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L’ANPI e la Giornata del Ricordo a Molfetta

In memoria della tragedia di tutte le vittime delle foibe

Oggi, lunedì 10 febbraio, si celebra il Giorno del Ricordo al fine di "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessiva vicenda del confine orientale".

Un ricordo quindi articolato, impegnativo e che, come suggerisce l'intitolazione stessa, nasconde una certa complessità al suo interno ed è pertanto doveroso chiarire per evitare facili e semplicistiche appropriazioni ideologiche di un fenomeno invece che ha radici molto più profonde.
Infatti è diventata purtroppo un'abitudine soffermarsi, durante la ricorrenza della Giornata del Ricordo, a rievocare solo l'epilogo di un lungo periodo burrascoso e triste degli episodi avvenuti nel territorio istriano-dalmata. L'ANPI ritiene, invece, assolutamente necessario ripercorrere tutti gli episodi precedenti che permettono di capire le cause e di contestualizzare le foibe e l'esodo, non sottacendola la responsabilità della dittatura fascista.
Volendo cominciare la storia, partiamo dai luoghi per capire i fatti: siamo su quella lingua di terra che da secoli vede convivere diversi gruppi etnici che parlano lingue diverse e si sentono appartenere a nazionalità differenti. Quella fascia che parte dalla Venezia Giulia, attraversa il Carso e si butta nell'Adriatico con l'Istria. Una terra di confine però viva ed abitata, ancora oggi, come nel caso di dell'italiana Gorizia separata dalla sua omologa slovena Nova Gorica da una sola strada, letteralmente. Una terra dove si sono concentrati, nel corso dei tempi, veneziani, austriaci, sloveni, croati, jugoslavi ed italiani. Una terra quindi articolata che, come sovente purtroppo è accaduto nel corso della Storia, ha visto questa multiculturalità non sempre convivere pacificamente.
Per capire cosa sono state le fobie, dopo il dove, serve approfondire il "quando": ridurre la tragedia delle foibe agli anni della guerra mondiale è sbagliato nonché incompleto. Le discrepanze, che spesso hanno avuto vere e proprie sfumature di razzismo, tra i popoli italiani e quelli jugoslavi affondano radici profonde sin dall'Unità d'Italia, che sono cresciute poi con l'avvento della prima guerra mondiale, sono state ampiamente innaffiate dal clima nazionalistico e con la propaganda irredentista del primo dopoguerra ed hanno poi dato i loro amari frutti con le dittature maturate nel 1922 e 1933.
Un percorso quindi lungo che ha visto, nel corso degli anni, un'imposta nazionalizzazione forzata italiana di un territorio per vocazione multiculturale. Un percorso in cui, sin subito dopo la prima guerra mondiale, dapprima con governi liberali e poi con la dittatura fascista, si è vessata per 25 anni la popolazione sloveno-croata con la chiusura forzata di scuole ed associazioni jugoslave, il tutto affiancato da una massiccia, studiata e becera violenza fascista.
Persino i cognomi degli abitanti della zona vennero forzatamente italianizzati, a voler rimarcare la volontà di cancellare l'identità personale di molti istriani. La soluzione offerta alle popolazioni di lingua non italiana era quindi una: italianizzarsi o emigrare, tant'è che circa 100.000 istriani lasciarono quella che all'epoca era Italia.
I fatti delle foibe invece vedono tre eventi distinti, caratterizzati dall'uccisione, dall'occultamento di cadaveri o di sparizioni di individui lungo le gole di questo territorio, le foibe appunto, ad opera delle forze di liberazione jugoslave in cui, tra l'altro, militarono anche diversi italiani.
Equiparare il Giorno della Memoria a quello del ricordo, non tiene conto della enorme differenza tra lo sterminio scientificamente organizzato di un intero popolo e le vendette su degli ex occupatori? Non vanno mai giustificate.

