In punta di penna
Waterfront: gli equilibri ricercati e trovati. Per forza
L’ installazione di approdo Sant’Andrea fa parlare di sé
lunedì 21 aprile 2014
19.44
«È una croce? No è una installazione, un gioco di equilibrio». «Sarà li solo per il periodo pasquale? No sarà per sempre». «È quello il posto migliore dove lasciarla? No potrebbe trovare un'altra sistemazione». Domande e risposte che si sprecano soprattutto su quella grande piazza virtuale rappresentata dai social network.
Di sicuro l'opera di Hidetoshi Nagasawa, scultore e architetto giapponese, ha fatto parlare di sè. E questo è già un obiettivo raggiunto. Sia per l'autore di quella installazione, sia per chi ha voluto posizionarla sull'approdo di Sant'Andrea. «Come, non conosci Nagasawa? - direbbero, anzi lo hanno già detto, quegli «intellettuali», diventati tali magari solo per spirito di appartenenza -. Espone in tutto il mondo, a New York, Londra, Berlino» Ma perché, è necessario conoscerlo? Non è mica un segno di ignoranza non sapere chi è un artista che arriva dal lontano Sol Levante e che per di più si rivolge ad una nicchia infine ristretta di cultori.
Confesso di aver «visitato» l'opera, volutamente non la chiamo «d'arte», questo lo lascio fare ai critici e ai conoscitori dei movimenti artistici. Mi ha lasciato piuttosto indifferente. E non per insensibilità. Non stiamo certo parlando (il mio è un personalissimo punto di vista) di Raffaello, di Michelangelo, di Tiziano. O Caravaggio. Lui si che è riuscito a farmi restare quasi paralizzato di fronte al suo «Giuditta e Oloferne». Per puro caso, e proprio in questi giorni ho seguito una trasmissione televisiva dedicata proprio all'arte contemporanea. Una delle installazioni esposte e descritte era rappresentata da una sfera, di quelle che se ne trovano a dozzine nelle discoteche, ricoperta di vetrini colorati che riflettono la luce, lasciata per terra con qualche tassello staccato. La gallerista che la presentava valutava il costo dell'opera in 12mila euro. «Rappresenta – diceva – la nostalgia dell'autore per un tempo che è ormai passato». Come mercificare e dare un prezzo anche ai ricordi più intimi. Ma si sa, le fortune o le disavventure di artisti contemporanei, ma è sempre stato così, infine si concretizzano grazie alle interpretazioni che qualcuno, sedicenti critici o galleristi «d'avanguardia» ci raccontano. Ma in fondo il primo sentimento che un'opera d'arte dovrebbe suscitare è un «mi piace», «non mi piace». Semplicemente. Ma tant'è. «Waterfront» è li, all'approdo Sant'Andrea a far parlare.
E tra i «boh» di chi proprio non riesce a comprendere i canoni dell'arte contemporanea e gli sguardi estasiati di chi si sente improvvisamente «esperto», la contrapposizione è alta. Peccato però che proprio quella installazione abbia fatto passare in secondo piano proprio il recupero dal degrado di una porzione della città. Che si tratti di una croce o di un delicato gioco di equilibri quel'angolo di Molfetta è adesso visitato da frotte di curiosi che non perdono l'occasione di commentare, di scattare qualche fotografia. Già proprio la fotografia. Istantanee ricordo, per dire io c'ero, o ricerca di punti di vista diversi, di reinterpretazioni e quindi altra forma d'arte? E se quegli scatti fossero arte che incontra l'arte? Perché non parlarne?
Di sicuro l'opera di Hidetoshi Nagasawa, scultore e architetto giapponese, ha fatto parlare di sè. E questo è già un obiettivo raggiunto. Sia per l'autore di quella installazione, sia per chi ha voluto posizionarla sull'approdo di Sant'Andrea. «Come, non conosci Nagasawa? - direbbero, anzi lo hanno già detto, quegli «intellettuali», diventati tali magari solo per spirito di appartenenza -. Espone in tutto il mondo, a New York, Londra, Berlino» Ma perché, è necessario conoscerlo? Non è mica un segno di ignoranza non sapere chi è un artista che arriva dal lontano Sol Levante e che per di più si rivolge ad una nicchia infine ristretta di cultori.
Confesso di aver «visitato» l'opera, volutamente non la chiamo «d'arte», questo lo lascio fare ai critici e ai conoscitori dei movimenti artistici. Mi ha lasciato piuttosto indifferente. E non per insensibilità. Non stiamo certo parlando (il mio è un personalissimo punto di vista) di Raffaello, di Michelangelo, di Tiziano. O Caravaggio. Lui si che è riuscito a farmi restare quasi paralizzato di fronte al suo «Giuditta e Oloferne». Per puro caso, e proprio in questi giorni ho seguito una trasmissione televisiva dedicata proprio all'arte contemporanea. Una delle installazioni esposte e descritte era rappresentata da una sfera, di quelle che se ne trovano a dozzine nelle discoteche, ricoperta di vetrini colorati che riflettono la luce, lasciata per terra con qualche tassello staccato. La gallerista che la presentava valutava il costo dell'opera in 12mila euro. «Rappresenta – diceva – la nostalgia dell'autore per un tempo che è ormai passato». Come mercificare e dare un prezzo anche ai ricordi più intimi. Ma si sa, le fortune o le disavventure di artisti contemporanei, ma è sempre stato così, infine si concretizzano grazie alle interpretazioni che qualcuno, sedicenti critici o galleristi «d'avanguardia» ci raccontano. Ma in fondo il primo sentimento che un'opera d'arte dovrebbe suscitare è un «mi piace», «non mi piace». Semplicemente. Ma tant'è. «Waterfront» è li, all'approdo Sant'Andrea a far parlare.
E tra i «boh» di chi proprio non riesce a comprendere i canoni dell'arte contemporanea e gli sguardi estasiati di chi si sente improvvisamente «esperto», la contrapposizione è alta. Peccato però che proprio quella installazione abbia fatto passare in secondo piano proprio il recupero dal degrado di una porzione della città. Che si tratti di una croce o di un delicato gioco di equilibri quel'angolo di Molfetta è adesso visitato da frotte di curiosi che non perdono l'occasione di commentare, di scattare qualche fotografia. Già proprio la fotografia. Istantanee ricordo, per dire io c'ero, o ricerca di punti di vista diversi, di reinterpretazioni e quindi altra forma d'arte? E se quegli scatti fossero arte che incontra l'arte? Perché non parlarne?