Parola al Fisioterapista
Le distorsioni della caviglia
I consigli per un corretto trattamento
martedì 17 marzo 2015
7.10
Una caviglia lesa ed instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti. Si comprende quindi l'importanza di un corretto trattamento medico e riabilitativo anche quando il danno dovesse sembrare di poca rilevanza.
È uno dei traumi muscolo-scheletrici più comuni ed è il più frequente per quanto concerne l'arto inferiore. Le circostanze che lo determinano sono svariate: riguardano sia l'ambito sportivo, sia quello lavorativo, oppure cause accidentali fra le mura domestiche o per la strada (più frequente nella donna). L'evento traumatico lascia un dolore residuo abbastanza fastidioso che comporta una limitazione che, quando è grave, viene percepita come uno scroscio osseo secco. In seguito al trauma si è impossibilitati al carico ed alla deambulazione.
Anche dopo aver curato il trauma, come vedremo, fra il 10 ed il 30% dei casi, il soggetto potrebbe continuare a lamentare un dolore di tipo cronico (appare e scompare a seconda di determinati movimenti e/o sollecitazioni) a causa di una condizione morbosa anatomo-funzionale secondaria: tenosinoviti, rigidità capsulare, ipotonia e ipotrofia muscolare. Questo avviene perché il danno del trauma distorsivo non si verifica solamente a livello del tessuto legamentoso, ma anche del tessuto nervoso e scheletrico dove possono associarsi fratture ossee e/o della cartilagine.
Il recupero funzionale dipenderà pertanto dal grado di importanza del trauma stesso (1°, 2° e 3° grado) e indipendentemente dal trattamento riservato al paziente (chirurgico o conservativo), varia dalle 3 alle 5 settimane per una normale ripresa alle abitudini di vita quotidiana, 4-7 settimane alla ripresa dell'attività lavorativa soprattutto lì dove sia necessario restare in piedi per tempi prolungati, mentre ci vorranno all'incirca 9 settimane prima di tornare pienamente anche alla pratica sportiva. I tempi di recupero negli sportivi professionisti saranno più brevi per il semplice fatto che il tempo programmato per la fisioterapia e le cure del caso, è maggiore (2-3 sedute al giorno).
I traumi distorsivi possono essere acuti (in seguito ad urti diretti o indiretti, contrasti, improvvisi cambi di direzione, appoggio non carretto del piede) oppure cronici, a causa di carichi notevoli e prolungati.
L'evento traumatico comporterà lassità articolare con lesioni gradualmente più invasive dalle componenti anatomiche più superficiali (fasce, muscoli, tendini e legamenti) a quelle più profonde (capsula articolare, ossa e cartilagine). Più di frequente saranno a livello del malleolo esterno detto anche malleolo peroneale (torsione in inversione del piede); più raramente le distorsioni possono invece verificarsi al compartimento mediale della caviglia, lì dove è presente il malleolo mediale detto anche tibiale (torsione in eversione del piede). Avremo quindi un'escursione articolare oltre i limiti fisiologici e di conseguenza instabilità articolare avvertita come una sensazione di cedimento.
Quanto alla sintomatologia, al momento del trauma distorsivo il soggetto accusa dolore localizzato con tumefazione. Se la caviglia non diventa livida nelle 8-12 ore successive l'evento traumatico, trattasi di distorsione di 1° grado, quindi grado lieve.
Con dolore acuto, difficoltà al carico, evidente tumefazione nel giro di poco tempo, con comparsa di ematoma localizzato che, nelle ore successive, tenderà a migrare verso la pianta del piede, avremo una distorsione di 2° grado.
Quando invece il soggetto accuserà anche impotenza funzionale, impossibilità al carico con una caviglia traballante (instabilità) e si sia avvertito anche uno schiocco, è probabile che la distorsione sia di 3° grado in cui posso associarsi lesioni ossee e/o cartilaginee.
Se non si interviene tempestivamente con ghiaccio e bendaggio compressivo e contenitivo, la caviglia diventerà livida (ematoma) dalle dita del piede fin su al polpaccio.
Che si tratti di lesione di 1°, 2° o 3° grado, sarà opportuno non stressare oltremodo l'articolazione con manovre inconsulte, senza trascurare l'importanza di eseguire esami strumentali (Eco e RM) ma dopo alcuni giorni, se non altro, per consentire al sangue, in parte, di essere riassorbito e quindi poter esaminare meglio la zona traumatizzata.
Fondamentalmente il trattamento è suddiviso in tre momenti. Nella fase acuta il protocollo più accreditato è il cosiddetto P.R.I.C.E. (Protection, Rest, Ice, Compression, Elevation) e cioè protezione, immobilizzazione, ghiaccio, compressione, ed elevazione (arto in scarico in posizione declive), unito all'utilizzo di farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici a discrezione del medico. Utile bloccaggio con aercast o gesso.
Nella fase sub-acuta lo scopo del trattamento mira a eliminare ovviamente il dolore residuo, portando ad un recupero graduale della mobilità tramite l'eliminazione dello spasmo muscolare se ancora presente, l'eliminazione dell'edema residuo, arrivando infine al recupero della forza e della stabilità.
