"Furbo"... chi Legge!
Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie radici. A che punto siamo?
Che diritti ha la madre? E quali sono quelli, da adulto, del bambino abbandonato?
mercoledì 5 dicembre 2018
E' di alcune settimane fa la notizia di un neonato abbandonato in ospedale a Bari (https://www.bariviva.it/notizie/bari-bimbo-di-quaranta-giorni-abbandonato-in-ospedale/).
Non è certo questa la sede per esaminare le ragioni che hanno indotto la madre a tale gesto nè di giudicarlo ma è un fatto di cronaca che fa indubbiamente riflettere e dal quale è possibile partire per approfondire un argomento: quali sono i diritti della donna che decide di lasciare il proprio figlio? E quali sono quelli del figlio, una volta adulto, circa la ricerca delle proprio origini?
LA MADRE
Al fine di evitare l'abbandono, magari in un cassonetto o in qualche altro luogo indicibile come purtroppo spesso viene raccontato dai giornali, il legislatore ha posto un punto fermo: il D.P.R. N. 396/2000.
L'articolo 30 consente alla donna di partorire tanto in una struttura pubblica quanto in una privata dove poter lasciare il bambino appena nato, senza riconoscerlo e mantenendo il più stretto anonimato sulla propria identità.
Ciò senza implicazione sulla cura a lei riservata: alla luce del principio costituzionale che garantisce a tutti il diritto alla salute, alla partoriente che manifesta la volontà di non riconoscere il bambino devono essere rese le cure e l'assistenza sanitaria garantita a chi, invece, non fa questa scelta.
A seguito della quale, per la direzione della struttura sanitaria sorge l'obbligo di segnalare quanto accaduto alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni territorialmente competente (quello che ha giurisdizione sul Comune in cui è nato il bambino, Bari per Molfetta ad esempio), affinchè si avvii l'iter per l'adozione.
IL BAMBINO...ADULTO
In una situazione del genere il primo diritto garantito a un nascituro è, appunto, la nascita. Perchè la normativa citata sopra è finalizzata soprattutto a garantire la salute del piccolo a cui la struttura ospedaliera dove viene al mondo deve ogni cura, pure in assenza del riconoscimento di un genitore.
Ma cosa succede nel caso in cui, una volta adulto, quel bambino abbandonato voglia comunque conoscere le proprie radici?
Innanzitutto spartiacque nella sua esistenza è il compimento della maggiore età, prerogativa fondamentale per ogni azione legale in Italia.
E' altrettanto bene dire, tuttavia, che in Italia ad oggi non è in vigore alcuna legge che riconosca nero su bianco il diritto a sapere chi ci ha messo al mondo.
La carenza normativa però è stata parzialmente sopperita dalla sentenza n. 1946/2017 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite: "In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte stessa, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità".
Che significa?
Significa che nessuno giudice può decidere di rigettare a priori la domanda che deve essere formulata per mezzo di ricorso al Tribunale per i Minorenni competente.
Spetterà al Giudice istruttore contattare la donna e verificare se è ancora o no in vita e se vuole o meno continuare a restare anonima.
Qualora la donna, ancora in vita, affermi di non volere che la propria identità venga rilevata, il Giudice ha l'obbligo di darne comunicazione al ricorrente che non potrà procedere a sapere quanto voluto.
PER MAGGIORI INFORMAZIONI: https://www.facebook.com/StudioLegaleMariaMarino/?ref=bookmarks
Non è certo questa la sede per esaminare le ragioni che hanno indotto la madre a tale gesto nè di giudicarlo ma è un fatto di cronaca che fa indubbiamente riflettere e dal quale è possibile partire per approfondire un argomento: quali sono i diritti della donna che decide di lasciare il proprio figlio? E quali sono quelli del figlio, una volta adulto, circa la ricerca delle proprio origini?
LA MADRE
Al fine di evitare l'abbandono, magari in un cassonetto o in qualche altro luogo indicibile come purtroppo spesso viene raccontato dai giornali, il legislatore ha posto un punto fermo: il D.P.R. N. 396/2000.
L'articolo 30 consente alla donna di partorire tanto in una struttura pubblica quanto in una privata dove poter lasciare il bambino appena nato, senza riconoscerlo e mantenendo il più stretto anonimato sulla propria identità.
Ciò senza implicazione sulla cura a lei riservata: alla luce del principio costituzionale che garantisce a tutti il diritto alla salute, alla partoriente che manifesta la volontà di non riconoscere il bambino devono essere rese le cure e l'assistenza sanitaria garantita a chi, invece, non fa questa scelta.
A seguito della quale, per la direzione della struttura sanitaria sorge l'obbligo di segnalare quanto accaduto alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni territorialmente competente (quello che ha giurisdizione sul Comune in cui è nato il bambino, Bari per Molfetta ad esempio), affinchè si avvii l'iter per l'adozione.
IL BAMBINO...ADULTO
In una situazione del genere il primo diritto garantito a un nascituro è, appunto, la nascita. Perchè la normativa citata sopra è finalizzata soprattutto a garantire la salute del piccolo a cui la struttura ospedaliera dove viene al mondo deve ogni cura, pure in assenza del riconoscimento di un genitore.
Ma cosa succede nel caso in cui, una volta adulto, quel bambino abbandonato voglia comunque conoscere le proprie radici?
Innanzitutto spartiacque nella sua esistenza è il compimento della maggiore età, prerogativa fondamentale per ogni azione legale in Italia.
E' altrettanto bene dire, tuttavia, che in Italia ad oggi non è in vigore alcuna legge che riconosca nero su bianco il diritto a sapere chi ci ha messo al mondo.
La carenza normativa però è stata parzialmente sopperita dalla sentenza n. 1946/2017 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite: "In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte stessa, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità".
Che significa?
Significa che nessuno giudice può decidere di rigettare a priori la domanda che deve essere formulata per mezzo di ricorso al Tribunale per i Minorenni competente.
Spetterà al Giudice istruttore contattare la donna e verificare se è ancora o no in vita e se vuole o meno continuare a restare anonima.
Qualora la donna, ancora in vita, affermi di non volere che la propria identità venga rilevata, il Giudice ha l'obbligo di darne comunicazione al ricorrente che non potrà procedere a sapere quanto voluto.
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