Sociale
La Lega del Filo d'Oro a Molfetta: progetti, ricerca e speranza
L'intervista al direttore Giannulo: «Vogliamo migliorare la qualità di vita delle persone»
Molfetta - mercoledì 15 marzo 2023
9.46
Prosegue la nostra rubrica "V per volontariato", che ha visto protagoniste numerose associazioni nelle scorse settimane. Sotto lo sguardo attento al sociale della redazione di "MolfettaViva" oggi c'è la Lega del Filo d'Oro. Unica sede in Puglia della fondazione che opera da quasi 57 anni sul territorio nazionale (la prima esperienza è stata a Osimo, in provincia di Ancona) a favore di persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali.
La fondazione nacque per iniziativa di una persona sordocieca che pensò a un'associazione di volontari con l'ambizioso obiettivo di essere ponte tra persone sordocieche e mondo esterno. Quest'esperienza, nella nostra città, è andata avanti fino a oggi, all'interno di una struttura all'epoca cadente, i cui lavori sono stati effettuati tra il 2005 e il 2007.
Abbiamo incontrato il direttore, Sergio Giannulo, per conoscere meglio questa realtà e le sue prerogative.
Quali attività svolge la Lega del Filo d'Oro?
«Offriamo percorsi di riabilitazione individualizzata per persone che presentano specifiche forme di disabilità, quali la minorazione sensoriale di vista e/o udito, il più delle volte combinata con altre forme di minorazione. A questo si aggiungono vari problemi comportamentali motori e ritardi cognitivi, oltre che varie sindromi».
Quando e come nasce la fondazione a Molfetta?
«A partire dai primi anni 2000, un gruppo di famiglie si pose l'obiettivo di bussare alle porte giuste per arrivare a un'esperienza di Lega del Filo d'oro anche in Puglia. Il progetto fu approvato alla fine del 2004 da parte della Regione. Fu decisa l'apertura di un centro sociosanitario residenziale diurno in una struttura che in quel momento era di proprietà pubblica. Gli spazi erano in stato di abbandono e non venivano utilizzati. Partì, dunque, un percorso che ci ha portato fin qui, ai 15 anni della Lega del Filo d'Oro».
Quanti pazienti seguite nel centro?
«40 persone che usufruiscono del servizio residenziale a tempo pieno e 15 che usufruiscono del servizio diurno. I nostri pazienti sono persone in età giovane-adulta, la cui età media è sui 36-37 anni. I 40 residenti provengono da tutte le 6 province pugliesi e ci sono anche 6 ospiti campani. I 15 utenti del servizio diurno, invece, sono dei dintorni. Siamo un punto di riferimento per una popolazione vasta e questo ha come conseguenza immediata il fatto che si crea una lista d'attesa molto lunga. Ci piacerebbe rispondere alle esigenze di tutti e ci stiamo attrezzando per questo».
Come è organizzata la vostra sede?
«Al piano terra abbiamo il servizio diurno e degli spazi comuni, mentre al primo piano il servizio residenziale. La struttura si fonda sulla comunicazione oggettuale, che comprende i passamani e una serie di oggetti riconoscibili dagli ospiti. I pavimenti sono lisci perché comunicano facilmente, sono adatti a indicare lo stacco e a segnalare la presenza di ostacoli nelle vicinanze, per i quali noi utilizziamo dei tappeti. Negli esterni abbiamo dei chiostri, pensati a misura dei nostri ospiti. Grazie al contesto che ricreiamo, si tratta di luoghi che gli utenti imparano ad associare al relax. Coloro che hanno residui uditivi percepiscono il rumore della fontanella dell'acqua».
Ci sono anche molti laboratori?
«Abbiamo uno spazio dedicato alla musicoterapia. Importante anche lo spazio dedicato alla medicheria, grazie a cui trasmettiamo, tra le altre cose, l'importanza di una corretta igiene orale. Non mancano i laboratori per le attività ricreative e manuali, come quella della lavorazione del midollino, svolta in piena sicurezza e autonomia dagli utenti sordociechi. Ma anche le attività con la cartapesta e i progetti di legatorìa, a seconda delle capacità e delle caratteristiche di ognuno. I nostri ospiti realizzano anche bomboniere per eventi, che vengono poi messe a disposizione del territorio. Vogliamo regalare ai nostri utenti una vita normale, scandita da appuntamenti quotidiani e momenti di socializzazione. Questo per loro è fondamentale». Qual è la funzione della vasca riabilitativa di cui siete dotati?
