistamento e di difesa, e facente parte di tutto il sistema di torri allineate lungo la costa adriatica create dal governo di Napoli a partire dal 1500. Altre torri lungo il mare potettero avere un occasionale compito difensivo come accadde per la torre campanaria dell'antico tempio preesistente a quello attuale della Madonna dei Martiri, su cui, secondo la tradizione storica, venne issato un pezzo di artiglieria che sparò contro le navi turche che minacciavano lo sbarco sulla costa antistante. Altra cosa è quella delle due torri del Duomo vecchio adibite a segnalazione dell'avvicinarsi di navi nemiche, con un servizio continuato di esplorazione appositamente costituito.
Ritornando alle torri dell'agro, quello che si può affermare è che esse abbiano mai formato un "sistema di fortificazione" intorno alla città. L'idea, comunque sia potuta nascere e prosperare, è quella dell'esistenza di una linea continua di difesa sui tre punti cardinali della città. In questa generosa fantasia si è andati ben oltre, ribattezzando senza alcun fondamento pacifiche località e umbratili casini di campagna con nomi marziali come Castro dell'Alfiere e Plesso di Villafranca e Capitanio. Non è detto, tuttavia, che perduta l'aureola bellicosa, l'immagine conclusiva di questa nostra rassegna di torri debba risultare necessariamente dimessa e mediocre. Al contrario, essa è ancora una immagine suggestiva, diversamente emblematica di un'epoca e di una società che volle darsi con queste sue torri lustro e decoro corrispondenti a un costume i cui esempi, venivano da contatti con altre regioni e con con grandi città come Napoli. Le famiglie di più alto rango erano sollecitate ad un'esibizione di prestigio a cui non volevano e non potevano sottrarsi: la torre, o la villa o il casino, erano ornamento di vita ed espressione di un alto approdo sociale, di una società che teneva alle forme e ai confronti appariscenti.
Un'altra volta viene indicata una torre diruta di proprietà privata posta vicino all'ingresso della Città e infine per tre volte in tre distinti documenti viene citata una torre con palmeto in località Summo, presso il Cenobio di San Martino.
Al di fuori di questi riferimenti segnalati, nei centosettanta diplomi che formano il volume delle carte medievali di Molfetta, non si incontrano altri riferimenti a torri né dentro né fuori della città. Sembra, sulla scorta dei documenti di cui disponiamo, che l'agro di Molfetta fosse del tutto privo di torri. Naturalmente questo non è credibile, perché almeno i casali possedevano in proprio sicuramente una torre, e anche le corti, i trappeti, ed i palmeti. Se i documenti non ne parlano è in parte un caso, in parte perché le torri erano parti integranti dei casali o chiese e non c'era ragione di menzionarle separatamente; ma c'è un altro motivo di questi riferimenti così radi, ed è che le torri vere e proprie fuori dalle contingenze accennate dovevano essere piuttosto scarse nel paesaggio storico dell'agro molfettese.
Bisogna giungere, documentariamente parlando, al secolo XVI per incontrare una congrua serie di torri di cui prendiamo per la prima volta conoscenza attraverso il Catasto del 1561: Torre di Antonello Gadaleta, Torre Cavata, Torre Gigante, Torre Isello alias lo chiuso del Fano, Torre del Mastro Nicola, Torre de Quina. Di fronte a questi nomi emergono due constatazioni: la prima è che nessuna delle sia pur poche torri preesistenti viene più registrata alla data del Catasto del 1561; la seconda è che di tutte queste torri si è persa ogni traccia non solo come costruzioni, ma anche come nomi nella tradizione.
Tra la fine del '500 e il principio del '600 qualche fatto nuovo è intervenuto nell'uso delle torri. Uno di questi è "l'andare in villa", ossia l'uso della villeggiatura da parte di ceti signorili. Non sappiamo come potessero essere queste ville del '500, perché non ne conosciamo esempi superstiti nel nostro territorio che siano databili a quell'epoca, ma possiamo pensare che ricalcassero modelli classici conformi alla tipologia architettonica rinascimentale, e mantenessero in tutto o un parte la forma di torri o includessero nelle proprie strutture una torre come espressione di prestigio gentilizio ed anche come mezzo valido di difesa dai nemici in caso di bisogno. Ma un'altra cosa va debitamente segnalata sotto l'aspetto linguistico, ed è l'uso del nome torre per indicarne l'uso signorile. A giustificare questo uso non basta supporre che le ville cinquecentesche avessero forma di torri e che con questo nome si continuasse a chiamarle anche quando la loro forma cambiò del tutto. La questione ha un suo risvolto linguistico poiché a partire dal 1500 anche nella lingua spagnola si registra una vicenda affine nell'uso della parola torre, che specialmente nel catalano e nell'aragonese evolve nel senso di "villino di campagna". È difficile credere che si tratti di vicende indipendenti, poiché è proprio in quest'epoca che il territorio dell'Italia meridionale fu sotto la dominazione spagnola.
