Cronaca
Soldi per pilotare le indagini. In silenzio davanti al Gip: restano in carcere
Ieri gli interrogatori: si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere, nessuna istanza di attenuazione della misura cautelare
Molfetta - martedì 23 giugno 2020
14.46
Hanno scelto tutti di rimanere in silenzio davanti al giudice per le indagini preliminari Marco Galesi, i quattro arrestati nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in carcere anche due Carabinieri della Stazione di Giovinazzo, accusati, fra gli altri, di concorso esterno in associazione mafiosa.
Tutti, dunque, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, anche se Mario Malcangi, legale di Antonio Salerno, ha parlato di «mera questione tecnica» visti gli stretti tempi intercorsi fra gli arresti e gli interrogatori di ieri. Nessuno degli avvocati (Massimo Chiusolo per Mario Del Vecchio e Domenico Laforgia e Maurizio Masellis e Mario Mongelli per G.G., ndr), ha quindi chiesto un'attenuazione della misura cautelare. Il che significa che gli arrestati restano tutti dentro.
I difensori valuteranno adesso se sia il caso, entro 10 giorni dall'esecuzione della misura, di ricorrere al Riesame per i quattro arrestati - i due appuntati sono stati portati nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, gli altri due nella casa circondariale di Bari - accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa (taluni in qualità di promotori, gli altri in quella di concorrenti esterni), corruzione in atti giudiziari e rivelazione del segreto d'ufficio.
Dalle indagini, condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari diretti dal maggiore Stefano Invernizzi, con il coordinamento del sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia Federico Perrone Capano, è emerso che i due Carabinieri, in servizio a Giovinazzo, avrebbero ricevuto denaro e altre utilità per omettere o ritardare atti del proprio ufficio e per compiere atti contrari ai doveri di ufficio, al fine di agevolare i Di Cosola.
A sua volta, l'esponente locale del clan mafioso, tramite il commerciante, avrebbe indotto i due Carabinieri a rivelare informazioni relative ad operazioni di polizia giudiziaria, a fornire dettagli sui turni di servizio dei colleghi della Stazione e sugli orari in cui sarebbero avvenuti i controlli nei confronti degli affiliati sottoposti a misure coercitive. Tre volte, infine, secondo l'accusa, i due militari avrebbero consegnato documenti con verbali di dichiarazioni resi da pentiti.
Dopo aver fatto scena muta innanzi al giudice per le indagini preliminari Marco Galesi, che aveva firmato le ordinanze di custodia cautelare alla base del blitz ed eseguite dagli uomini dell'Arma, i quattro arrestati restano in carcere. Si vedrà poi, se ci si arriverà, cosa ne pensano il giudici del Tribunale del Riesame.
Tutti, dunque, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, anche se Mario Malcangi, legale di Antonio Salerno, ha parlato di «mera questione tecnica» visti gli stretti tempi intercorsi fra gli arresti e gli interrogatori di ieri. Nessuno degli avvocati (Massimo Chiusolo per Mario Del Vecchio e Domenico Laforgia e Maurizio Masellis e Mario Mongelli per G.G., ndr), ha quindi chiesto un'attenuazione della misura cautelare. Il che significa che gli arrestati restano tutti dentro.
I difensori valuteranno adesso se sia il caso, entro 10 giorni dall'esecuzione della misura, di ricorrere al Riesame per i quattro arrestati - i due appuntati sono stati portati nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, gli altri due nella casa circondariale di Bari - accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa (taluni in qualità di promotori, gli altri in quella di concorrenti esterni), corruzione in atti giudiziari e rivelazione del segreto d'ufficio.
Dalle indagini, condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari diretti dal maggiore Stefano Invernizzi, con il coordinamento del sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia Federico Perrone Capano, è emerso che i due Carabinieri, in servizio a Giovinazzo, avrebbero ricevuto denaro e altre utilità per omettere o ritardare atti del proprio ufficio e per compiere atti contrari ai doveri di ufficio, al fine di agevolare i Di Cosola.
A sua volta, l'esponente locale del clan mafioso, tramite il commerciante, avrebbe indotto i due Carabinieri a rivelare informazioni relative ad operazioni di polizia giudiziaria, a fornire dettagli sui turni di servizio dei colleghi della Stazione e sugli orari in cui sarebbero avvenuti i controlli nei confronti degli affiliati sottoposti a misure coercitive. Tre volte, infine, secondo l'accusa, i due militari avrebbero consegnato documenti con verbali di dichiarazioni resi da pentiti.
Dopo aver fatto scena muta innanzi al giudice per le indagini preliminari Marco Galesi, che aveva firmato le ordinanze di custodia cautelare alla base del blitz ed eseguite dagli uomini dell'Arma, i quattro arrestati restano in carcere. Si vedrà poi, se ci si arriverà, cosa ne pensano il giudici del Tribunale del Riesame.