Seminario "Oltre l’ansia" a Molfetta: «Va trasformata in un’occasione di crescita interiore per migliorare»
Il resoconto dell'incontro a cui hanno preso parte diversi ospiti del territorio
Molfetta - giovedì 3 ottobre 2024
10.19
Domenica 29 settembre alle ore 18:30, presso la saletta "ArteinScena", in via Amedeo Modigliani n. 24 dell'omonima Associazione "per la Promozione Sociale, Artistica, Culturale" si è svolto il seminario dal titolo "Oltre l'ansia: dal sapere al saper fare. Strumenti per la cura dell'ansia", a cura della molfettese Lorena Sancilio.
Ospiti dell'evento sono stati Alessandra Rafanelli - psicologa molfettese e Giuseppe Valerio Caporale - sport coach tranese. Ne è nato un dibattito tra i due esperti e il pubblico presente sul complesso tema dell'ansia, con alcune attività di gruppo, con uno spazio per curiose domande e interventi emozionati. L'evento è stato aperto dalle parole di Lorena Sancilio, che ha raccontato di conoscere l'ansia per esperienza personale: da ciò ne è scaturito il desiderio di capirne di più e immaginare un approfondimento aperto al pubblico, con la partecipazione di esperti.
Ecco gli interventi di Rafanelli e Caporale, che hanno affrontato il tema ciascuno in base alla propria competenza ed esperienza professionale.
La dott.ssa Rafanelli ha introdotto l'ansia come un'emozione che ci appartiene ed è funzionale a proteggerci da stimoli minacciosi. In particolare, "l'ansia, come tutte le nostre emozioni, rappresenta le coordinate che ci permettono di orientarci con maggiore consapevolezza nel contesto che ci circonda". Infatti, ha chiosato: "La genetica predispone e l'ambiente ci determina: l'ansia patologica è nella nostra genetica, ma l'ambiente gioca un ruolo fondamentale nel farla emergere".
La psicologa ha quindi argomentato che essa non è una minaccia dalla quale difenderci ma piuttosto un fattore che si presenta in un momento di difficoltà della vita per permettere all'individuo di capire qual è il contrasto che sta vivendo. L'ansia è da immaginare come un "iceberg" e ci suggerisce di "dare voce al bambino che abbiamo dentro". Occorre allora acquisire consapevolezza della nostra autenticità, "quando non si è egosintonici con la propria anima".
E ha quindi concluso: "Chiedere aiuto, spesso, è da noi percepito come ammettere a sè stessi di aver fallito. Le fragilità, tuttavia, non sono affatto un pericolo, ma un'imperdibile opportunità per riscoprire sé stessi in un modo nuovo che ci apre nuove finestre e prospettive sulla nostra interiorità". Sono quindi seguite alcune attività di gruppo, con l'utilizzo di tecniche di meditazione volte alla gestione dei disturbi di ansia. Il dott. Caporale ha spiegato che l'ansia non è estranea al mondo dello sport ed è ricorrente sia nell'animo di atleti professionisti, che di chiunque decida di praticare una disciplina sportiva. L'ansia nello sport è un'efficace metafora della vita, strettamente connessa al tema della responsabilità. Ansia e responsabilità si atteggiano come due facce della stessa medaglia: dall'ansia della sfida sportiva alla responsabilità dell'affrontare il nuovo, rispetto al quale occorre guardarsi dentro per avere uno scatto di qualità ed evolvere in meglio. "L'ansia - ha dichiarato - ci serve per riflettere sulle nostre responsabilità nella vita e capire cosa ci serve per stare meglio".
Ha quindi invitato i presenti a redigere uno scritto in cui raccontare le proprie ansie dall'esterno: un esercizio di dissociazione "per immaginare un cambio di prospettive, un nuovo approccio per cercare nuove risposte: c'è una zona di luce, qualcosa che l'ansia ci dice e che non si riesce ad ascoltare?" Ha poi citato un esempio su tutti: l'atteggiamento mentale con cui Gianni Rivera ha giocato la semifinale di Italia - Germania Ovest nei Mondiali di calcio di Messico 1970. "Dopo aver sbagliato un calcio d'angolo in un momento cruciale della partita, Rivera ha preso coscienza del proprio errore, se n'è presa la responsabilità e ha fatto ciò che sapeva far meglio: fare goal. L'Italia ha vinto quella partita, battendo ai tempi supplementari la Germania 4 - 3, proprio grazie al goal di Rivera: con l'ansia, non dobbiamo esitare nell'errore, ma dare spazio al nostro talento per fare meglio e cambiare la partita, la nostra vita".