«Una vasca riabilitativa è diversa da una piscina, per l'altezza dell'acqua e per le temperature. Il suo ruolo è quello di fare idroterapia, preparatoria alle attività educative. Aiuta il rilassamento e prevede il rapporto uno ad uno del paziente con l'operatore. In più ha una ricaduta positiva in termini di benessere e di attività motorie. Prima del covid era disposizione gratuitamente per chi ne aveva bisogno, oggi è uno dei servizi che vogliamo ritornare a mettere a disposizione del territorio una volta a settimana, anche a coloro che ne hanno bisogno ma che non sono nostri ospiti». Tra le vostre attività, ci sono anche progetti di ricerca. Cosa riguardano?
«Abbiamo uno spazio dedicato ai progetti di ricerca in collaborazione con l'Università di Bari. Le ricerche sono finalizzate a migliorare la qualità di vita delle persone sordocieche. Si tratta di un'aula essenzialmente vuota, perché riempita con ciò che serve per specifiche attività. L'obiettivo è creare determinate condizioni in situazioni piccole, per poi avere un feedback immediato sulle singole attività. Nel tempo questi esperimenti vengono generalizzati e ampliati. Sono progetti a lungo termine, la cui durata è imprevedibile. La ricerca in questo settore continua instancabilmente, i risultati richiedono tempo e risorse umane. Ma i progressi ci sono e noi ci crediamo».
Avvertite il supporto necessario da parte delle istituzioni?
«Una delle fatiche che riscontriamo nei rapporti con la pubblica amministrazione è che spesso non si comprende che i tempi e le risorse a nostra disposizione non bastano. Con i fondi pubblici riusciamo a coprire l'assistenza, ma il nostro obiettivo va oltre. Noi vogliamo migliorare la qualità di vita delle persone, questa si chiama riabilitazione. Le persone, a 12 o a 40 anni e a qualsiasi età, meritano delle opportunità. Presto riprendono i nostri progetti con i gruppi parrocchiali e con le scuole. Non vediamo l'ora».
La fondazione nacque per iniziativa di una persona sordocieca che pensò a un'associazione di volontari con l'ambizioso obiettivo di essere ponte tra persone sordocieche e mondo esterno. Quest'esperienza, nella nostra città, è andata avanti fino a oggi, all'interno di una struttura all'epoca cadente, i cui lavori sono stati effettuati tra il 2005 e il 2007.
Abbiamo incontrato il direttore, Sergio Giannulo, per conoscere meglio questa realtà e le sue prerogative.
Quali attività svolge la Lega del Filo d'Oro?
«Offriamo percorsi di riabilitazione individualizzata per persone che presentano specifiche forme di disabilità, quali la minorazione sensoriale di vista e/o udito, il più delle volte combinata con altre forme di minorazione. A questo si aggiungono vari problemi comportamentali motori e ritardi cognitivi, oltre che varie sindromi».
Quando e come nasce la fondazione a Molfetta?
«A partire dai primi anni 2000, un gruppo di famiglie si pose l'obiettivo di bussare alle porte giuste per arrivare a un'esperienza di Lega del Filo d'oro anche in Puglia. Il progetto fu approvato alla fine del 2004 da parte della Regione. Fu decisa l'apertura di un centro sociosanitario residenziale diurno in una struttura che in quel momento era di proprietà pubblica. Gli spazi erano in stato di abbandono e non venivano utilizzati. Partì, dunque, un percorso che ci ha portato fin qui, ai 15 anni della Lega del Filo d'Oro».
Quanti pazienti seguite nel centro?