L'altro fatto nuovo, è l'apparizione delle prime masserie o fattorie, a partire dal sec. XVII in presenza di un tipo di economia padronale antifeudale. Masserie come quelle di Navarrino o Capo di Cane, assolvevano il compito di organizzazione e controllo dei lavori nei campi, in cui il proprietario e la sua famiglia poteva trascorrere periodi anche di villeggiatura, unendo così l'utile al dilettevole. Non è quindi un caso che anche le ville fossero sovente integrate da strutture aggiunte, come dipendenze per massari, coloni, lavoranti, dalla presenza di palmeti, frantoi, piscine e altri apprestamenti palesemente adibiti al compimento delle opere campestri, al ricovero del bestiame e al riparo degli attrezzi agricoli.
Tuttavia, la maggior parte delle torri dell'agro molfettese è di documentazione settecentesca, e la fonte documentaria a cui si fa riferimento è la Platea del Capitolo del 1701. Qui troviamo riferimenti a torri ancora esistenti come Torre Calderina, Torre di Capa Vecchia, Torre Cascione, Torre Sgamirra etc., e torri di cui non esiste altro che il nome come Torre Capezza, Torre Cavata, Torre della Cona, Torre delli Gesuiti, Torre del Sale etc.
La tesi più suggestiva, ma anche più fallace, che pure continua a trovare qualche credito, è che le torri sparse nel nostro territorio possano aver avuto in un tempo imprecisato la funzione di difesa di città da nemici provenienti dal mare o da terra, mediante segnalazioni visive o acustiche del pericolo incombente. Non si vuole escludere che in certe circostanze la gente che abitava per le campagne potesse trovare rifugio in qualcuna di queste torri, se già non vi abitava, segnalando come poteva agli altri il proprio stato di pericolo per averne eventuale aiuto e per scoraggiare gli aggressori. I quali potevano essere non altro che comuni briganti, perché quanto ad altre ipotesi come quella di incursioni piratesche o passaggio di gente armata in tempo di guerra ci sarebbe voluta ben altra difesa che le nostre sedicenti torri in veste di imbelli casini di campagna. Quando i nostri storici, a partire dal Lombardi, parlano di torri esploratorie, in realtà non riescono a dire altro che questo: torri da cui si poteva osservare il terreno circostante. Ben altra cosa è Torre Calderina, costruita appositamente in funzione di avvistamento e di difesa, e facente parte di tutto il sistema di torri allineate lungo la costa adriatica create dal governo di Napoli a partire dal 1500. Altre torri lungo il mare potettero avere un occasionale compito difensivo come accadde per la torre campanaria dell'antico tempio preesistente a quello attuale della Madonna dei Martiri, su cui, secondo la tradizione storica, venne issato un pezzo di artiglieria che sparò contro le navi turche che minacciavano lo sbarco sulla costa antistante. Altra cosa è quella delle due torri del Duomo vecchio adibite a segnalazione dell'avvicinarsi di navi nemiche, con un servizio continuato di esplorazione appositamente costituito.
Ritornando alle torri dell'agro, quello che si può affermare è che esse abbiano mai formato un "sistema di fortificazione" intorno alla città. L'idea, comunque sia potuta nascere e prosperare, è quella dell'esistenza di una linea continua di difesa sui tre punti cardinali della città. In questa generosa fantasia si è andati ben oltre, ribattezzando senza alcun fondamento pacifiche località e umbratili casini di campagna con nomi marziali come Castro dell'Alfiere e Plesso di Villafranca e Capitanio. Non è detto, tuttavia, che perduta l'aureola bellicosa, l'immagine conclusiva di questa nostra rassegna di torri debba risultare necessariamente dimessa e mediocre. Al contrario, essa è ancora una immagine suggestiva, diversamente emblematica di un'epoca e di una società che volle darsi con queste sue torri lustro e decoro corrispondenti a un costume i cui esempi, venivano da contatti con altre regioni e con con grandi città come Napoli. Le famiglie di più alto rango erano sollecitate ad un'esibizione di prestigio a cui non volevano e non potevano sottrarsi: la torre, o la villa o il casino, erano ornamento di vita ed espressione di un alto approdo sociale, di una società che teneva alle forme e ai confronti appariscenti.