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Viva la storia di Molfetta!

La storia del sacco di Molfetta

La prima parte di uno degli episodi più cruenti e drammatici per la città

Il Sacco di Molfetta è stato uno degli episodi più cruenti e drammatici della storia della nostra città, ancora ben impresso nella mente dei cittadini molfettesi, benché ormai siano passati 500 anni dall'accaduto. Si sono scritte tante cose sulla vicenda, se n'è parlato, discusso, si sono prodotti documenti, testimonianze e saggi. Ne ha fatto menzione anche Leonardo Santoro nel suo testo "Dei successi del sacco di Roma" e perfino il grande Francesco Guicciardini nella sua "Storia d'Italia, libro XIX".

Rivolgeremo però la nostra attenzione verso un determinato saggio storico, che si intitola "Storia del Sacco di Molfetta", scritto nel sedicesimo secolo dal molfettese Giuseppe Marinelli, priore della Università della nostra città. Questo documento ha una sua particolarità: è stato infatti scritto solo 70 anni dopo la vicenda del Sacco molfettese; ciò vuol dire che Marinelli ha avuto una esperienza quasi diretta di quello che accadde. Il cronista stesso lo sottolinea nell'incipit del suo manoscritto, ed infatti scrive: "…e se io per conseguirle dicessi havervi posto ogni mio studio, prendendo mille volte con molta diligenza tra le bocche di molti Cittadini, i quali o videro o parteciparono al patto, o pure tengono memoria fresca dei più importanti avvenimenti..."

Iniziamo dunque la prima parte del nostro racconto, facendo un salto indietro di 500 anni. Analizzeremo ciò che accadde negli anni e nei momenti precedenti al Sacco, e ci serviremo dell'aiuto di un Virgilio di eccezione, il nostro Giuseppe Marinelli, che ci condurrà con le sue parole nel cuore di questa storia. Siamo nel 1500, Molfetta era allora un borgo molto piccolo di 5000 anime, ma era "speciale" se così vogliamo dire, perché da ben più di 300 anni godeva di un particolare privilegio a cui molti paesi aspiravano: era infatti una città "demaniale". Cosa voleva dire questo? Voleva dire che la nostra città disponeva di un diritto di cui godevano solo pochi comuni medievali all'epoca e che permetteva di sottrarsi allo strapotere dei feudatari e di essere sufficientemente autonoma, dipendendo soltanto dal potere centrale del sovrano. Fu Costanza d'Altavilla, ultima sovrana normanna e madre di Federico II, a concedere durante la sua reggenza del regno questo privilegio. L'Università di Molfetta (il Comune), era infatti governato da un Consiglio in cui erano eletti i rappresentanti dei nobili e dei popolani, il numero dei quali era variato diverse volte nei secoli precedenti, non senza tensioni. Agli inizi del 1519 però, la Signoria di Molfetta insieme al Regno di Napoli passò all'imperatore Carlo V, che lo ereditò da parte della madre, Giovanna di Castiglia. La consuetudine voleva che, previa consultazione di nobili e popolani, venisse incaricato un ambasciatore per recarsi ad omaggiare il nuovo sovrano. La scelta ricadde su Erricolo Passari che però fu nominato dai nobili senza aver consultato i ceti più bassi. Di conseguenza, al suo ritorno da Madrid, Passari fu assassinato da alcuni paesani offesi dal comportamento dei nobili. Marinelli scrive così: "anzi erano venuti a tale maniera, che reputavano indegno di vita chi non era popolare". Questo episodio causò tanto sconcerto, e i rapporti fra i nobili e i popolani si inasprirono. Successivamente infatti, il delegato dei nobili Evangelista Lepore, venne colpito dal delegato dei popolani Quintiliano De Luca. La tensione era ormai palpabile fra le due fazioni e il Marinelli commenta in questo modo i giorni successivi all'ultima aggressione: "Cominciato alcuni di quella fazione a tener ridotto borbottando varie ingiurie, e ordinando varie beffe contro i nobili[…]erano da si fatti progressi le discordie fatte già ereditarie sollevati gli animi con tanta alterazione, ch'ogni minimo accidenti gli era occasione di mille contenzioni".

