Viva la storia di Molfetta!
Il Carnevale molfettese tra ‘800 e ‘900
Da "Toème" ai fasti degli anni '60
mercoledì 22 febbraio 2017
12.53
Il racconto sul Carnevale molfettese attraverso i secoli prosegue.
Abbiamo avuto modo di conoscere i divertimenti dei nostri antenati durante il Medioevo fino al 1799, anno che segnò in maniera drastica la fine delle scorribande che avvenivano durante le festività carnevalesche.
Anche in questa parte del racconto, mi avvalorerò del prezioso aiuto di un libro, già menzionato nel precedente articolo, scritto da Saverio Minervini "Molfetta e i suoi Carnevali".
Le manifestazioni e divertimenti del 1800 e del 1900, erano soprattutto caratterizzati dalla presenza di personaggi divenuti storici e spesso riportati alla nostra memoria con racconti e aneddoti.
Due dei più famosi erano "Frengische u gobbe e Salvatoere": squillavano le trombe in piazza e arrivava il carro dei dottori trainato da un mulo, sui cui lati c'era scritto con il carbone "Ospedale". Un cartello riportava la seguente scritta "Io sono un gran medico, onnipotente che guarisce tutti i mali, anche quelli più infernali".
Il chirurgo primario si chiamava Salvatore, che indossava un paio di occhiali vistosi e senza vetri e in capo aveva un cilindro e si vantava delle decine di lauree che aveva conseguito nelle Università più prestigiose. Al suo fianco, il fido aiutante Francesco, gibboso, vestito con un camice bianco, sporco di macchie rosse e accanto a lui alcuni pazienti. Francesco, dopo le presentazioni iniziava a preparare i coltelli, affilandoli. Al primo paziente doveva cavare i denti. Salvatore, che era balbuziente chiedeva la tenaglia, Francesco, che era sordo gli porgeva il martello. La spassosa scenetta culminava sempre con un consulto fra i due che mai si mettevano d'accordo sugli strumenti da adoperare e terminava con il decesso del povero finto paziente che si sottoponeva alle loro cure. Lo spettacolo si concludeva con Francesco e Salvatore che decidevano di asportare la gobba ad una donna. Francesco afferrava la gobba, mentre il primario la batteva con il martello, ma quella si presentava subito dalla parte opposta. Allora i due cominciavano a tirarla facendo dei versi che richiamavano quelli dei marinai quando tirano la rete "E...oh…eh…oh" accompagnati dal pubblico. La gobba si allungava fino a quando non avveniva lo strappo. Francesco portava le sue mani dentro l'involucro, e spargeva sugli spettatori divertiti, una sorta di lanuggine chiamata "fanfaluca".
Ma senza dubbio, il personaggio più importante e più significativo del Carnevale in quegli anni era il Tòeme.
L'ultima sera del Carnevale infatti, dalla Porta della Terra, fuoriusciva l'ultima mascherata carnevalesca organizzata dai pescivendoli, il funerale di Tòeme. Il corteo funebre continuava per il borgo, proseguiva per le strade principali della città e poi ritornava al borgo. Il corteo era costituito da uomini travestiti da lamentatrici, con veli neri sul capo, una candela in una mano e nell'altra un rosario composto da una cordicella di pezzi di sughero. In mezzo al corteo c'era un uomo travestito da sacerdote, con una sciarpa al posto della stola e nelle mani un libro aperto. Recitava con voce nasale preghiere in latino, miste a bestemmie. Sul carro c'era Tòeme, un fantoccio fatto di paglia, con indosso pantaloni logori, giacca con toppe e testa composta da carta di giornali. Dopo il carro seguivano i parenti stretti, la vedova sorretta da due comari, i figli, i fratelli e i nipoti. Dietro di loro, tantissima gente che invocando il nome del defunto gridavano insieme: "Tòeme e Tòeme e la megghière de Tòeme". Arrivati nuovamente al borgo, le lamentatrici si toglievano i veli, la vedova si fumava un sigaro. Quando il carretto fuoriusciva dall'Arco della terra, veniva rovesciato. Tòeme veniva spogliato dai vestiti e trascinato sul molo veniva bruciato. Subito dopo arrivavano i rintocchi delle campane che segnavano la mezzanotte, il Carnevale finiva e tutti raggiungevano la croce dinanzi al Purgatorio pronti per la processione notturna.
