Politica
Porto, ritardo nei lavori per causa di forza maggiore
Il testo del ricorso: la posizione del Comune di Molfetta
Molfetta - venerdì 18 aprile 2014
7.58
Il Comune di Molfetta non è responsabile dei ritardi nella realizzazione del nuovo porto commerciale e, perciò, la CMC non può chiedere un ulteriore risarcimento danni, dopo quello del 2010 (7,5milioni di euro). È questa la motivazione ufficiale che ha spinto la giunta Natalicchio a richiedere al Tribunale di Trani l'accertamento tecnico preventivo sui lavori, dopo il ricorso ritirato dalla CMC, come già riportato nella dirigenziale dell'Ufficio Affari Legali dello scorso 28 marzo (il ricorso è stato protocollato al Tribunale il 31 marzo).
Peraltro, sono imminenti i corposi lavori per la messa in sicurezza del cantiere che comporteranno «una modifica rilevante e permanente dello stato di fatto» (lavori sollecitati dallo stesso Gip il 17 gennaio scorso). Ecco perché «si rende indispensabile procedere quanto prima all'espletamento dell'accertamento tecnico sui luoghi e sulle opere realizzate» da parte del consulente tecnico d'ufficio.
Sono ben 6 le richieste presenti nel testo del ricorso, in cui si riporta una vera e propria cronistoria dei lavori del porto: non solo verificare la completezza e correttezza a norma di legge del progetto esecutivo redatto dall'ATI (la sua rispondenza al progetto definitivo posto a base d'appalto, allo stato dei luoghi e alla prescrizioni del Capitolato speciale d'appalto), ma anche accertare le motivazioni che hanno determinato la redazione delle due perizie di variante e se la programmazione delle varie fasi lavorative abbia considerato lo stato dei luoghi.
Punto nevralgico sono, però, le ultime due richieste in riferimento alla presenza degli ordigni bellici (la loro presenza era prevista, prevedibile o comunque nota nella fase di progettazione definita ed esecutiva, nella fase di gara, di contratto e delle eventuali perizie?) e alla fondatezza e congruità delle riserve risarcitorie iscritte dalla CMC.
Infatti, con questo accertamento il Comune intende «chiarire l'infondatezza delle richieste economiche relative alle riserve iscritte dalla CMC» perché, innanzitutto, «l'attività di bonifica non è imputabile alla responsabilità dell'Amministrazione comunale, considerato che questa attività esula dalle competenze e dalla possibilità di intervento della stazione appaltante [Comune]».
Per di più, il prolungarsi dei lavori, secondo quanto riportato nel ricorso, non può essere addebitato all'Amministrazione comunale perché «l'abnormità del numero di ordigni da bonificare è tale da configurare una classica ipotesi di forza maggiore». Anzi, l'Amministrazione addita come «gravemente colposo» il comportamento dell'ATI che, pur avendo probabilmente contezza dello stato dei luoghi, ha accettato la consegna dei lavori. Non solo, ma rincara la dose sottolineando la «leggerezza dell'ATI» che, in base a quanto riportato nel ricorso, sarebbe stata «perfettamente consapevole della impraticabilità dei fondali portuali».
Del resto, l'appaltatore (CMC), secondo il Capitolato d'appalto, aveva l'obbligo di «effettuare, prima dell'inizio dei lavori, una ricognizione dei fondali». In particolare, all'art. 120, proprio in merito alla ricognizione, si conferma l'avvenuta bonifica degli ordigni bellici in alcune zone, prevedendo che la rimanente zona non ancora bonificata sarà affidata al Nucleo SDAI.
«Dal Capitolato risulta chiaramente che prima di dare inizio ai lavori di dragaggio - si legge nel ricorso -, fosse necessario completare le operazioni di bonifica di alcune aree interessate ai lavori». Inoltre, il contratto dell'aprile 2007 prevedeva che l'appaltatore avesse dichiarato «di aver effettuato la ricognizione dei luoghi ove dovranno essere eseguiti i lavori e di aver preso perfetta conoscenza della natura, dell'entità, della destinazione delle opere da eseguire».
Il ricorso si sofferma poi sulla consegna dei lavori (marzo 2008), nel cui verbale si constata che le uniche aree non accessibili per i lavori sono la zona rossa e altre 54 piccole zone di 100mq. «L'impresa ha dichiarato di essere pienamente edotta di tutte le circostanze relative i lavori, ivi compreso lo stato dei luoghi e di "accettare formalmente la consegna dei lavori in data odierna senza sollevare obiezioni di sorte" - continua il ricorso -. L'ATI, come visto perfettamente consapevole della impraticabilità di parte dei fondali portuali per la presenza degli ordigni, pur avendo la possibilità di accettare con riserva o rifiutare la consegna delle aree, per le quali non si conosceva la quantità degli ordigni, né la durata delle operazioni di bonifica, ha invece accettato senza alcuna riserva».