Nel 1522 però, l'imperatore Carlo V, vendette la città di Molfetta a don Ferrante di Capua, duca di Termoli per far fronte agli elevati costi delle guerre. I nobili, contrari all'infeduamento della città da secoli demaniale, si dissero disposti a pagare il riscatto, i popolani invece non solo si rifiutarono ma presero ad inneggiare al nuovo feudatario. Marinelli commenta così l'insediamento del nuovo Signore di Molfetta: "Volse il Duca dopo l'accettazione essere ricevuto nella Città, e se gli decretarono tutti gli honori, e debiti di riverenza, che da Vassalli si devono, e fra gli altri che fusse ricevuto sotto il Baldacchino portato da tre Nobili e tre popolari, come hoggi ancor s'osserva nei primi ingressi dei nuovi Signori".

Nel 1528, sopraggiunse la guerra fra Carlo V e Francesco I re di Francia, ed i molfettesi che ora parteggiavano per i francesi, ora parteggiavano per gli spagnoli. Scrive il nostro cronista:"… spiegò a 17. di Marzo le bandiere di Francia, e quelle dell'Imperatore a 7. di Settembre dell'anno istesso". Nel frattempo un popolano molto potente, tale Antonio Bove, ispettore delle imposte della Duchessa di Termoli, cominciò ad insinuare dei sospetti fra i popolani. Marinelli, racconta che il Bove "non poteva soffrire che i Nobili sono maggiori de' popolari" e per questo scrisse delle lettere alla Duchessa, avvisandola (e facendo circolare la voce) che i nobili volessero vendere la città ai francesi "ch'erano per rivoltare la città a'Francesi". La Duchessa allora, chiamò a sé alcuni nobili molfettesi sperando così di calmare la situazione ma la cosa non servì; ed infatti scrive Marinelli: "ma coloro non satolli pigliarono da questi tratti occasion di fare universale uccisione de' Nobili, come de' ribelli, et indegni di vita, e toglierne in tutto il nome dalla Città". L'ira dei popolani quindi non si fece attendere, e realizzarono uno schema di attacco semplice: avrebbero raggiunto il Palazzo della Dogana, dove spesso si riunivano i nobili, e li avrebbero aggrediti con lanci di pietre celate facilmente sotto le loro vesti. Nell'ora e nel giorno destinato, i popolani, racconta Marinelli, uscirono all'assalto verso via Mente e "chiamarono il nome di Francia a gran grida, e per dare agli nemici terrore, e col terrore mettergli in fuga, e nella fuga a tiri di pietre ucciderli". I nobili tuttavia non fuggirono anzi, fronteggiarono gli assalitori e scagliarono contro questi ultimi le stesse pietre con le quali erano stati colpiti. La rappresaglia continuò fino a quando non sopraggiunse nella mischia Alessio Magno, popolano ma amico dei nobili. I popolani allora, sopresi e indecisi sul da farsi, abbandonarono il campo. Successivamente un altro episodio alimentò la tensione fra i due schieramenti. Un nobile, fu ingiustamente incolpato dai popolani di tramare contro l'Imperatore Carlo V. Per questa accusa di alta infedeltà verso il sovrano, fu condannato a morte. Per i nobili, fu la goccia che fece traboccare il vaso; scrive Marinelli: "Posto al bando ogni pensiero che li potesse raffrenare si buttarono all'ingiù come da alto precipizio […] Quindi messe sotto sopra le cose divine, ed humane […] e perturbato il tutto diedero all'armi alla scoperta". Diomede Lepore (figlio di quell'Evangelista Lepore che era stato qualche tempo prima, vittima di una aggressione da parte di un popolano) guidò la spedizione punitiva dei nobili. Il Lepore alla testa di una schiera di giovani, la mattina del 20 Febbraio 1529, andò in giro per la città gettando panico e scompiglio tra la popolazione, catturò undici popolani fra i più valorosi, li scaraventò in una fossa vicino la chiesa di San Salvatore, e tentò di bruciarli vivi. Il Marinelli così commenta:"fattone undici priggione sino che s'inventasse il modo di sterminarli furono messi nella fossa che si vede ai piedi della Porta della Chiesa di San Salvatore […] non dubitò il Diomede come coraggioso usarli dispregio sul viso, e corse col fuoco nelle mani per abbruciarli" Solo grazie all'intervento dei nobili Lupis ed Agni gli undici popolani scamparono al rogo, che però subito dopo furono imprigionati nel castello di Barletta.