Fu però nel 1955 che Molfetta divenne una delle città più importanti e più famose per il Carnevale e per i suoi carri.
L'idea venne a tre signori molfettesi, Onofrio Bufi, Pantaleo Carabellese e Onofrio De Fazio che, entusiasti del Carnevale di Viareggio, proposero di realizzarne uno simile anche nella nostra città. Inizialmente esso consisteva nella sola sfilata di carri allegorici, ma poi si arricchì di complessi folkloristici, gruppi mascherati e alla fine si aggiunsero il concorso delle mascherine e i veglioni di carnevale che si svolgevano nei teatri delle città. Nel giro di pochi anni il Carnevale Molfettese divenne uno dei più grandi, dei più belli e più affermati d'Italia. Credo non servano altre parole, i ricordi sono ancora ben presenti nelle menti di chi ha vissuto il Carnevale molfettese in quel periodo, e che lo descrive come grandioso, impossibile da dimenticare, a cui tutti partecipavano, grandi e piccini.
Vi lascio con uno stralcio di due articoli, a mio avviso significativi, uno del Messaggero del 1959 e l'altro della Gazzetta del Mezzogiorno del 1960, con la speranza che prima o poi il nostro Carnevale ritorni bello come lo era un tempo.
"Molfetta ha vissuto la ormai tradizionale e indimenticabile ultima giornata di carnevale con uno stupendo spettacolo folkloristico...un'autentica fiumana di gente acclamante in presa ad un'ansia febbrile d godere ogni particolare dello spettacolo, composta da più da 50000 spettatori". " 100000 persone hanno applaudito le fantasmagoriche realizzazioni del 6°carnevale molfettese...un totale di 5000 maschere...si può e ben a ragione affermare che il carnevale di Molfetta ha ben diritto ormai a definirsi Il Carnevale del basso Adriatico".
Abbiamo avuto modo di conoscere i divertimenti dei nostri antenati durante il Medioevo fino al 1799, anno che segnò in maniera drastica la fine delle scorribande che avvenivano durante le festività carnevalesche.
Anche in questa parte del racconto, mi avvalorerò del prezioso aiuto di un libro, già menzionato nel precedente articolo, scritto da Saverio Minervini "Molfetta e i suoi Carnevali".
Le manifestazioni e divertimenti del 1800 e del 1900, erano soprattutto caratterizzati dalla presenza di personaggi divenuti storici e spesso riportati alla nostra memoria con racconti e aneddoti.
Due dei più famosi erano "Frengische u gobbe e Salvatoere": squillavano le trombe in piazza e arrivava il carro dei dottori trainato da un mulo, sui cui lati c'era scritto con il carbone "Ospedale". Un cartello riportava la seguente scritta "Io sono un gran medico, onnipotente che guarisce tutti i mali, anche quelli più infernali".
Il chirurgo primario si chiamava Salvatore, che indossava un paio di occhiali vistosi e senza vetri e in capo aveva un cilindro e si vantava delle decine di lauree che aveva conseguito nelle Università più prestigiose. Al suo fianco, il fido aiutante Francesco, gibboso, vestito con un camice bianco, sporco di macchie rosse e accanto a lui alcuni pazienti. Francesco, dopo le presentazioni iniziava a preparare i coltelli, affilandoli. Al primo paziente doveva cavare i denti. Salvatore, che era balbuziente chiedeva la tenaglia, Francesco, che era sordo gli porgeva il martello. La spassosa scenetta culminava sempre con un consulto fra i due che mai si mettevano d'accordo sugli strumenti da adoperare e terminava con il decesso del povero finto paziente che si sottoponeva alle loro cure. Lo spettacolo si concludeva con Francesco e Salvatore che decidevano di asportare la gobba ad una donna. Francesco afferrava la gobba, mentre il primario la batteva con il martello, ma quella si presentava subito dalla parte opposta. Allora i due cominciavano a tirarla facendo dei versi che richiamavano quelli dei marinai quando tirano la rete "E...oh…eh…oh" accompagnati dal pubblico. La gobba si allungava fino a quando non avveniva lo strappo. Francesco portava le sue mani dentro l'involucro, e spargeva sugli spettatori divertiti, una sorta di lanuggine chiamata "fanfaluca".