Insomma, sarà difficile sciogliere questa matassa in breve tempo. Tanto più che l'art. 248 del Capitolato sul dragaggio pone a carico dell'appaltatore la «rimozione dal fondale marino di relitti di qualsiasi tipo, di materiali ferrosi, rottami di cavi e materiali di plastica di vario genere, trovanti, scogli, ruderi di muratura»: purtroppo, non si citano in modo esplicito gli ordigni bellici, a meno che non li si voglia ridurre a semplici materiali ferrosi.
Peraltro, sono imminenti i corposi lavori per la messa in sicurezza del cantiere che comporteranno «una modifica rilevante e permanente dello stato di fatto» (lavori sollecitati dallo stesso Gip il 17 gennaio scorso). Ecco perché «si rende indispensabile procedere quanto prima all'espletamento dell'accertamento tecnico sui luoghi e sulle opere realizzate» da parte del consulente tecnico d'ufficio.
Sono ben 6 le richieste presenti nel testo del ricorso, in cui si riporta una vera e propria cronistoria dei lavori del porto: non solo verificare la completezza e correttezza a norma di legge del progetto esecutivo redatto dall'ATI (la sua rispondenza al progetto definitivo posto a base d'appalto, allo stato dei luoghi e alla prescrizioni del Capitolato speciale d'appalto), ma anche accertare le motivazioni che hanno determinato la redazione delle due perizie di variante e se la programmazione delle varie fasi lavorative abbia considerato lo stato dei luoghi.
Punto nevralgico sono, però, le ultime due richieste in riferimento alla presenza degli ordigni bellici (la loro presenza era prevista, prevedibile o comunque nota nella fase di progettazione definita ed esecutiva, nella fase di gara, di contratto e delle eventuali perizie?) e alla fondatezza e congruità delle riserve risarcitorie iscritte dalla CMC.
Infatti, con questo accertamento il Comune intende «chiarire l'infondatezza delle richieste economiche relative alle riserve iscritte dalla CMC» perché, innanzitutto, «l'attività di bonifica non è imputabile alla responsabilità dell'Amministrazione comunale, considerato che questa attività esula dalle competenze e dalla possibilità di intervento della stazione appaltante [Comune]».
Per di più, il prolungarsi dei lavori, secondo quanto riportato nel ricorso, non può essere addebitato all'Amministrazione comunale perché «l'abnormità del numero di ordigni da bonificare è tale da configurare una classica ipotesi di forza maggiore». Anzi, l'Amministrazione addita come «gravemente colposo» il comportamento dell'ATI che, pur avendo probabilmente contezza dello stato dei luoghi, ha accettato la consegna dei lavori. Non solo, ma rincara la dose sottolineando la «leggerezza dell'ATI» che, in base a quanto riportato nel ricorso, sarebbe stata «perfettamente consapevole della impraticabilità dei fondali portuali».
Del resto, l'appaltatore (CMC), secondo il Capitolato d'appalto, aveva l'obbligo di «effettuare, prima dell'inizio dei lavori, una ricognizione dei fondali». In particolare, all'art. 120, proprio in merito alla ricognizione, si conferma l'avvenuta bonifica degli ordigni bellici in alcune zone, prevedendo che la rimanente zona non ancora bonificata sarà affidata al Nucleo SDAI.
«Dal Capitolato risulta chiaramente che prima di dare inizio ai lavori di dragaggio - si legge nel ricorso -, fosse necessario completare le operazioni di bonifica di alcune aree interessate ai lavori». Inoltre, il contratto dell'aprile 2007 prevedeva che l'appaltatore avesse dichiarato «di aver effettuato la ricognizione dei luoghi ove dovranno essere eseguiti i lavori e di aver preso perfetta conoscenza della natura, dell'entità, della destinazione delle opere da eseguire».
Il ricorso si sofferma poi sulla consegna dei lavori (marzo 2008), nel cui verbale si constata che le uniche aree non accessibili per i lavori sono la zona rossa e altre 54 piccole zone di 100mq. «L'impresa ha dichiarato di essere pienamente edotta di tutte le circostanze relative i lavori, ivi compreso lo stato dei luoghi e di "accettare formalmente la consegna dei lavori in data odierna senza sollevare obiezioni di sorte" - continua il ricorso -. L'ATI, come visto perfettamente consapevole della impraticabilità di parte dei fondali portuali per la presenza degli ordigni, pur avendo la possibilità di accettare con riserva o rifiutare la consegna delle aree, per le quali non si conosceva la quantità degli ordigni, né la durata delle operazioni di bonifica, ha invece accettato senza alcuna riserva».
Insomma, sarà difficile sciogliere questa matassa in breve tempo. Tanto più che l'art. 248 del Capitolato sul dragaggio pone a carico dell'appaltatore la «rimozione dal fondale marino di relitti di qualsiasi tipo, di materiali ferrosi, rottami di cavi e materiali di plastica di vario genere, trovanti, scogli, ruderi di muratura»: purtroppo, non si citano in modo esplicito gli ordigni bellici, a meno che non li si voglia ridurre a semplici materiali ferrosi.