Il Comune di Molfetta, poiché era controllato dalla maggioranza popolana, pagò il riscatto dei prigionieri, e questa cosa suscitò nuovamente l'ira dei nobili, i quali diedero il via ad altri tumulti e aggressioni in città. La situazione divenne così drammatica che vi fu addirittura l'intervento del ministro di guerra di Carlo V, Alarcon, che per sedare gli animi, mandò un rinforzo di 30 soldati. Il Marinelli commenta così:"e gran bisbiglio pervenne all'orecchio di Alarione Ministro di guerra per l'Imperatore nella provincia e si levò fama che dovea venire nella Città a castigo de'romoreggianti". I nobili, fra i quali il Lepore, per evitare l'ira dell'Imperatore, fuggirono a Barletta e chiesero protezione al principe di Melfi, Sergianni Caracciolo, alleato dei francesi, che in quel momento si trovava nella città pugliese insieme all'armata veneziana, composta di trenta galere al comando di Pietro Landi. I popolani allora, convinti di aver vinto una volta per tutte, presero ad insultare le famiglie dei nobili fuggiasche, e approfittando della assenza dei nobili, cominciarono a depredare le loro case, derubandoli delle loro ricchezze. Marinelli scrive:" ma i popolar credendo di aver vinto non cessavano dall'offese de' rimasti in città, e principalmente delle Donne esprobandoli quelle viduità, confiscazione de' Beni con uscirli di bocca molte parole piene di indignità". Nello stesso momento, i nobili fuggiti a Barletta, avendo ricevuto notizie di quello che stava avvenendo a Molfetta, sollecitavano il Principe Caracciolo ad impossessarsi di Molfetta e delle sue ricchezze. E così Marinelli "…li persuasero più volte di muoversi a danno di quel popolo dal quale abbondante, e ricco havrebbe tratto ricchissima preda". Il Caracciolo pensò così di affidarsi al Bove per impossessarsi della città e delle sue ricchezze. Cominciò quindi un carteggio fra il principe Caracciolo e il Bove, affinché si arrivasse ad un compromesso per salvare la città, ma il principe rilanciò sempre di più la richiesta di denaro, fino a pretendere un riscatto troppo alto: "Il Bove benché dal principio havesse dato con lettere intenzione di darli sussidio […], mutata la dimanda mutò anch'egli pensiero". Così le trattive andarono in fumo e Molfetta fu condannata. Il Marinelli scrive:" Così stava il maneggio delle cose, quando al Principe mancando in Barletta frumento e danari senz'altra speranza di soccorso determinò venire al sacco della Città". Il 18 luglio del 1529 il Principe Caracciolo diede l'ordine alle flotte di attaccare la città. Ebbe così inizio il Sacco di Molfetta.


Fonti:

"Presa e sacco della Città di Molfetta successa nell'Anno del Signore M.D.XXIX del Dottor Giuseppe Marinello da Molfetta" in Raccolta di varie croniche, diarj, ed altri opuscoli così italiani come latini appartenenti alla storia del Regno di Napoli. Tomo IV.
"Il Sacco a Molfetta nell'anno del Signore 1529". Il sacco di Molfetta raccontato dai ragazzi della scuola media C. Giaquinto (2009). Curatrice del testo: prof.ssa Elisabetta Mongelli.
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