Cronaca
Minervini: «La bomba a d'Ingeo ha colpito tutta la comunità»
Il sindaco all'incontro pubblico di piazza Municipio, primo step della neonata rete della legalità
Molfetta - sabato 30 giugno 2018
07.00
C'era Matteo d'Ingeo, il sindaco Tommaso Minervini («Quella bomba non era rivolta ad una sola persona, ma ad un'intera comunità»). E tanta gente, politici ma anche tanti ragazzi, ha invaso piazza Municipio per il primo appuntamento della neonata rete della legalità, a cui hanno aderito 34 sigle.
L'appuntamento, il primo proposto dall'appello alla città "È il tempo giusto", diffuso all'indomani dell'ordigno esploso sulla porta di casa del coordinatore cittadino del Liberatorio Politico, è nato come un'iniziativa simbolica per manifestare il dissenso nei confronti della piccola e grande criminalità che affligge Molfetta (ma anche le altre località viciniore) con l'obiettivo di vedere, giorno dopo giorno, i propri obiettivi ampliarsi.
Sergio Amato, del presidio Libera Molfetta, ha detto: «La solidarietà non era sufficiente, abbiamo sentito la necessità di una risposta». Ed ancora: «Non vogliamo essere succubi e rassegnati, ma elementi attivi di una città come Molfetta, sotto lo scacco della criminalità». E questa prima iniziativa (un incontro spontaneo, senza colore e senza bandiere di partito) è ricchezza che cresce.
«Alla violenza degli ultimi giorni - ha proseguito Amato - noi opporremo la parola. Abbiamo costituito la rete della legalità, sotto il coordinamento di Libera, ma non possiamo andare avanti da soli. Vogliamo al nostro fianco, insieme alle 34 sigle che hanno già sottoscritto l'appello, le istituzioni locali e le forze dell'ordine, ma anche i cittadini che possono fare la differenza. È il noi che vince, e noi insieme possiamo».
Poi, dopo l'intervento di Giordano Bufi, dell'associazione Tempi E Spazi Liberamente Attivi di Molfetta, che ha raccontato di «minacce e aggressioni fisiche subite da personaggi noti alle forze dell'ordine, all'interno della vecchia sede di via Ragno, nei loro confronti, colpevoli solo di "far troppa luce in quella strada"», e di don Nicolò Tempesta, parroco dell'Immacolata, ha preso la parola Matteo d'Ingeo.
«Abbiamo sottovalutato la prima bomba, quella del 1 marzo», ha detto l'ex consigliere comunale molfettese, già candidato sindaco, che ha raccontato fatti e prodotto documenti, delineando scenari a tratti inquietanti. E subendo intimidazioni. Una dietro l'altra: «Dal proiettile avvolto in un foglio di carta igienica con un messaggio di minacce recapitato il 23 luglio 2009 all'ultima bomba del 16 giugno scorso».
Alle botte e alle intimidazioni, il coordinatore del Liberatorio Politico è abituato, visto che metà della sua vita l'ha trascorsa cosi: tra denunce e minacce. «Ma adesso sono stufo di minimizzare», ha detto, prima di esprimere solidarietà «a chi abita accanto a me, ai miei vicini di casa, per due notti svegliati dal forte boato. E spero anche che la solidarietà dell'amministrazione comunale si traduca in fatti concreti».
«Faremo interventi di modificazione socio-urbana e sociale, ma a nessuno - ha chiarito Tommaso Minervini - è appaltabile la piena titolarità della legalità. Quella bomba non era rivolta ad una sola persona, ma ad un'intera comunità. Adesso vogliamo così predisporre una lettura dei fatti di un certo rilievo accaduti, intrecciandoli, al fine di rendere concreta la collaborazione con le forze dell'ordine e la magistratura».
Tra i tanti cittadini c'è chi pensa che ci vorrebbe una settimana di questi incontri per cambiare qualcosa, molti che ricordano come sia difficile per i cittadini denunciare l'illegalità. Ma ieri a Molfetta si respirava un'aria di risveglio, una pianta che va coltivata.
L'appuntamento, il primo proposto dall'appello alla città "È il tempo giusto", diffuso all'indomani dell'ordigno esploso sulla porta di casa del coordinatore cittadino del Liberatorio Politico, è nato come un'iniziativa simbolica per manifestare il dissenso nei confronti della piccola e grande criminalità che affligge Molfetta (ma anche le altre località viciniore) con l'obiettivo di vedere, giorno dopo giorno, i propri obiettivi ampliarsi.
Sergio Amato, del presidio Libera Molfetta, ha detto: «La solidarietà non era sufficiente, abbiamo sentito la necessità di una risposta». Ed ancora: «Non vogliamo essere succubi e rassegnati, ma elementi attivi di una città come Molfetta, sotto lo scacco della criminalità». E questa prima iniziativa (un incontro spontaneo, senza colore e senza bandiere di partito) è ricchezza che cresce.
«Alla violenza degli ultimi giorni - ha proseguito Amato - noi opporremo la parola. Abbiamo costituito la rete della legalità, sotto il coordinamento di Libera, ma non possiamo andare avanti da soli. Vogliamo al nostro fianco, insieme alle 34 sigle che hanno già sottoscritto l'appello, le istituzioni locali e le forze dell'ordine, ma anche i cittadini che possono fare la differenza. È il noi che vince, e noi insieme possiamo».
Poi, dopo l'intervento di Giordano Bufi, dell'associazione Tempi E Spazi Liberamente Attivi di Molfetta, che ha raccontato di «minacce e aggressioni fisiche subite da personaggi noti alle forze dell'ordine, all'interno della vecchia sede di via Ragno, nei loro confronti, colpevoli solo di "far troppa luce in quella strada"», e di don Nicolò Tempesta, parroco dell'Immacolata, ha preso la parola Matteo d'Ingeo.
«Abbiamo sottovalutato la prima bomba, quella del 1 marzo», ha detto l'ex consigliere comunale molfettese, già candidato sindaco, che ha raccontato fatti e prodotto documenti, delineando scenari a tratti inquietanti. E subendo intimidazioni. Una dietro l'altra: «Dal proiettile avvolto in un foglio di carta igienica con un messaggio di minacce recapitato il 23 luglio 2009 all'ultima bomba del 16 giugno scorso».
Alle botte e alle intimidazioni, il coordinatore del Liberatorio Politico è abituato, visto che metà della sua vita l'ha trascorsa cosi: tra denunce e minacce. «Ma adesso sono stufo di minimizzare», ha detto, prima di esprimere solidarietà «a chi abita accanto a me, ai miei vicini di casa, per due notti svegliati dal forte boato. E spero anche che la solidarietà dell'amministrazione comunale si traduca in fatti concreti».
«Faremo interventi di modificazione socio-urbana e sociale, ma a nessuno - ha chiarito Tommaso Minervini - è appaltabile la piena titolarità della legalità. Quella bomba non era rivolta ad una sola persona, ma ad un'intera comunità. Adesso vogliamo così predisporre una lettura dei fatti di un certo rilievo accaduti, intrecciandoli, al fine di rendere concreta la collaborazione con le forze dell'ordine e la magistratura».
Tra i tanti cittadini c'è chi pensa che ci vorrebbe una settimana di questi incontri per cambiare qualcosa, molti che ricordano come sia difficile per i cittadini denunciare l'illegalità. Ma ieri a Molfetta si respirava un'aria di risveglio, una pianta che va coltivata.