Cronaca
Inchiesta Petrol-Mafie Spa, 71 arrestati: anche un 39enne di Molfetta
Così la 'ndrangheta e la camorra frodavano lo Stato, in carcere anche Felice D'Agostino. Sequestri per quasi 1 miliardo di euro
Molfetta - giovedì 8 aprile 2021
17.24
Sono 71 le misure cautelari eseguite nell'operazione Petrol Mafie Spa. La Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro ha eseguito 15 fermi, quella di Reggio Calabria 23 misure cautelari, alla pari di quella di Roma, 10 infine quella di Napoli: fra gli arrestati anche il molfettese Felice D'Agostino, 39enne nato a Terlizzi.
L'operazione è frutto di quattro diverse indagini, coordinate dalle varie Procure Antimafia di Catanzaro, Reggio Calabria, Napoli e Roma, che ha fatto emergere la convergenza di strutture e pianificazioni mafiose nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a insospettabili. Sul fronte anti-camorra le indagini si sono concentrate, rispettivamente, sul clan Moccia e sulla Max Petroli s.r.l..
Il clan Moccia costituisce una tra le più pericolose organizzazioni camorristiche e l'operazione di oggi ha messo in evidenza gli interessi del clan nell'economia legale, in particolare nel settore dei petroli. Attraverso una serie di operazioni societarie, il gruppo di Antonio Moccia entra in rapporti con la Max Petroli s.r.l. - ora Made Petroli Italia s.r.l. - di Anna Bettozzi, che era riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di alcuni clan, tra cui quelli dei Moccia e dei casalesi.
Risulta che la Bettozzi avrebbe sfruttato non solo il riciclaggio di denaro della camorra, ma anche i vari sistemi di frode nel settore degli oli minerali, attraverso la costituzione di 20 società "cartiere" per svolgere compravendite puramente cartolari, mentre i Moccia ponevano la base logistica per lo svolgimento delle attività fraudolente a Napoli da dove venivano coordinate le commesse di materiale petrolifero e organizzato il vorticoso giro di fatturazioni per operazioni inesistenti.
Per la raccolta delle ingenti somme liquide derivanti dalla frode, il clan Moccia si avvaleva di una organizzazione parallela, atta al riciclaggio di risorse finanziarie, gestita da "colletti bianchi", attiva sul territorio partenopeo e romano. In pratica, le società "cartiere", una volta introitate le somme, effettuavano ingenti bonifici a società terze, simulando pagamenti di forniture mai avvenute. Quest'ultimo, infine, provvedeva ai prelevamenti in contanti e alle restituzioni tramite "spalloni".
Si trattava di soldi provenienti dalle attività illecite reinvestiti in un settore legale per produrre proventi illeciti attraverso le frodi fiscali: un effetto che finisce per annichilire la concorrenza, sia per i prezzi troppo bassi per gli operatori, sia perché quest'ultimi indietreggiano quando si trovano di fronte imprenditori mafiosi.
L'operazione è frutto di quattro diverse indagini, coordinate dalle varie Procure Antimafia di Catanzaro, Reggio Calabria, Napoli e Roma, che ha fatto emergere la convergenza di strutture e pianificazioni mafiose nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a insospettabili. Sul fronte anti-camorra le indagini si sono concentrate, rispettivamente, sul clan Moccia e sulla Max Petroli s.r.l..
Il clan Moccia costituisce una tra le più pericolose organizzazioni camorristiche e l'operazione di oggi ha messo in evidenza gli interessi del clan nell'economia legale, in particolare nel settore dei petroli. Attraverso una serie di operazioni societarie, il gruppo di Antonio Moccia entra in rapporti con la Max Petroli s.r.l. - ora Made Petroli Italia s.r.l. - di Anna Bettozzi, che era riuscita a ottenere forti iniezioni di liquidità da parte di alcuni clan, tra cui quelli dei Moccia e dei casalesi.
Risulta che la Bettozzi avrebbe sfruttato non solo il riciclaggio di denaro della camorra, ma anche i vari sistemi di frode nel settore degli oli minerali, attraverso la costituzione di 20 società "cartiere" per svolgere compravendite puramente cartolari, mentre i Moccia ponevano la base logistica per lo svolgimento delle attività fraudolente a Napoli da dove venivano coordinate le commesse di materiale petrolifero e organizzato il vorticoso giro di fatturazioni per operazioni inesistenti.
Per la raccolta delle ingenti somme liquide derivanti dalla frode, il clan Moccia si avvaleva di una organizzazione parallela, atta al riciclaggio di risorse finanziarie, gestita da "colletti bianchi", attiva sul territorio partenopeo e romano. In pratica, le società "cartiere", una volta introitate le somme, effettuavano ingenti bonifici a società terze, simulando pagamenti di forniture mai avvenute. Quest'ultimo, infine, provvedeva ai prelevamenti in contanti e alle restituzioni tramite "spalloni".
Si trattava di soldi provenienti dalle attività illecite reinvestiti in un settore legale per produrre proventi illeciti attraverso le frodi fiscali: un effetto che finisce per annichilire la concorrenza, sia per i prezzi troppo bassi per gli operatori, sia perché quest'ultimi indietreggiano quando si trovano di fronte imprenditori mafiosi.