Ma senza dubbio, il personaggio più importante e più significativo del Carnevale in quegli anni era il Tòeme.
L'ultima sera del Carnevale infatti, dalla Porta della Terra, fuoriusciva l'ultima mascherata carnevalesca organizzata dai pescivendoli, il funerale di Tòeme. Il corteo funebre continuava per il borgo, proseguiva per le strade principali della città e poi ritornava al borgo. Il corteo era costituito da uomini travestiti da lamentatrici, con veli neri sul capo, una candela in una mano e nell'altra un rosario composto da una cordicella di pezzi di sughero. In mezzo al corteo c'era un uomo travestito da sacerdote, con una sciarpa al posto della stola e nelle mani un libro aperto. Recitava con voce nasale preghiere in latino, miste a bestemmie. Sul carro c'era Tòeme, un fantoccio fatto di paglia, con indosso pantaloni logori, giacca con toppe e testa composta da carta di giornali. Dopo il carro seguivano i parenti stretti, la vedova sorretta da due comari, i figli, i fratelli e i nipoti. Dietro di loro, tantissima gente che invocando il nome del defunto gridavano insieme: "Tòeme e Tòeme e la megghière de Tòeme". Arrivati nuovamente al borgo, le lamentatrici si toglievano i veli, la vedova si fumava un sigaro. Quando il carretto fuoriusciva dall'Arco della terra, veniva rovesciato. Tòeme veniva spogliato dai vestiti e trascinato sul molo veniva bruciato. Subito dopo arrivavano i rintocchi delle campane che segnavano la mezzanotte, il Carnevale finiva e tutti raggiungevano la croce dinanzi al Purgatorio pronti per la processione notturna.
Fu però nel 1955 che Molfetta divenne una delle città più importanti e più famose per il Carnevale e per i suoi carri.
L'idea venne a tre signori molfettesi, Onofrio Bufi, Pantaleo Carabellese e Onofrio De Fazio che, entusiasti del Carnevale di Viareggio, proposero di realizzarne uno simile anche nella nostra città. Inizialmente esso consisteva nella sola sfilata di carri allegorici, ma poi si arricchì di complessi folkloristici, gruppi mascherati e alla fine si aggiunsero il concorso delle mascherine e i veglioni di carnevale che si svolgevano nei teatri delle città. Nel giro di pochi anni il Carnevale Molfettese divenne uno dei più grandi, dei più belli e più affermati d'Italia. Credo non servano altre parole, i ricordi sono ancora ben presenti nelle menti di chi ha vissuto il Carnevale molfettese in quel periodo, e che lo descrive come grandioso, impossibile da dimenticare, a cui tutti partecipavano, grandi e piccini.
Vi lascio con uno stralcio di due articoli, a mio avviso significativi, uno del Messaggero del 1959 e l'altro della Gazzetta del Mezzogiorno del 1960, con la speranza che prima o poi il nostro Carnevale ritorni bello come lo era un tempo.
"Molfetta ha vissuto la ormai tradizionale e indimenticabile ultima giornata di carnevale con uno stupendo spettacolo folkloristico...un'autentica fiumana di gente acclamante in presa ad un'ansia febbrile d godere ogni particolare dello spettacolo, composta da più da 50000 spettatori". " 100000 persone hanno applaudito le fantasmagoriche realizzazioni del 6°carnevale molfettese...un totale di 5000 maschere...si può e ben a ragione affermare che il carnevale di Molfetta ha ben diritto ormai a definirsi Il Carnevale del basso Adriatico".