Cultura, Eventi e Spettacolo
Riccardo Muti ripercorre la propria vita. Nei ricordi spazio al padre e a Molfetta
Giovedì il Maestro si è raccontato a Roma nel corso di RepIdee2016
Molfetta - sabato 11 giugno 2016
14.41
E' stato un Riccardo Muti sorridente e senza filtri quello che giovedi sera e' intervenuto a RepIdee2016, all'Auditorium Parco della Musica di Roma, intervistato da Leonetta Bentivoglio davanti a una platea gremita. Al primo grande applauso che l'ha accolto nella Sala Sinopoli, subito ne e' seguito un altro, quando il Maestro ha scherzato sulla scelta di accoglierlo con un filmato che lo mostrava mentre dirigeva la Chicago Symphony Orchestra nella Messa da Requiem di Verdi: "un augurio eterno", ha commentato con una battuta, evocando il suo prossimo 75/o compleanno il 28 luglio.
In un colloquio che e' apparso come un viaggio a ritroso nel tempo, quasi un autoritratto generosamente offerto al pubblico, Muti ha raccontato, tra aneddoti e battute, la sua vita privata e professionale, sempre tenendo il discorso ancorato a due argomenti chiave: da un lato l'orgoglio di essere italiano, dall'altro il valore della musica come "colonna portante della nostra storia, una medicina dell'anima che rende migliore la società'".
Dalle citta' della sua infanzia - Napoli (dove e' nato, e dove si e' diplomato in pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Majella) e Molfetta (dove da ragazzino ha iniziato a studiare il violino, mentre il padre guardava sconsolato quel figlio "che non aveva talento per la musica") - fino alla scelta della direzione musicale e poi l'inizio della carriera folgorante, il Maestro ha stregato tutti con i suoi ricordi, divertendo con uno spiccato senso dell'umorismo. Ma facendosi poi serio, quando il discorso ha virato sulla sua professione, oramai "divenuta comoda: dirigere lo possono fare tutti, diceva Toscanini. Fare musica dirigendo e' un altro discorso. Ora c'e' lo svilimento della professione. Fare il direttore d'orchestra significa ottenere dai musicisti il meglio della loro natura artistica e umana". Precisando poi che "il direttore d'orchestra deve essere onesto nei confronti del pubblico e dell'autore. Ha una responsabilita' morale. Io ho insistito molto nella mia carriera sul repertorio di Verdi perche' e' lui l'autore che e' stato piu' tradito, sia nella direzione che nel canto".
Il riferimento ai suoi recenti successi con l'Orchestra Cherubini a Ravenna e il suo ritorno alla Scala dopo anni di assenza in occasione della mostra con cui il teatro milanese gli rende omaggio, non lo hanno distratto dal riportare l'attenzione sul valore civico e sociale della sua attivita': "Io credo nell'Italia, ma deve riprendere il suo cammino. Potremmo essere il Paese piu' straordinario, ma non dobbiamo essere ammirati solo per cio' che siamo stati. Quando gli italiani ci si mettono sono
migliori degli altri".
E poi i giovani, ai quali dedica molte delle sue energie: "Per trasmettere un patrimonio ai giovani direttori servono le orchestre. In Corea del Sud ce ne sono 30, non parliamo poi della Cina e del Giappone. In Italia invece ci sono regioni senza orchestra. Chi studia al Conservatorio nel Sud deve accontentarsi dei dischi di musica, al Nord puo' andare a teatro. Neppure in TV c'e' attenzione alle orchestre. Eppure la musica sinfonica porta all'apprendimento del vivere sociale", ha proseguito, "ogni anno nei conservatori si diplomano centinaia di ragazzi, ma d'estate fanno camerieri e i bagnini. Se si studiasse la musica fin dai primi anni di scuola, almeno questi ragazzi potrebbero insegnare".
"Ignorare la musica e' ignorare le proprie radici - ha concluso - cosi' la pianta muore".
In un colloquio che e' apparso come un viaggio a ritroso nel tempo, quasi un autoritratto generosamente offerto al pubblico, Muti ha raccontato, tra aneddoti e battute, la sua vita privata e professionale, sempre tenendo il discorso ancorato a due argomenti chiave: da un lato l'orgoglio di essere italiano, dall'altro il valore della musica come "colonna portante della nostra storia, una medicina dell'anima che rende migliore la società'".
Dalle citta' della sua infanzia - Napoli (dove e' nato, e dove si e' diplomato in pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Majella) e Molfetta (dove da ragazzino ha iniziato a studiare il violino, mentre il padre guardava sconsolato quel figlio "che non aveva talento per la musica") - fino alla scelta della direzione musicale e poi l'inizio della carriera folgorante, il Maestro ha stregato tutti con i suoi ricordi, divertendo con uno spiccato senso dell'umorismo. Ma facendosi poi serio, quando il discorso ha virato sulla sua professione, oramai "divenuta comoda: dirigere lo possono fare tutti, diceva Toscanini. Fare musica dirigendo e' un altro discorso. Ora c'e' lo svilimento della professione. Fare il direttore d'orchestra significa ottenere dai musicisti il meglio della loro natura artistica e umana". Precisando poi che "il direttore d'orchestra deve essere onesto nei confronti del pubblico e dell'autore. Ha una responsabilita' morale. Io ho insistito molto nella mia carriera sul repertorio di Verdi perche' e' lui l'autore che e' stato piu' tradito, sia nella direzione che nel canto".
Il riferimento ai suoi recenti successi con l'Orchestra Cherubini a Ravenna e il suo ritorno alla Scala dopo anni di assenza in occasione della mostra con cui il teatro milanese gli rende omaggio, non lo hanno distratto dal riportare l'attenzione sul valore civico e sociale della sua attivita': "Io credo nell'Italia, ma deve riprendere il suo cammino. Potremmo essere il Paese piu' straordinario, ma non dobbiamo essere ammirati solo per cio' che siamo stati. Quando gli italiani ci si mettono sono
migliori degli altri".
E poi i giovani, ai quali dedica molte delle sue energie: "Per trasmettere un patrimonio ai giovani direttori servono le orchestre. In Corea del Sud ce ne sono 30, non parliamo poi della Cina e del Giappone. In Italia invece ci sono regioni senza orchestra. Chi studia al Conservatorio nel Sud deve accontentarsi dei dischi di musica, al Nord puo' andare a teatro. Neppure in TV c'e' attenzione alle orchestre. Eppure la musica sinfonica porta all'apprendimento del vivere sociale", ha proseguito, "ogni anno nei conservatori si diplomano centinaia di ragazzi, ma d'estate fanno camerieri e i bagnini. Se si studiasse la musica fin dai primi anni di scuola, almeno questi ragazzi potrebbero insegnare".
"Ignorare la musica e' ignorare le proprie radici - ha concluso - cosi' la pianta muore".