La prima esecuzione di massa si ebbe nel settembre del 1943 in Istria, subito dopo lo sbando dello Stato italiano provocato dall'armistizio dell'8 settembre con relativa fuga di Badoglio che scappa col re a Brindisi.
In questa terra così articolata, viene a crearsi pertanto un vuoto di potere in cui la popolazione di lingua croata, che dal 1918 si era vista subire 25 anni di vessazioni, cerca di prendersi la sua rivincita.
Una vendetta che si consuma con le logiche di una guerra che, non dimentichiamo, era ancora nel suo clou. Logiche che portarono ad uccidere le persone identificate come fascisti e quindi con il potere, buttando i loro corpi nelle cavitoie del Carso. Fu un fenomeno all'inizio limitato nel tempo perché il vuoto di potere che si creò durò solo pochi giorni, figlio di forme di organizzazione anarchiche che verranno poi normalizzate dai partigiani jugoslavi: ciò non toglie che nelle foibe istriane del 1943 vi furono circa 400 morti.
Il secondo episodio accadde nel maggio del 1945 a Trieste, città la cui liberazione fu al centro di una e vera propria corsa da parte degli anglo-americani da un lato e dai jugoslavi dall'altro. Arrivare per primi nella città voleva dire poterla reclamare come propria al momento dei trattati di pace.
Anche nella città triestina vi sono quindi episodi di vendetta verso coloro che erano ritenuti dalla popolazione sloveno-croata quali carnefici del loro status di inferiorità con circa un centinaio di infoibati.
Terzo ed ultimo aspetto riguarda l'appellativo di "infoibati", ovvero di coloro ritenute vittime di questa amara pagina, come tante altre, della seconda guerra mondiale. Sotto questo sostantivo, infatti, vanno anche tutti i soldati arrestati dall'esercito Jugoslavo che arrivò per primo a Trieste e che rastrellò diverse migliaia di italiani tra cui diversi appartenenti alla Repubblica di Salò e quindi, a tutti gli effetti, uno stato avversario. Molti furono internati in campi di prigionia jugoslavi che, come tutti i campi di prigionia non offrivano di certo condizioni di vita dignitose: di questi, diversi morirono, altri andarono dispersi ed altri ancora riuscirono poi a tornare a casa.
Tra il '43 ed il '45 i dispersi, tra infoibati o deportati nei campi sono quasi 1.300.
Come appendice a questo fenomeno molto complesso vi è l'esodo che dal 1954 in poi, dopo il Memorandum di Londra che divise tra Italia e Jugoslavia il Territorio Libero di Trieste, vide migliaia di profughi istriani, di nazionalità italiana, abbandonare le terre passate all'allora Jugoslavia e riversarsi in Italia con relativo flusso inverso di jugoslavi verso l'altra direzione. Un'altra pagina nera, come sono sempre quelle che raccontano chi è costretto ad abbandonare un luogo da sempre sentito come proprio.
Infine, per cercare di comprendere ancora di più questo fenomeno così articolato, ci si dovrebbe fermare proprio sulla data scelta come giorno del ricordo: il 10 febbraio si riferisce infatti all'omologo giorno del 1947 quando a Parigi furono firmati i trattati di pace post seconda guerra mondiale che disegnarono il più lungo periodo di pace mai vissuto nel nostro continente.
Bisognerebbe quindi partire da questo concetto, dalla pace, dalla convivenza e dalla fratellanza dei popoli, e non dall'insulsa esigenza di dover fare un macabro conteggio delle vittime in base alla loro nazionalità.
Ricordare è necessario, ricordare è doveroso. E ricordare non è mai facile, soprattutto quando si cerca di farlo in maniera decontestualizzata dalla catena di fatti legati indissolubilmente a quel ricordo.
Si deve ricordare una storia che vede ferite inferte da una parte e dall'altra, spesso riconosciute solo a distanza di anni e con fatica. Ricordare bene e ricordare tutto, non solo per dare giustizia a una ricostruzione storica, ma anche, se non soprattutto, per dare dignità a quelle vittime che, al di là della propria nazionalità, hanno perso la vita in un modo barbaro e disumano.
Bisogna ricordare affinché ciò non accada più e che rimanga solo una brutta pagina del più grande libro intitolato "Intolleranza".
  • Anpi Molfetta
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