Cronaca
Pizzo sui proventi della rapina: la richiesta del clan ai ladri
Le rivelazioni durante le indagini che hanno portato ai tre arresti per il colpo a casa di Navach
Molfetta - mercoledì 29 marzo 2017
11.02
Gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Bari hanno arrestato tre pregiudicati accusati della rapina in casa dell'avvocato barese Massimo Navach, l'8 febbraio 2017 e del sequestro di tre donne, tra cui la figlia minorenne del legale. Il colpo, stando alla denuncia, fruttò un bottino di circa 500mila euro, soprattutto in gioielli.
Ai tre presunti rapinatori soggetti legati alla criminalità organizzata avevano chiesto il pizzo sui proventi del colpo. Il particolare è emerso dagli atti di indagine. Il pm Bruna Manganelli contesta ai tre i reati di rapina pluriaggravata, sequestro di persona e detenzione illegale di arma da sparo. Durante la rapina, infatti, tre donne (la moglie dell'avvocato, la figlia minorenne e la collaboratrice domestica) furono legate con nastro adesivo, immobilizzate e minacciate.
In carcere sono finiti il 67enne di Bari Gennaro Urbano, il 51enne di Capurso Domenico Ottomano e il 49enne di Molfetta Nicola Altieri, tutti con precedenti specifici per rapina. Altieri era a piede libero mentre gli altri due erano in cella da sabato 25 marzo perché arrestati in flagranza di reato mentre andavano a compiere un'altra rapina con le medesime modalità.
Stando alla ricostruzione fatta dagli investigatori, i tre avevano pianificato la rapina a casa dell'avvocato Navach da tempo. Materialmente l'avrebbero eseguita Ottomano e Altieri, armati con pistola e con volto travisato, mentre Ottomano li avrebbe aspettati in macchina. Alla loro identificazione si è giunti proprio grazie all'auto, una Fiat Marea usata da Urbano.
Ai presunti rapinatori soggetti legati alla criminalità organizzata avevano chiesto il pizzo sui proventi del colpo. Il particolare emerge dagli atti di indagine. Della richiesta di denaro, «una quota sui guadagni illeciti legati a furti in casa e rapine» si legge nell'ordinanza, i tre parlano in macchina, intercettati dagli investigatori. «Questi vanno facendo le estorsioni ai ladri» dicono gli indagati, riferendosi ad affiliati ad un clan barese.
Per pagare meno si accordano poi sull'importo del bottino, quantificando il valore della rapina in 15mila euro rispetto agli effettivi 500mila.
Nell'ordinanza di arresto, emessa dal gip Giovanni Abbattista, i tre ammettono poi di aver simulato un accento napoletano (come descritto nelle denunce delle vittime). «Se stai zitta non ti succede niente, se urli ammazzo te o tua figlia - avrebbero detto durante la rapina alle tre donne immobilizzate -. Aspettate quindici minuti prima di chiamare i soccorsi. Se non lo fai, sappi che conosco bene te e la tua famiglia, domani torno e ti ammazzo».
Dagli atti emerge anche il riferimento ad un noto ricettatore del nord barese al quale il gruppo avrebbe rivenduto la refurtiva. I tre, inoltre, stavano progettando nuovi colpi. «Sto guardando piante grosse, - dicono - sto pensando a due, tre cose grosse».
Ai tre presunti rapinatori soggetti legati alla criminalità organizzata avevano chiesto il pizzo sui proventi del colpo. Il particolare è emerso dagli atti di indagine. Il pm Bruna Manganelli contesta ai tre i reati di rapina pluriaggravata, sequestro di persona e detenzione illegale di arma da sparo. Durante la rapina, infatti, tre donne (la moglie dell'avvocato, la figlia minorenne e la collaboratrice domestica) furono legate con nastro adesivo, immobilizzate e minacciate.
In carcere sono finiti il 67enne di Bari Gennaro Urbano, il 51enne di Capurso Domenico Ottomano e il 49enne di Molfetta Nicola Altieri, tutti con precedenti specifici per rapina. Altieri era a piede libero mentre gli altri due erano in cella da sabato 25 marzo perché arrestati in flagranza di reato mentre andavano a compiere un'altra rapina con le medesime modalità.
Stando alla ricostruzione fatta dagli investigatori, i tre avevano pianificato la rapina a casa dell'avvocato Navach da tempo. Materialmente l'avrebbero eseguita Ottomano e Altieri, armati con pistola e con volto travisato, mentre Ottomano li avrebbe aspettati in macchina. Alla loro identificazione si è giunti proprio grazie all'auto, una Fiat Marea usata da Urbano.
Ai presunti rapinatori soggetti legati alla criminalità organizzata avevano chiesto il pizzo sui proventi del colpo. Il particolare emerge dagli atti di indagine. Della richiesta di denaro, «una quota sui guadagni illeciti legati a furti in casa e rapine» si legge nell'ordinanza, i tre parlano in macchina, intercettati dagli investigatori. «Questi vanno facendo le estorsioni ai ladri» dicono gli indagati, riferendosi ad affiliati ad un clan barese.
Per pagare meno si accordano poi sull'importo del bottino, quantificando il valore della rapina in 15mila euro rispetto agli effettivi 500mila.
Nell'ordinanza di arresto, emessa dal gip Giovanni Abbattista, i tre ammettono poi di aver simulato un accento napoletano (come descritto nelle denunce delle vittime). «Se stai zitta non ti succede niente, se urli ammazzo te o tua figlia - avrebbero detto durante la rapina alle tre donne immobilizzate -. Aspettate quindici minuti prima di chiamare i soccorsi. Se non lo fai, sappi che conosco bene te e la tua famiglia, domani torno e ti ammazzo».
Dagli atti emerge anche il riferimento ad un noto ricettatore del nord barese al quale il gruppo avrebbe rivenduto la refurtiva. I tre, inoltre, stavano progettando nuovi colpi. «Sto guardando piante grosse, - dicono - sto pensando a due, tre cose grosse».