La fisioterapia consigliata è quella con laser CO2, crioterapia, correnti galvaniche, ultrasuoni, Tecar, linfo drenaggio manuale. La riabilitazione comporta invece esercizi di mobilizzazione passiva e attiva con carichi graduali, esercizi propriocettivi (per stimolare il recupero della stabilità di tutto il compartimento) ed esercizi con resistenza elastica inizialmente moderata.
Quando dall'articolazione tibio-tarsica (caviglia) sarà scomparsa la sintomatologia dolorosa, non ci saranno più segni di instabilità, l'emartro sarà risolto e l'Ecografia e/o la RM di controllo darà esito negativo o quanto meno dati incoraggianti, si potrà procedere all'ultima fase, cioè quella del ricondizionamento al gesto atletico. In quest'ultima fase l'atleta e quindi la caviglia, vengono riabituati allo stress fisico. Il protocollo prevederà carichi gradualmente sempre più intensi con: cyclette, corsa, salti (esercizi pliometrici), cambi di direzione, calciare, contrasti ecc.
Il bendaggio funzionale previene l'insorgere delle ricadute, evita quei danni che creerebbe una prolungata immobilità e riduce i tempi di recupero.
L'immobilizzazione con apparecchio gessato (gambaletto) o l'aercast è sempre utile anche quando la distorsione dovesse essere solo di 1° grado: caviglia lievemente dolorante e tumefatta, sono segni clinici da non sottovalutare.
Qualora l'infortunio dovesse verificarsi in luoghi avversi o lontano da presidi ospedalieri, è bene non togliersi la calzatura per due ragioni: una volta tolta la scarpa, sarebbe impossibile reinserirla per il dolore ed il gonfiore; comunque la scarpa svolgerebbe un'azione contenitivo. Se invece la calzatura arrecasse ulteriore sofferenza, andrebbe tolta con cura, allargandola il più possibile o addirittura tagliandola; successivamente bisogna approntare un bendaggio compressivo drenante a spirale: partendo dalla base delle dita del piede, cioè, si avvolgono piede, caviglia e polpaccio fin sotto al ginocchio. Impacchi di ghiaccio per 20-30 minuti da togliere e mettere ripetutamente onde evitare il congelamento dei tessuti più superficiali evocando ulteriore dolore.
Per tutto quello che concerne nello specifico la fisioterapia e successivamente gli esercizi riabilitativi, propriocettivi e per ultimo il ricondizionamento atletico, sarebbe opportuno affidarsi a professionisti qualificati: medico, fisioterapista e preparatore atletico sono figure professionali indispensabili per un buon esito. Costoro lavoreranno l'uno in sinergia con l'altro.
È uno dei traumi muscolo-scheletrici più comuni ed è il più frequente per quanto concerne l'arto inferiore. Le circostanze che lo determinano sono svariate: riguardano sia l'ambito sportivo, sia quello lavorativo, oppure cause accidentali fra le mura domestiche o per la strada (più frequente nella donna). L'evento traumatico lascia un dolore residuo abbastanza fastidioso che comporta una limitazione che, quando è grave, viene percepita come uno scroscio osseo secco. In seguito al trauma si è impossibilitati al carico ed alla deambulazione.
Anche dopo aver curato il trauma, come vedremo, fra il 10 ed il 30% dei casi, il soggetto potrebbe continuare a lamentare un dolore di tipo cronico (appare e scompare a seconda di determinati movimenti e/o sollecitazioni) a causa di una condizione morbosa anatomo-funzionale secondaria: tenosinoviti, rigidità capsulare, ipotonia e ipotrofia muscolare. Questo avviene perché il danno del trauma distorsivo non si verifica solamente a livello del tessuto legamentoso, ma anche del tessuto nervoso e scheletrico dove possono associarsi fratture ossee e/o della cartilagine.
Il recupero funzionale dipenderà pertanto dal grado di importanza del trauma stesso (1°, 2° e 3° grado) e indipendentemente dal trattamento riservato al paziente (chirurgico o conservativo), varia dalle 3 alle 5 settimane per una normale ripresa alle abitudini di vita quotidiana, 4-7 settimane alla ripresa dell'attività lavorativa soprattutto lì dove sia necessario restare in piedi per tempi prolungati, mentre ci vorranno all'incirca 9 settimane prima di tornare pienamente anche alla pratica sportiva. I tempi di recupero negli sportivi professionisti saranno più brevi per il semplice fatto che il tempo programmato per la fisioterapia e le cure del caso, è maggiore (2-3 sedute al giorno).
I traumi distorsivi possono essere acuti (in seguito ad urti diretti o indiretti, contrasti, improvvisi cambi di direzione, appoggio non carretto del piede) oppure cronici, a causa di carichi notevoli e prolungati.
