Eventi e folklore
Un salto indietro nel tempo con il Corteo di Santa Rita
Tantissima gente lungo il percorso
Molfetta - lunedì 18 maggio 2015
7.23
Complici le favorevoli condizioni meteo, il Corteo di Santa Rita, giunto alla sua quarta edizione, è stato un vero e proprio successo, visto il numero degli spettatori che si sono assiepati lungo tutto il percorso da Piazza Margherita di Savoia al sagrato della Chiesa di san Domenico. E' stato veramente un lavoro corale, frutto della sinergia fra l'Associazione Santa Rita, il Centro Culturale Auditorium e la Parrocchia San Domenico di Molfetta.
Centinaia di figuranti con costumi molto curati, che rappresentavano tutte le fasce della popolazione:dai nobili agli armigeri, dai religiosi agli sbandieratori, dai popolani alle suore, hanno sfilato in maniera ordinata e composta lungo le vie prescelte. Man mano che gli anni passano c'è una maggiore organizzazione, cura,ricerca dei costumi e della parte fonica. La regia del corteo è stata curata da don Franco Sancilio (deus ex machina), Anna Isabella Armenio, Antonella Binetti e Maria Giancaspro.
Alla riuscita dell'iniziativa, hanno collaborato le zelatrici di san Domenico, insieme all'oratorio, all'Azione Cattolica e ai catechisti; l'Associazione Sbandieratori di Capurso, il Gruppo Archibugi e Tamburini di Barletta, l'Associazione Sbandieratori di Grumo Appula, la Scuola primaria don Cosmo Azzollini e l'atelier sartoriale del corteo. Tanti anche i piccoli figuranti che hanno messo in scena le parti ballate e di indubbio valore anche gli sbandieratori. Di grande presa le parti recitate che hanno visto narrare le vicende salienti della vita della santa dell' impossibile, come è definita.
Il corteo storico infatti si è avvalso di veri e propri quadri scenici in cui è stata raccontata la tribolata vita della santa fino, dopo circa due ore dall' inizio del corteo,alla glorificazione sul sagrato della chiesa di San Domenico. Ogni fanciulla reggeva fra le mani una rosa rossa, simbolo della santa. Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, Rita da Cascia (Roccaporena, 1381 – Cascia, 22 maggio 1457), monaca agostiniana a Cascia (PG), fu proclamata santa da papa Leone XIII nel 1900. Uno dei primi quadri narrati è quello legato alla leggenda delle api. La leggenda narra che, mentre i genitori erano occupati a mietere, la piccolissima Rita era stata posta sotto un albero entro una cesta. Un contadino si ferì con la falce ed abbandonò il lavoro per farsi medicare. Passò davanti alla bambina e vide delle api intorno alla cesta e, con la mano ferita, tentò di allontanarle. La ferita si rimarginò. Le api non punsero la piccola Rita, invece le depositarono il miele nella bocca.
Secondo le biografie tradizionali, Rita nacque da Antonio Lotti e Amata Ferri, genitori già anziani, molto religiosi, nominati dal Comune come "pacieri di Cristo" nelle lotte politiche e familiari tra guelfi e ghibellini, e in discrete condizioni economiche, come proprietari di terreni agricoli. I genitori, come era d'uso, la indirizzarono molto presto verso il matrimonio; Rita sposò quindi Paolo di Ferdinando di Mancino (o Mancini), forse un ufficiale della guarnigione di Collegiacone, descritto tradizionalmente come un uomo orgoglioso ed irruente, appartenente alla fazione ghibellina. Il carattere mite di Rita acquietò, col tempo, lo spirito impulsivo e violento del marito, tanto che questi abbandonò le armi per convertirsi al lavoro presso un mulino. Nacquero due figli (forse gemelli), Giangiacomo Antonio e Paolo Maria. Dopo diciotto anni di matrimonio, Paolo Mancini venne ucciso - probabilmente da suoi ex-compagni, a causa di rancori passati ed accuse di tradimento - mentre rincasava in piena notte. Tuttavia, Rita non serbò odio per gli assassini, anzi pregò anche per i suoi due figli che, come era costume del tempo, probabilmente stavano pensando alla vendetta. I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente. Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano a Cascia, qui avrebbe ricevuto una spina dalla corona del Crocifisso conficcata in fronte. Nonostante la fredda stagione, nell'inverno prima di morire Rita mandò sua cugina a prendere una rosa e due fichi nel suo orto a Roccaporena. La cugina, incredula, pensava che delirasse, ma trovò tra la neve la rosa rossa e i fichi richiesti, segni interpretati come la salvezza ed il candore dell'anima di suo marito e dei suoi figli.
Sulla base di questi racconti, le api, le rose e la spina sono diventati gli attributi iconografici più frequenti della santa. La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte e fu caratterizzata dall'elevato numero e dalla qualità degli eventi prodigiosi, riferiti alla sua intercessione, tanto che acquisì l'allocuzione di "santa degli impossibili". A Molfetta la numerosa comunità di San Domenico la prega e la venera e, nonostante non vi siano particolari legami con la città, la santa gode di una profonda venerazione che si esprime durante la novena, la processione e la benedizione delle rose benedette. Da quattro anni i corteo storico inoltre richiama sempre più gente, appassionati e curiosi tanto che parteciperà nel mese di agosto alla rassegna nazionale dei cortei Storici che si svolgerà in provincia di Trapani. Visto il successo, un pezzettino di Molfetta si trasferirà in quel di Sicilia.
