Una volontaria molfettese nel carcere di La Paz in Bolivia
Carmen Ventura: «la mia professionalità al servizio degli altri»
Molfetta - martedì 9 febbraio 2016
«Era forte la voglia che avevo di fare un esperienza fuori dal comune», incomincia così il suo racconto Carmen Ventura, che per otto mesi ha prestato la sua opera come volontaria dell'associazione "Laboratorio solidale" di Rimini nel carcere di San Pedro a La Paz in Bolivia.
«Nulla di straordinario o coraggioso - ci dice ancora Carmen - ma solo la voglia di mettere la mia professionalità (ndr. psicoterapeuta) al servizio degli altri. Spiegare cosa mi ha spinto a questa scelta è molto complesso, nel senso che sono sensazioni che partono dalla mia voglia forte di aiutare gli altri. Sono partita con un pizzico di incoscienza, non conoscevo la lingua, ma i gesti e i sorrisi dei bambini, dei carcerati e delle equipe con cui ho collaborato mi hanno aiutato a superare anche questa difficoltà».
L'incontro con l'Associazione di volontariato e con il presidente, Barbara Magalotti, che è anche la coordinatrice del centro per i minori "Allegria", avviene per caso attraverso un fotografo che espone i suoi lavori a Molfetta, che gli parla di questa associazione, dei progetti che hanno in America Latina, dopo una serie di colloqui, Carmen viene reputata idonea per affrontare questa esperienza unica.
La volontaria molfettese ci spiega subito di cancellare la nostra idea di carcere e ci guida in quella che è la realtà carceraria di "San Pedro", le sue descrizioni sono così puntuali che sembra quasi di fare una visita guidata a chilometri di distanza, ma soprattutto sono i suoi occhi brillanti ed entusiasti a raccontare quella realtà.
«Il carcere di San Pedro - ci dice - è una sorta di villaggio diviso in tanti settori, lo Stato passa solo un rancio e la gestione dell'intero carcere è in "autogestione" da parte dei detenuti, che svolgono le varie mansioni per avere una vita più o meno dignitosa. Altra particolarità è che i detenuti prendono in fitto le celle per questo portano con loro anche le famiglie. I bambini più grandi – continua Carmen - frequentano le scuole al di fuori del carcere, mentre per i più piccoli all'interno del carcere c'è il centro educativo per minori che propone attività ludico ricreative e attività fuori dal carcere tutti i giorni dalle ore 9 alle ore 12,30 e dalle ore 14 alle ore 17, oltre che aiutare i più grandi nello svolgimento dei compiti e nel sostegno scolastico. Ogni giorno il centro ospita circa 30/40 bambini».
E' un'altra realtà, un altro modo di intendere il periodo di detenzione, alla nostra domanda i minori in carcere, Carmen non sa darci una risposta, «non so dare una risposta precisa, perché sembra strano ma i bimbi all'interno mantengono strani equilibri, come se la loro presenza rendesse più umano il carcere. In più responsabilizzano gli stessi padri detenuti, mantenendo anche una relazione con gli stessi bambini, e dove presenti le mamme si ricrea proprio il nucleo familiare».
Cosa ti porterai dentro di questa esperienza?
«Non smetterò mai di ringraziare Barbara Magalotti, per aver creduto in me e per avermi dato questa opportunità. Sicuramente il sorriso dei bambini, ma anche l'affetto che mi hanno dimostrato a modo loro i carcerati. Non è stato facile, ma sono veramente felice di aver fatto questa esperienza, che mi ha permesso non solo di essere di aiuto agli altri ma anche di concentrarmi su quelle che sono le mie priorità lavorative: donne, minori e migranti».
E ora?
«Ricca dell'esperienza di La Paz, forte è il richiamo verso l'Africa, ma al momento rimango al servizio della mia città».
«Nulla di straordinario o coraggioso - ci dice ancora Carmen - ma solo la voglia di mettere la mia professionalità (ndr. psicoterapeuta) al servizio degli altri. Spiegare cosa mi ha spinto a questa scelta è molto complesso, nel senso che sono sensazioni che partono dalla mia voglia forte di aiutare gli altri. Sono partita con un pizzico di incoscienza, non conoscevo la lingua, ma i gesti e i sorrisi dei bambini, dei carcerati e delle equipe con cui ho collaborato mi hanno aiutato a superare anche questa difficoltà».
L'incontro con l'Associazione di volontariato e con il presidente, Barbara Magalotti, che è anche la coordinatrice del centro per i minori "Allegria", avviene per caso attraverso un fotografo che espone i suoi lavori a Molfetta, che gli parla di questa associazione, dei progetti che hanno in America Latina, dopo una serie di colloqui, Carmen viene reputata idonea per affrontare questa esperienza unica.
La volontaria molfettese ci spiega subito di cancellare la nostra idea di carcere e ci guida in quella che è la realtà carceraria di "San Pedro", le sue descrizioni sono così puntuali che sembra quasi di fare una visita guidata a chilometri di distanza, ma soprattutto sono i suoi occhi brillanti ed entusiasti a raccontare quella realtà.
«Il carcere di San Pedro - ci dice - è una sorta di villaggio diviso in tanti settori, lo Stato passa solo un rancio e la gestione dell'intero carcere è in "autogestione" da parte dei detenuti, che svolgono le varie mansioni per avere una vita più o meno dignitosa. Altra particolarità è che i detenuti prendono in fitto le celle per questo portano con loro anche le famiglie. I bambini più grandi – continua Carmen - frequentano le scuole al di fuori del carcere, mentre per i più piccoli all'interno del carcere c'è il centro educativo per minori che propone attività ludico ricreative e attività fuori dal carcere tutti i giorni dalle ore 9 alle ore 12,30 e dalle ore 14 alle ore 17, oltre che aiutare i più grandi nello svolgimento dei compiti e nel sostegno scolastico. Ogni giorno il centro ospita circa 30/40 bambini».
E' un'altra realtà, un altro modo di intendere il periodo di detenzione, alla nostra domanda i minori in carcere, Carmen non sa darci una risposta, «non so dare una risposta precisa, perché sembra strano ma i bimbi all'interno mantengono strani equilibri, come se la loro presenza rendesse più umano il carcere. In più responsabilizzano gli stessi padri detenuti, mantenendo anche una relazione con gli stessi bambini, e dove presenti le mamme si ricrea proprio il nucleo familiare».
Cosa ti porterai dentro di questa esperienza?
«Non smetterò mai di ringraziare Barbara Magalotti, per aver creduto in me e per avermi dato questa opportunità. Sicuramente il sorriso dei bambini, ma anche l'affetto che mi hanno dimostrato a modo loro i carcerati. Non è stato facile, ma sono veramente felice di aver fatto questa esperienza, che mi ha permesso non solo di essere di aiuto agli altri ma anche di concentrarmi su quelle che sono le mie priorità lavorative: donne, minori e migranti».
E ora?
«Ricca dell'esperienza di La Paz, forte è il richiamo verso l'Africa, ma al momento rimango al servizio della mia città».