L'evento traumatico comporterà lassità articolare con lesioni gradualmente più invasive dalle componenti anatomiche più superficiali (fasce, muscoli, tendini e legamenti) a quelle più profonde (capsula articolare, ossa e cartilagine). Più di frequente saranno a livello del malleolo esterno detto anche malleolo peroneale (torsione in inversione del piede); più raramente le distorsioni possono invece verificarsi al compartimento mediale della caviglia, lì dove è presente il malleolo mediale detto anche tibiale (torsione in eversione del piede). Avremo quindi un'escursione articolare oltre i limiti fisiologici e di conseguenza instabilità articolare avvertita come una sensazione di cedimento.
Quanto alla sintomatologia, al momento del trauma distorsivo il soggetto accusa dolore localizzato con tumefazione. Se la caviglia non diventa livida nelle 8-12 ore successive l'evento traumatico, trattasi di distorsione di 1° grado, quindi grado lieve.
Con dolore acuto, difficoltà al carico, evidente tumefazione nel giro di poco tempo, con comparsa di ematoma localizzato che, nelle ore successive, tenderà a migrare verso la pianta del piede, avremo una distorsione di 2° grado.
Quando invece il soggetto accuserà anche impotenza funzionale, impossibilità al carico con una caviglia traballante (instabilità) e si sia avvertito anche uno schiocco, è probabile che la distorsione sia di 3° grado in cui posso associarsi lesioni ossee e/o cartilaginee.
Se non si interviene tempestivamente con ghiaccio e bendaggio compressivo e contenitivo, la caviglia diventerà livida (ematoma) dalle dita del piede fin su al polpaccio.
Che si tratti di lesione di 1°, 2° o 3° grado, sarà opportuno non stressare oltremodo l'articolazione con manovre inconsulte, senza trascurare l'importanza di eseguire esami strumentali (Eco e RM) ma dopo alcuni giorni, se non altro, per consentire al sangue, in parte, di essere riassorbito e quindi poter esaminare meglio la zona traumatizzata.
Fondamentalmente il trattamento è suddiviso in tre momenti. Nella fase acuta il protocollo più accreditato è il cosiddetto P.R.I.C.E. (Protection, Rest, Ice, Compression, Elevation) e cioè protezione, immobilizzazione, ghiaccio, compressione, ed elevazione (arto in scarico in posizione declive), unito all'utilizzo di farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici a discrezione del medico. Utile bloccaggio con aercast o gesso.
Nella fase sub-acuta lo scopo del trattamento mira a eliminare ovviamente il dolore residuo, portando ad un recupero graduale della mobilità tramite l'eliminazione dello spasmo muscolare se ancora presente, l'eliminazione dell'edema residuo, arrivando infine al recupero della forza e della stabilità.
La fisioterapia consigliata è quella con laser CO2, crioterapia, correnti galvaniche, ultrasuoni, Tecar, linfo drenaggio manuale. La riabilitazione comporta invece esercizi di mobilizzazione passiva e attiva con carichi graduali, esercizi propriocettivi (per stimolare il recupero della stabilità di tutto il compartimento) ed esercizi con resistenza elastica inizialmente moderata.
Quando dall'articolazione tibio-tarsica (caviglia) sarà scomparsa la sintomatologia dolorosa, non ci saranno più segni di instabilità, l'emartro sarà risolto e l'Ecografia e/o la RM di controllo darà esito negativo o quanto meno dati incoraggianti, si potrà procedere all'ultima fase, cioè quella del ricondizionamento al gesto atletico. In quest'ultima fase l'atleta e quindi la caviglia, vengono riabituati allo stress fisico. Il protocollo prevederà carichi gradualmente sempre più intensi con: cyclette, corsa, salti (esercizi pliometrici), cambi di direzione, calciare, contrasti ecc.
Il bendaggio funzionale previene l'insorgere delle ricadute, evita quei danni che creerebbe una prolungata immobilità e riduce i tempi di recupero.
L'immobilizzazione con apparecchio gessato (gambaletto) o l'aercast è sempre utile anche quando la distorsione dovesse essere solo di 1° grado: caviglia lievemente dolorante e tumefatta, sono segni clinici da non sottovalutare.
Qualora l'infortunio dovesse verificarsi in luoghi avversi o lontano da presidi ospedalieri, è bene non togliersi la calzatura per due ragioni: una volta tolta la scarpa, sarebbe impossibile reinserirla per il dolore ed il gonfiore; comunque la scarpa svolgerebbe un'azione contenitivo. Se invece la calzatura arrecasse ulteriore sofferenza, andrebbe tolta con cura, allargandola il più possibile o addirittura tagliandola; successivamente bisogna approntare un bendaggio compressivo drenante a spirale: partendo dalla base delle dita del piede, cioè, si avvolgono piede, caviglia e polpaccio fin sotto al ginocchio. Impacchi di ghiaccio per 20-30 minuti da togliere e mettere ripetutamente onde evitare il congelamento dei tessuti più superficiali evocando ulteriore dolore.
Per tutto quello che concerne nello specifico la fisioterapia e successivamente gli esercizi riabilitativi, propriocettivi e per ultimo il ricondizionamento atletico, sarebbe opportuno affidarsi a professionisti qualificati: medico, fisioterapista e preparatore atletico sono figure professionali indispensabili per un buon esito. Costoro lavoreranno l'uno in sinergia con l'altro.