Centinaia di figuranti con costumi molto curati, che rappresentavano tutte le fasce della popolazione:dai nobili agli armigeri, dai religiosi agli sbandieratori, dai popolani alle suore, hanno sfilato in maniera ordinata e composta lungo le vie prescelte. Man mano che gli anni passano c'è una maggiore organizzazione, cura,ricerca dei costumi e della parte fonica. La regia del corteo è stata curata da don Franco Sancilio (deus ex machina), Anna Isabella Armenio, Antonella Binetti e Maria Giancaspro.
Alla riuscita dell'iniziativa, hanno collaborato le zelatrici di san Domenico, insieme all'oratorio, all'Azione Cattolica e ai catechisti; l'Associazione Sbandieratori di Capurso, il Gruppo Archibugi e Tamburini di Barletta, l'Associazione Sbandieratori di Grumo Appula, la Scuola primaria don Cosmo Azzollini e l'atelier sartoriale del corteo. Tanti anche i piccoli figuranti che hanno messo in scena le parti ballate e di indubbio valore anche gli sbandieratori. Di grande presa le parti recitate che hanno visto narrare le vicende salienti della vita della santa dell' impossibile, come è definita.
Il corteo storico infatti si è avvalso di veri e propri quadri scenici in cui è stata raccontata la tribolata vita della santa fino, dopo circa due ore dall' inizio del corteo,alla glorificazione sul sagrato della chiesa di San Domenico. Ogni fanciulla reggeva fra le mani una rosa rossa, simbolo della santa. Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, Rita da Cascia (Roccaporena, 1381 – Cascia, 22 maggio 1457), monaca agostiniana a Cascia (PG), fu proclamata santa da papa Leone XIII nel 1900. Uno dei primi quadri narrati è quello legato alla leggenda delle api. La leggenda narra che, mentre i genitori erano occupati a mietere, la piccolissima Rita era stata posta sotto un albero entro una cesta. Un contadino si ferì con la falce ed abbandonò il lavoro per farsi medicare. Passò davanti alla bambina e vide delle api intorno alla cesta e, con la mano ferita, tentò di allontanarle. La ferita si rimarginò. Le api non punsero la piccola Rita, invece le depositarono il miele nella bocca.
Secondo le biografie tradizionali, Rita nacque da Antonio Lotti e Amata Ferri, genitori già anziani, molto religiosi, nominati dal Comune come "pacieri di Cristo" nelle lotte politiche e familiari tra guelfi e ghibellini, e in discrete condizioni economiche, come proprietari di terreni agricoli. I genitori, come era d'uso, la indirizzarono molto presto verso il matrimonio; Rita sposò quindi Paolo di Ferdinando di Mancino (o Mancini), forse un ufficiale della guarnigione di Collegiacone, descritto tradizionalmente come un uomo orgoglioso ed irruente, appartenente alla fazione ghibellina. Il carattere mite di Rita acquietò, col tempo, lo spirito impulsivo e violento del marito, tanto che questi abbandonò le armi per convertirsi al lavoro presso un mulino. Nacquero due figli (forse gemelli), Giangiacomo Antonio e Paolo Maria. Dopo diciotto anni di matrimonio, Paolo Mancini venne ucciso - probabilmente da suoi ex-compagni, a causa di rancori passati ed accuse di tradimento - mentre rincasava in piena notte. Tuttavia, Rita non serbò odio per gli assassini, anzi pregò anche per i suoi due figli che, come era costume del tempo, probabilmente stavano pensando alla vendetta. I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente. Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano a Cascia, qui avrebbe ricevuto una spina dalla corona del Crocifisso conficcata in fronte. Nonostante la fredda stagione, nell'inverno prima di morire Rita mandò sua cugina a prendere una rosa e due fichi nel suo orto a Roccaporena. La cugina, incredula, pensava che delirasse, ma trovò tra la neve la rosa rossa e i fichi richiesti, segni interpretati come la salvezza ed il candore dell'anima di suo marito e dei suoi figli.
Sulla base di questi racconti, le api, le rose e la spina sono diventati gli attributi iconografici più frequenti della santa. La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte e fu caratterizzata dall'elevato numero e dalla qualità degli eventi prodigiosi, riferiti alla sua intercessione, tanto che acquisì l'allocuzione di "santa degli impossibili". A Molfetta la numerosa comunità di San Domenico la prega e la venera e, nonostante non vi siano particolari legami con la città, la santa gode di una profonda venerazione che si esprime durante la novena, la processione e la benedizione delle rose benedette. Da quattro anni i corteo storico inoltre richiama sempre più gente, appassionati e curiosi tanto che parteciperà nel mese di agosto alla rassegna nazionale dei cortei Storici che si svolgerà in provincia di Trapani. Visto il successo, un pezzettino di Molfetta si trasferirà in quel di Sicilia.