Cronaca
Operazione “Transilvania”. Dodici soggetti, italiani e rumeni in custodia cautelare
Sgominata una banda dedita allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione
Molfetta - mercoledì 12 marzo 2014
17.32
MOLFETTA - Dodici i soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare, nell'ambito dell'operazione denominata "Transilvania", condotta dai finanzieri della Tenenza di Molfetta contro un'organizzazione criminale composta da nove rumeni e tre italiani, dedita allo sfruttamento della prostituzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti nel territorio di Terlizzi (Ba) e Bisceglie (Bt).
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Bari, sono durate circa un anno ed hanno svelato le attività criminali di un gruppo di soggetti di nazionalità rumena i quali dopo aver ridotto e mantenuto in stato di soggezione continuativa alcune ragazze rumene, le costringevano a prostituirsi, lucrando sulle loro prestazioni, lungo il tratto di strada della S.P. 231 in prossimità del Comune di Terlizzi.
Dall'indagine è emerso anche che gli stessi soggetti, unitamente ad altri indagati erano dediti all'attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
Fondamentale nello sviluppo investigativo è stato l'apporto offerto dalle intercettazioni telefoniche, dalle quali sono emersi particolari agghiaccianti sull'elevata efferatezza degli indagati.
Numerose sono le conversazioni tra le ragazze costrette a prostituirsi e i loro aguzzini che documentano il totale assoggettamento delle giovani donne, il metodico e quotidiano sfruttamento delle stesse, che assicurava significativi introiti ai componenti della banda.
Nelle conversazioni telefoniche intercorse tra gli indagati è emerso che le ragazze rumene venivano definite "bagagli", manifestazione evidente del disprezzo che i soggetti colpiti dall'ordinanza cautelare avevano della dignità personale delle vittime.
Le indagini hanno fatto luce anche sulla sconcertante vita quotidiana di queste giovanissime donne, sfruttate dai loro connazionali, portate in Italia con false promesse di matrimonio e comunque di una vita migliore e poi private dei documenti ed avviate alla prostituzione sotto il costante controllo dei loro sfruttatori e di altri soggetti che con loro collaboravano, con compiti svariati, nell'attività illecita.
Le giovani rumene, private dei documenti, si trovavano, infatti, costrette a prostituirsi e a subire una condizione, se non proprio di schiavitù, di totale asservimento e soggezione continuativa imposta dal loro "capo".
E' stato inoltre appurato, che gli arrestati avevano in precedenza acquistato "a tempo" le ragazze dai loro precedenti padroni che le avevano introdotte in Italia mediante l'inganno con lo specifico obiettivo di farle lavorare per 4-5 mesi come prostitute per ricavare proventi economici da investire per acquisti immobiliari, per poi, dopo averle sfruttate al massimo, permutarle con l'acquisto di altre ragazze "più fresche".
Gli sfruttatori riscuotevano la quasi totalità dei proventi del meretricio, imponendo alle giovani donne gli orari di lavoro, le tariffe da richiedere ai clienti e gli incassi giornalieri da conseguire per tornare a casa senza essere picchiate, cosa che, in realtà, avveniva invece di sovente.
Sulla strada non erano ammessi ritardi, non erano consentite pause né tantomeno era possibile, per le ragazze rumene, abbandonare, anche solo temporaneamente, il luogo di lavoro o perdere troppo tempo con i singoli clienti. Per ogni minima esigenza personale, le giovani dovevano chiedere ed ottenere il permesso dal loro padrone, come ad esempio, per effettuare una semplice ricarica al telefono cellulare.
Erano costanti le minacce finalizzate a tenere le giovani costantemente sotto pressione, nella prospettiva di potenziare la loro produttività lavorativa. Era inammissibile ogni forma di lamentela e, se si rientrava a casa lasciando il lavoro prima del previsto, venivano accolte con esplicite minacce all'incolumità fisica, stessa cosa se non si guadagnava abbastanza.
Lo spazio di autodeterminazione delle ragazze veniva negato anche quando si trattava, come in un caso, di scelte delicate, come quelle di portare o meno a termine un'eventuale gravidanza.
© Riproduzione riservata
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Bari, sono durate circa un anno ed hanno svelato le attività criminali di un gruppo di soggetti di nazionalità rumena i quali dopo aver ridotto e mantenuto in stato di soggezione continuativa alcune ragazze rumene, le costringevano a prostituirsi, lucrando sulle loro prestazioni, lungo il tratto di strada della S.P. 231 in prossimità del Comune di Terlizzi.
Dall'indagine è emerso anche che gli stessi soggetti, unitamente ad altri indagati erano dediti all'attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
Fondamentale nello sviluppo investigativo è stato l'apporto offerto dalle intercettazioni telefoniche, dalle quali sono emersi particolari agghiaccianti sull'elevata efferatezza degli indagati.
Numerose sono le conversazioni tra le ragazze costrette a prostituirsi e i loro aguzzini che documentano il totale assoggettamento delle giovani donne, il metodico e quotidiano sfruttamento delle stesse, che assicurava significativi introiti ai componenti della banda.
Nelle conversazioni telefoniche intercorse tra gli indagati è emerso che le ragazze rumene venivano definite "bagagli", manifestazione evidente del disprezzo che i soggetti colpiti dall'ordinanza cautelare avevano della dignità personale delle vittime.
Le indagini hanno fatto luce anche sulla sconcertante vita quotidiana di queste giovanissime donne, sfruttate dai loro connazionali, portate in Italia con false promesse di matrimonio e comunque di una vita migliore e poi private dei documenti ed avviate alla prostituzione sotto il costante controllo dei loro sfruttatori e di altri soggetti che con loro collaboravano, con compiti svariati, nell'attività illecita.
Le giovani rumene, private dei documenti, si trovavano, infatti, costrette a prostituirsi e a subire una condizione, se non proprio di schiavitù, di totale asservimento e soggezione continuativa imposta dal loro "capo".
E' stato inoltre appurato, che gli arrestati avevano in precedenza acquistato "a tempo" le ragazze dai loro precedenti padroni che le avevano introdotte in Italia mediante l'inganno con lo specifico obiettivo di farle lavorare per 4-5 mesi come prostitute per ricavare proventi economici da investire per acquisti immobiliari, per poi, dopo averle sfruttate al massimo, permutarle con l'acquisto di altre ragazze "più fresche".
Gli sfruttatori riscuotevano la quasi totalità dei proventi del meretricio, imponendo alle giovani donne gli orari di lavoro, le tariffe da richiedere ai clienti e gli incassi giornalieri da conseguire per tornare a casa senza essere picchiate, cosa che, in realtà, avveniva invece di sovente.
Sulla strada non erano ammessi ritardi, non erano consentite pause né tantomeno era possibile, per le ragazze rumene, abbandonare, anche solo temporaneamente, il luogo di lavoro o perdere troppo tempo con i singoli clienti. Per ogni minima esigenza personale, le giovani dovevano chiedere ed ottenere il permesso dal loro padrone, come ad esempio, per effettuare una semplice ricarica al telefono cellulare.
Erano costanti le minacce finalizzate a tenere le giovani costantemente sotto pressione, nella prospettiva di potenziare la loro produttività lavorativa. Era inammissibile ogni forma di lamentela e, se si rientrava a casa lasciando il lavoro prima del previsto, venivano accolte con esplicite minacce all'incolumità fisica, stessa cosa se non si guadagnava abbastanza.
Lo spazio di autodeterminazione delle ragazze veniva negato anche quando si trattava, come in un caso, di scelte delicate, come quelle di portare o meno a termine un'eventuale gravidanza.
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