Politica
La solitudine di Pietro Capurso, dentro il Pd, finché ce la si fa
I tempi si annunciano poco entusiasmanti e molto logoranti in casa Partito democratico
Molfetta - giovedì 30 marzo 2017
Sono giorni difficili e delicati quelli che iscritti e militanti del Partito democratico stanno vivendo. Sono ore di vera sofferenza per tutti, per chi ha contribuito in questi anni a fare il Pd. E tuttavia nessuno più nasconde la parola scissione, termine ben conosciuto nella storia della sinistra locale e non solo. «Mai potrei confondere la mia figura di onesto militante di sinistra - spiga Capurso - con una coalizione che vede al proprio interno esponenti politici che nulla hanno a condividere con i valori della democrazia, uguaglianza, solidarietà, interesse per il bene comune e difesa dei più deboli».
«Come al gioco della garrabbe: Piero de Nicolo "patrune e sotte!" Si, però le birre le dovrà pagare tutte lui», scherzava Pietro Capurso mentre nel tentativo di abbassare il volume dello scontro interno al Partito democratico la polemica diventava sempre più assordante. Un partito, due personalità. E dire che Pietro Capurso e Piero de Nicolo erano divisi solo da qualche centimetro durante le assemblee dem. Eppure, a sentirli e a leggerli su Facebook, sembrano due che vengono da pianeti diversi, pur dicendo in gran parte cose sovrapponibili, e di certo davvero conflittuali. Li divide la chiarezza di idee, le tessere, le interpretazioni sulla mozione, il commissariamento di Giampiero De Nicolò («Piero de Nicolo comunicò le dimissioni da segretario del circolo PD di Molfetta durante un'assemblea del dicembre 2015. Per un anno abbiamo atteso che la federazione provinciale di Bari inviasse un commissario che, come Godot, non è mai arrivato. Adesso, a due giorni dalle dimissioni del segretario, la federazione provinciale nomina un commissario. La cosa non mi convince» scriveva Capurso il 7 marzo scorso) le spiegazioni diverse della realtà. Uno è onnipresente con i suoi post mattutini, l'altro cerca di mantenersi più defilato.
Gli aspetti giuridici e politici prevalgono, giustamente, in questo momento in casa Partito democratico. Lo scenario delle accuse è diverso. Nessuno ha la sfera di cristallo, nessuno sa se ne uscirà meglio Capurso con la sua rapida auto-delegittimazione di un partito che oramai sembra disconoscere o de Nicolo con la sua attesa tanto lunga da chiedersi in viaggio da Roma a Molfetta se «dopo aver "piegato" tanti fazzoletti... sia arrivato il momento di riaprirli...». Entrambi però hanno una verità morale e giuridica da condividere, ma di certo in casa Partito democratico si "festeggia" anche per lo slittamento dell'Assemblea: «Mi dispiace per i cittadini e gli iscritti, - postava Capurso - ma il Commissario ha deciso di spostare l'Assemblea al primo aprile. Forse vuole farci uno scherzo».
Viste le circostanze Pietro Capurso si ritrovava quasi prigioniero di un partito che lo guardava con sospetto. Si era presentato come il candidato sindaco alle primarie interne e oggi gli contestano ogni post pubblicato sul social network più famoso del globo. Non servono messaggi e dietrologie a mezzo social per capire quanto sia grave la situazione del Pd. La fotografia all'esterno è impietosa. Fuori dal Circolo di C.so Margherita sono troppi i problemi piccoli e grandi che funestano la quotidianità. «Mi chiedono se, dopo l'episodio delle tessere, lascerò il Pd. No, non lo lascio. Dal Pd voglio essere cacciato». Isolato, straniero nella suo partito. Non era certo una posizione di forza quella in cui attualmente si trovava Capurso.
