In punta di penna
Una crisi che si ripete. Da Guglielmo Minervini a Paola Natalicchio
I ricorsi storici di un centrosinistra che perde la bussola
lunedì 20 luglio 2015
7.23
La storia si ripete? Parrebbe proprio di si. Era il 2000 quando un sindaco a Molfetta fu costretto a lasciare a causa della ingerenza dei partiti che avevano sostenuto il suo secondo mandato. Quel sindaco era Guglielmo Minervini. Succede ancora a 15 anni di distanza. L'ingerenza dei partiti costringe un altro sindaco, Paola Natalicchio, a rassegnare le proprie dimissioni da primo cittadino.
E protagonisti di così pesanti ingerenze sono sempre gli stessi partiti, quelli del centrosinistra, che a quanto pare, proprio non vogliono rassegnarsi all'idea che a governare sono gli eletti dal popolo e non le segreterie del partito. In particolare, quella del Pd, del suo nuovo corso, che prima si chiamava Pc, poi Pds, poi Ds, e che oggi è infarcita di quella vecchia Dc, così amante dei giochi di potere, che è capace di sacrificare sull'altare la governabilità di una città, pur di affermare principi che giovano solo al potere fine a se stesso. E anche questa volta al centro delle attenzioni è tornato ad esserci Guglielmo Minervini e la sua scelta, nella tornata elettorale per le regionali, di non far parte della compagine del partito di cui faceva parte. Del resto della attuale crisi amministrativa a Molfetta, si vociferava da tempo. Proprio da quella compagna elettorale.
Troppe volte dai palchi, quelli del Pd, gli intervenuti hanno tenuto a sottolineare che il partito avrebbe sostenuto fino in fondo l'amministrazione comunale, a prescindere dalle scelte "diverse" di alcuni suoi esponenti, fossero essi consiglieri comunali o assessori. Minacciando però epurazioni. Ma le troppe affermazioni, non possono che tradursi in una netta negazione. È stato chiaro sin dall'inizio. Costringere un assessore alle dimissioni, appare essere una strategia ben consolidata. Con tutte le conseguenze che alla fine ne sono derivate. Adesso la Natalicchio ha venti giorni per ripesare alle sue dimissioni. Venti giorni a disposizione anche per il Pd per tornare sui suoi passi, per non condannare la città al commissariamento.
Perché a prescindere dalla bontà o meno dell'azione di una giunta comunale, delle linee programmatiche di una amministrazione, è sempre meglio avere un sindaco in carica, piuttosto che un sub commissario prefettizio che non potrà far altro che la normale amministrazione. E questo fino alla indizione delle prossime votazioni, alla prossima primavera.
E protagonisti di così pesanti ingerenze sono sempre gli stessi partiti, quelli del centrosinistra, che a quanto pare, proprio non vogliono rassegnarsi all'idea che a governare sono gli eletti dal popolo e non le segreterie del partito. In particolare, quella del Pd, del suo nuovo corso, che prima si chiamava Pc, poi Pds, poi Ds, e che oggi è infarcita di quella vecchia Dc, così amante dei giochi di potere, che è capace di sacrificare sull'altare la governabilità di una città, pur di affermare principi che giovano solo al potere fine a se stesso. E anche questa volta al centro delle attenzioni è tornato ad esserci Guglielmo Minervini e la sua scelta, nella tornata elettorale per le regionali, di non far parte della compagine del partito di cui faceva parte. Del resto della attuale crisi amministrativa a Molfetta, si vociferava da tempo. Proprio da quella compagna elettorale.
Troppe volte dai palchi, quelli del Pd, gli intervenuti hanno tenuto a sottolineare che il partito avrebbe sostenuto fino in fondo l'amministrazione comunale, a prescindere dalle scelte "diverse" di alcuni suoi esponenti, fossero essi consiglieri comunali o assessori. Minacciando però epurazioni. Ma le troppe affermazioni, non possono che tradursi in una netta negazione. È stato chiaro sin dall'inizio. Costringere un assessore alle dimissioni, appare essere una strategia ben consolidata. Con tutte le conseguenze che alla fine ne sono derivate. Adesso la Natalicchio ha venti giorni per ripesare alle sue dimissioni. Venti giorni a disposizione anche per il Pd per tornare sui suoi passi, per non condannare la città al commissariamento.
Perché a prescindere dalla bontà o meno dell'azione di una giunta comunale, delle linee programmatiche di una amministrazione, è sempre meglio avere un sindaco in carica, piuttosto che un sub commissario prefettizio che non potrà far altro che la normale amministrazione. E questo fino alla indizione delle prossime votazioni, alla prossima primavera.