«40 persone che usufruiscono del servizio residenziale a tempo pieno e 15 che usufruiscono del servizio diurno. I nostri pazienti sono persone in età giovane-adulta, la cui età media è sui 36-37 anni. I 40 residenti provengono da tutte le 6 province pugliesi e ci sono anche 6 ospiti campani. I 15 utenti del servizio diurno, invece, sono dei dintorni. Siamo un punto di riferimento per una popolazione vasta e questo ha come conseguenza immediata il fatto che si crea una lista d'attesa molto lunga. Ci piacerebbe rispondere alle esigenze di tutti e ci stiamo attrezzando per questo».
Come è organizzata la vostra sede?
«Al piano terra abbiamo il servizio diurno e degli spazi comuni, mentre al primo piano il servizio residenziale. La struttura si fonda sulla comunicazione oggettuale, che comprende i passamani e una serie di oggetti riconoscibili dagli ospiti. I pavimenti sono lisci perché comunicano facilmente, sono adatti a indicare lo stacco e a segnalare la presenza di ostacoli nelle vicinanze, per i quali noi utilizziamo dei tappeti. Negli esterni abbiamo dei chiostri, pensati a misura dei nostri ospiti. Grazie al contesto che ricreiamo, si tratta di luoghi che gli utenti imparano ad associare al relax. Coloro che hanno residui uditivi percepiscono il rumore della fontanella dell'acqua».
Ci sono anche molti laboratori?
«Abbiamo uno spazio dedicato alla musicoterapia. Importante anche lo spazio dedicato alla medicheria, grazie a cui trasmettiamo, tra le altre cose, l'importanza di una corretta igiene orale. Non mancano i laboratori per le attività ricreative e manuali, come quella della lavorazione del midollino, svolta in piena sicurezza e autonomia dagli utenti sordociechi. Ma anche le attività con la cartapesta e i progetti di legatorìa, a seconda delle capacità e delle caratteristiche di ognuno. I nostri ospiti realizzano anche bomboniere per eventi, che vengono poi messe a disposizione del territorio. Vogliamo regalare ai nostri utenti una vita normale, scandita da appuntamenti quotidiani e momenti di socializzazione. Questo per loro è fondamentale». Qual è la funzione della vasca riabilitativa di cui siete dotati?
«Una vasca riabilitativa è diversa da una piscina, per l'altezza dell'acqua e per le temperature. Il suo ruolo è quello di fare idroterapia, preparatoria alle attività educative. Aiuta il rilassamento e prevede il rapporto uno ad uno del paziente con l'operatore. In più ha una ricaduta positiva in termini di benessere e di attività motorie. Prima del covid era disposizione gratuitamente per chi ne aveva bisogno, oggi è uno dei servizi che vogliamo ritornare a mettere a disposizione del territorio una volta a settimana, anche a coloro che ne hanno bisogno ma che non sono nostri ospiti». Tra le vostre attività, ci sono anche progetti di ricerca. Cosa riguardano?
«Abbiamo uno spazio dedicato ai progetti di ricerca in collaborazione con l'Università di Bari. Le ricerche sono finalizzate a migliorare la qualità di vita delle persone sordocieche. Si tratta di un'aula essenzialmente vuota, perché riempita con ciò che serve per specifiche attività. L'obiettivo è creare determinate condizioni in situazioni piccole, per poi avere un feedback immediato sulle singole attività. Nel tempo questi esperimenti vengono generalizzati e ampliati. Sono progetti a lungo termine, la cui durata è imprevedibile. La ricerca in questo settore continua instancabilmente, i risultati richiedono tempo e risorse umane. Ma i progressi ci sono e noi ci crediamo».
Avvertite il supporto necessario da parte delle istituzioni?
«Una delle fatiche che riscontriamo nei rapporti con la pubblica amministrazione è che spesso non si comprende che i tempi e le risorse a nostra disposizione non bastano. Con i fondi pubblici riusciamo a coprire l'assistenza, ma il nostro obiettivo va oltre. Noi vogliamo migliorare la qualità di vita delle persone, questa si chiama riabilitazione. Le persone, a 12 o a 40 anni e a qualsiasi età, meritano delle opportunità. Presto riprendono i nostri progetti con i gruppi parrocchiali e con le scuole. Non vediamo l'ora».