Un fiume di studenti in marcia a Molfetta per ricordare don Tonino Bello
L'iniziativa organizzata dalla scuola a lui intitolata
Molfetta - giovedì 20 aprile 2023
12.44
Corso Umberto si è tinto di colori e sorrisi stamattina per la "Marcia della Pace" in memoria di don Tonino Bello, organizzata dalla scuola che porta il suo nome. Un lungo cammino iniziato da Piazza Aldo Moro e che ha visto la conclusione in Episcopio, con momenti di riflessione degli studenti alla presenza del Vescovo Mons. Domenico Cornacchia.
Era il 7 dicembre del 1992 quando, ormai in fin di vita per un cancro allo stomaco già in metastasi (sarebbe morto il 20 aprile 1993, esattamente 30 anni fa), Tonino Bello, presidente nazionale di Pax Christi, decise di recarsi a Sarajevo. Un pesante maglione, un berretto di lana, una croce di legno sul petto: viso smagrito, occhi incavati, corpo consumato. Era consapevole che i suoi giorni stavano per finire ma lui volle sfidare anche la morte. «Andrò a Sarajevo anche con le flebo», diceva a noi tutti, convinto che bisognava iniettare nelle vene della storia nuova linfa, per un mondo di pace.
Era la prima guerra in Europa dal 1945 e don Tonino aveva intuito che quella guerra sarebbe stata matrigna, capace di generare altri conflitti ed insieme odi razziali e migrazioni di massa che non vedevamo dai tempi di Hitler e Stalin. Si riaffacciavano in quei giorni nella nostra europa i fantasmi del nazionalismo, della razza, del peso della storia, della pulizia etnica con i quali oggi stiamo facendo drammaticamente i conti e che invece credevamo aver sepolto per sempre.
La memoria come un forte segno di speranza, sempre nel suo nome: "Se cerchi la pace va incontro ai poveri, fatti povero come loro. Il futuro ha i piedi scalzi, il futuro è dei poveri. Gli annunciatori di pace sono loro".
Era il 7 dicembre del 1992 quando, ormai in fin di vita per un cancro allo stomaco già in metastasi (sarebbe morto il 20 aprile 1993, esattamente 30 anni fa), Tonino Bello, presidente nazionale di Pax Christi, decise di recarsi a Sarajevo. Un pesante maglione, un berretto di lana, una croce di legno sul petto: viso smagrito, occhi incavati, corpo consumato. Era consapevole che i suoi giorni stavano per finire ma lui volle sfidare anche la morte. «Andrò a Sarajevo anche con le flebo», diceva a noi tutti, convinto che bisognava iniettare nelle vene della storia nuova linfa, per un mondo di pace.
Era la prima guerra in Europa dal 1945 e don Tonino aveva intuito che quella guerra sarebbe stata matrigna, capace di generare altri conflitti ed insieme odi razziali e migrazioni di massa che non vedevamo dai tempi di Hitler e Stalin. Si riaffacciavano in quei giorni nella nostra europa i fantasmi del nazionalismo, della razza, del peso della storia, della pulizia etnica con i quali oggi stiamo facendo drammaticamente i conti e che invece credevamo aver sepolto per sempre.
La memoria come un forte segno di speranza, sempre nel suo nome: "Se cerchi la pace va incontro ai poveri, fatti povero come loro. Il futuro ha i piedi scalzi, il futuro è dei poveri. Gli annunciatori di pace sono loro".