Ospiti dell'evento sono stati Alessandra Rafanelli - psicologa molfettese e Giuseppe Valerio Caporale - sport coach tranese. Ne è nato un dibattito tra i due esperti e il pubblico presente sul complesso tema dell'ansia, con alcune attività di gruppo, con uno spazio per curiose domande e interventi emozionati. L'evento è stato aperto dalle parole di Lorena Sancilio, che ha raccontato di conoscere l'ansia per esperienza personale: da ciò ne è scaturito il desiderio di capirne di più e immaginare un approfondimento aperto al pubblico, con la partecipazione di esperti.
Ecco gli interventi di Rafanelli e Caporale, che hanno affrontato il tema ciascuno in base alla propria competenza ed esperienza professionale.
La dott.ssa Rafanelli ha introdotto l'ansia come un'emozione che ci appartiene ed è funzionale a proteggerci da stimoli minacciosi. In particolare, "l'ansia, come tutte le nostre emozioni, rappresenta le coordinate che ci permettono di orientarci con maggiore consapevolezza nel contesto che ci circonda". Infatti, ha chiosato: "La genetica predispone e l'ambiente ci determina: l'ansia patologica è nella nostra genetica, ma l'ambiente gioca un ruolo fondamentale nel farla emergere".
La psicologa ha quindi argomentato che essa non è una minaccia dalla quale difenderci ma piuttosto un fattore che si presenta in un momento di difficoltà della vita per permettere all'individuo di capire qual è il contrasto che sta vivendo. L'ansia è da immaginare come un "iceberg" e ci suggerisce di "dare voce al bambino che abbiamo dentro". Occorre allora acquisire consapevolezza della nostra autenticità, "quando non si è egosintonici con la propria anima".
E ha quindi concluso: "Chiedere aiuto, spesso, è da noi percepito come ammettere a sè stessi di aver fallito. Le fragilità, tuttavia, non sono affatto un pericolo, ma un'imperdibile opportunità per riscoprire sé stessi in un modo nuovo che ci apre nuove finestre e prospettive sulla nostra interiorità". Sono quindi seguite alcune attività di gruppo, con l'utilizzo di tecniche di meditazione volte alla gestione dei disturbi di ansia. Il dott. Caporale ha spiegato che l'ansia non è estranea al mondo dello sport ed è ricorrente sia nell'animo di atleti professionisti, che di chiunque decida di praticare una disciplina sportiva. L'ansia nello sport è un'efficace metafora della vita, strettamente connessa al tema della responsabilità. Ansia e responsabilità si atteggiano come due facce della stessa medaglia: dall'ansia della sfida sportiva alla responsabilità dell'affrontare il nuovo, rispetto al quale occorre guardarsi dentro per avere uno scatto di qualità ed evolvere in meglio. "L'ansia - ha dichiarato - ci serve per riflettere sulle nostre responsabilità nella vita e capire cosa ci serve per stare meglio".
Ha quindi invitato i presenti a redigere uno scritto in cui raccontare le proprie ansie dall'esterno: un esercizio di dissociazione "per immaginare un cambio di prospettive, un nuovo approccio per cercare nuove risposte: c'è una zona di luce, qualcosa che l'ansia ci dice e che non si riesce ad ascoltare?" Ha poi citato un esempio su tutti: l'atteggiamento mentale con cui Gianni Rivera ha giocato la semifinale di Italia - Germania Ovest nei Mondiali di calcio di Messico 1970. "Dopo aver sbagliato un calcio d'angolo in un momento cruciale della partita, Rivera ha preso coscienza del proprio errore, se n'è presa la responsabilità e ha fatto ciò che sapeva far meglio: fare goal. L'Italia ha vinto quella partita, battendo ai tempi supplementari la Germania 4 - 3, proprio grazie al goal di Rivera: con l'ansia, non dobbiamo esitare nell'errore, ma dare spazio al nostro talento per fare meglio e cambiare la partita, la nostra vita".