Sicuramente il Pd in questi giorni dovrà pelare un bel po' di patate bollenti cercando di far sì che nessuno si scotti, o quasi. Dovrà fare tutto questo in mezzo a una selva di dissidenti. Un partito polemico in tempi polemicissimi, durante i quali si dovrà negoziare tutto. In cui servirà essere soprattutto politici con la P maiuscola, anziché leader carismatici solo sui social network. Perchè purtroppo in questi giorni la sinistra (o quel che ne rimane) ha dato sfoggio della sua migliore prerogativa: il litigio. Il Pd, Capurso e de Nicolo pure, e va bene così. Il futuro, prima o poi, tornerà. Forse.
«Come al gioco della garrabbe: Piero de Nicolo "patrune e sotte!" Si, però le birre le dovrà pagare tutte lui», scherzava Pietro Capurso mentre nel tentativo di abbassare il volume dello scontro interno al Partito democratico la polemica diventava sempre più assordante. Un partito, due personalità. E dire che Pietro Capurso e Piero de Nicolo erano divisi solo da qualche centimetro durante le assemblee dem. Eppure, a sentirli e a leggerli su Facebook, sembrano due che vengono da pianeti diversi, pur dicendo in gran parte cose sovrapponibili, e di certo davvero conflittuali. Li divide la chiarezza di idee, le tessere, le interpretazioni sulla mozione, il commissariamento di Giampiero De Nicolò («Piero de Nicolo comunicò le dimissioni da segretario del circolo PD di Molfetta durante un'assemblea del dicembre 2015. Per un anno abbiamo atteso che la federazione provinciale di Bari inviasse un commissario che, come Godot, non è mai arrivato. Adesso, a due giorni dalle dimissioni del segretario, la federazione provinciale nomina un commissario. La cosa non mi convince» scriveva Capurso il 7 marzo scorso) le spiegazioni diverse della realtà. Uno è onnipresente con i suoi post mattutini, l'altro cerca di mantenersi più defilato.
Gli aspetti giuridici e politici prevalgono, giustamente, in questo momento in casa Partito democratico. Lo scenario delle accuse è diverso. Nessuno ha la sfera di cristallo, nessuno sa se ne uscirà meglio Capurso con la sua rapida auto-delegittimazione di un partito che oramai sembra disconoscere o de Nicolo con la sua attesa tanto lunga da chiedersi in viaggio da Roma a Molfetta se «dopo aver "piegato" tanti fazzoletti... sia arrivato il momento di riaprirli...». Entrambi però hanno una verità morale e giuridica da condividere, ma di certo in casa Partito democratico si "festeggia" anche per lo slittamento dell'Assemblea: «Mi dispiace per i cittadini e gli iscritti, - postava Capurso - ma il Commissario ha deciso di spostare l'Assemblea al primo aprile. Forse vuole farci uno scherzo».
Viste le circostanze Pietro Capurso si ritrovava quasi prigioniero di un partito che lo guardava con sospetto. Si era presentato come il candidato sindaco alle primarie interne e oggi gli contestano ogni post pubblicato sul social network più famoso del globo. Non servono messaggi e dietrologie a mezzo social per capire quanto sia grave la situazione del Pd. La fotografia all'esterno è impietosa. Fuori dal Circolo di C.so Margherita sono troppi i problemi piccoli e grandi che funestano la quotidianità. «Mi chiedono se, dopo l'episodio delle tessere, lascerò il Pd. No, non lo lascio. Dal Pd voglio essere cacciato». Isolato, straniero nella suo partito. Non era certo una posizione di forza quella in cui attualmente si trovava Capurso.
Sicuramente il Pd in questi giorni dovrà pelare un bel po' di patate bollenti cercando di far sì che nessuno si scotti, o quasi. Dovrà fare tutto questo in mezzo a una selva di dissidenti. Un partito polemico in tempi polemicissimi, durante i quali si dovrà negoziare tutto. In cui servirà essere soprattutto politici con la P maiuscola, anziché leader carismatici solo sui social network. Perchè purtroppo in questi giorni la sinistra (o quel che ne rimane) ha dato sfoggio della sua migliore prerogativa: il litigio. Il Pd, Capurso e de Nicolo pure, e va bene così. Il futuro, prima o poi, tornerà. Forse.