In punta di penna
La Festa della Madonna dei Martiri con gli occhi di una bimba diventata adulta
Emozioni dal libro dei ricordi
martedì 8 settembre 2015
7.52
Se per un molfettese esiste una data speciale, dovunque si trovi, quella è senza dubbio l'8 settembre.
Ma se il molfettese è nato e cresciuto in una famiglia in cui dal bisnonno al padre la venerazione per la Madonna dei Martiri è molto più che limitata a un preciso momento dell'anno, allora, l'8 settembre diventa un qualcosa di speciale. Una festa nella festa.
Bene, succede di essere figlia e nipote di marinai. Gente che si è fatta da sola: con la barchetta usciva a mare portandosi a bordo i figli maschi e lasciando a terra la moglie e le figlie a rammendare e cucire le reti. I figli crescono, con lavoro e sacrifici, riescono a costruire un motopeschereccio e insegnano il mestiere ai figli.
E, anche, a portare sempre con se' un'icona: l'immaginetta della Madonna, appunto. A cui affidarsi in mare, a cui dire grazie dopo ogni battuta di pesca andata bene e a cui chiedere aiuto quando i giorni senza lavoro iniziano a diventare troppo. Così, "Ci sa' chera Medonn" diventa più che un detto, un intercalare.
Diventa semplicemente il valore di una famiglia.
Succede poi che per due volte il caso, la fortuna o il destino(chiamatelo come volete) decida che la Sagra a mare si svolga sul peschereccio di famiglia.
L'eccitazione parte da subito. Certo, le spese ci sono come pure i giorni di lavoro persi ma a Maria non si può dire di no. Chiamate e chiamate tra tutti i parenti "perché è uscita la barca nostra" e si parte.
Via con i preparativi: il motopeschereccio va tirato a lucido e addobbato, bisogna pensare alle maglie celebrative perché nessuno ne deve rimanere sprovvisto e poi inizia la Novena e bisogna andarci. A pregare, a ringraziare, a chiedere ne' più ne' meno di quello che già si ha.
L'8 settembre arriva in meno che non si dica. "Tira, tira", "Prendi quella fune" e via, la barca prende il posto d'onore nel porto. A bordo si intonano i brani dedicati alla compatrona, si seguono i frati nelle loro odi, si mangia, si fanno foto, si avvicinano i bambini più piccoli al simulacro.
Poi inizia a far sera e giunge il momento di lasciarLa andare.
E non è semplicemente lasciare andare una statua, una devozione popolare. E' lasciare andare un pezzo di famiglia, un pezzo di storia nella Storia più grande di una comunità intera che l'attende sulla banchina.
Quando la Madonna dei Martiri è a terra su quelle travi galleggianti resta il vuoto.
Ma, in realtà, agli occhi di una bambina di cinque anni, quel vuoto sembrava piccolo piccolo. Le bastava incrociare gli occhi dei nonno, degli zii, dei genitori per capire di avere per sempre un qualcosa di grande.
Un ricordo. Indelebile.
(Queste riflessioni sono state pubblicate, la prima volta, il 9 settembre del 2014).
Ma se il molfettese è nato e cresciuto in una famiglia in cui dal bisnonno al padre la venerazione per la Madonna dei Martiri è molto più che limitata a un preciso momento dell'anno, allora, l'8 settembre diventa un qualcosa di speciale. Una festa nella festa.
Bene, succede di essere figlia e nipote di marinai. Gente che si è fatta da sola: con la barchetta usciva a mare portandosi a bordo i figli maschi e lasciando a terra la moglie e le figlie a rammendare e cucire le reti. I figli crescono, con lavoro e sacrifici, riescono a costruire un motopeschereccio e insegnano il mestiere ai figli.
E, anche, a portare sempre con se' un'icona: l'immaginetta della Madonna, appunto. A cui affidarsi in mare, a cui dire grazie dopo ogni battuta di pesca andata bene e a cui chiedere aiuto quando i giorni senza lavoro iniziano a diventare troppo. Così, "Ci sa' chera Medonn" diventa più che un detto, un intercalare.
Diventa semplicemente il valore di una famiglia.
Succede poi che per due volte il caso, la fortuna o il destino(chiamatelo come volete) decida che la Sagra a mare si svolga sul peschereccio di famiglia.
L'eccitazione parte da subito. Certo, le spese ci sono come pure i giorni di lavoro persi ma a Maria non si può dire di no. Chiamate e chiamate tra tutti i parenti "perché è uscita la barca nostra" e si parte.
Via con i preparativi: il motopeschereccio va tirato a lucido e addobbato, bisogna pensare alle maglie celebrative perché nessuno ne deve rimanere sprovvisto e poi inizia la Novena e bisogna andarci. A pregare, a ringraziare, a chiedere ne' più ne' meno di quello che già si ha.
L'8 settembre arriva in meno che non si dica. "Tira, tira", "Prendi quella fune" e via, la barca prende il posto d'onore nel porto. A bordo si intonano i brani dedicati alla compatrona, si seguono i frati nelle loro odi, si mangia, si fanno foto, si avvicinano i bambini più piccoli al simulacro.
Poi inizia a far sera e giunge il momento di lasciarLa andare.
E non è semplicemente lasciare andare una statua, una devozione popolare. E' lasciare andare un pezzo di famiglia, un pezzo di storia nella Storia più grande di una comunità intera che l'attende sulla banchina.
Quando la Madonna dei Martiri è a terra su quelle travi galleggianti resta il vuoto.
Ma, in realtà, agli occhi di una bambina di cinque anni, quel vuoto sembrava piccolo piccolo. Le bastava incrociare gli occhi dei nonno, degli zii, dei genitori per capire di avere per sempre un qualcosa di grande.
Un ricordo. Indelebile.
(Queste riflessioni sono state pubblicate, la prima volta, il 9 settembre del 2014).