Grazie alla rassegna Rosso Porpora a Molfetta si parla di "Codice Rosso"
Presenti il giudice molfettese Valerio de Gioia e la giornalista del TG1 Adriana Pannitteri
Molfetta - sabato 29 febbraio 2020
13.11
Giunge alla sua terza edizione, dopo il successo delle scorse annate, la kermesse "Rosso porpora", rassegna contro la violenza di genere promossa dall'amministrazione comunale di Molfetta e dall'Assessore alla Cultura Sara Allegretta.
Nel primo appuntamento di questa nuova serie di eventi, si è tenuto venerdì 28 febbraio presso l'Auditorium del Museo Diocesano l'incontro "Codice Rosso- tra inefficienze del sistema e cronache di delitti annunciati": oltre all'assessore Allegretta, che ha ancora rivendicato il valore della rassegna, da sempre incentrata sul dare una voce alle donne piuttosto che a focalizzarsi sui particolari scabrosi e macabri degli eventi delittuosi, sono intervenuti il Giudice della prima sezione del Tribunale penale di Roma Valerio de Gioia e la scrittrice e giornalista del Tg1 Adriana Pannitteri.
Stavolta i riflettori di "Rosso porpora" si accendono su quelli che sono i diritti delle donne, partendo da una disamina del cosiddetto Codice Rosso, ossia la legge n.69/2019 che ha introdotto una serie di norme nuove ed inedite in difesa delle vittime di violenza e femminicidi. Se la nuova legge ha avuto il merito di rendere reati alcuni comportamenti particolarmente aberranti come il revenge porn o il reato di omicidio di identità, consistente in tutte quelle pratiche per cui una donna viene privata dei suoi tratti caratteristici mediante acido o altro, appare però ancora drammaticamente evidente come spesso, sulla base dell'onda emotiva dell'eco di fatti di cronaca efferati, si varino delle leggi il cui effettivo contenuto sanzionatorio si affievolisce notevolmente quando si arriva alla pratica, scaricando spesso la percezione della mancanza di tutela sul giudice e non invece sul legislatore.
Durante l'incontro, infatti, il giudice De Gioia e la giornalista Pannitteri hanno illuminato parte di queste ombre, partendo da quelle classifiche che, in modo erroneamente confortante, pongono l'Italia a metà elenco di paesi per numero di denunce di reati di genere, preceduta da stati molto più aperti mentalmente quali quelli nordici. Eppure, il problema in realtà è a monte, dato che in Italia si denuncia molto meno e, oltre che per un costume differente, non viene in soccorso nemmeno il sistema legale. Se si è imposto ai pm di ascoltare la vittima entro tre giorni dalla denuncia, obbligo spesso traslato sulla polizia giudiziaria per la mole di lavoro dei magistrati, non si è ancora impedito che la donna resti nel luogo in cui è oggetto di denuncia per anni, prima di giungere a dibattimento. Si è prevista come aggravante la cosiddetta "violenza assistita", che avviene dove i minori assistano agli episodi di violenza, ma al contempo gli orfani di femminicidio sono destinatari di un fondo apposito di tutela che per il momento non è ancora attuato. Senza contare le altre forme di risarcimento di cui, talvolta, viene imposta la restituzione allo Stato perché, nonostante il gran numero di denunce della vittima, l'omicidio si profilava come "inevitabile".
La strada, perciò, appare più che mai in salita, nonostante le roboanti dichiarazioni di principio e le norme in vigore. Parte della sua risoluzione passa, secondo Adriana Pannitteri, da una forma diversa di educazione emozionale che parta dalla scuola elementare e che insegni sin da bambini a gestire la rabbia, il rifiuto, l'emozione negativa che, se non ben canalizzata, può sfociare nella violenza. A livello giuridico, invece, il magistrato De Gioia ha auspicato, tra le altre cose, una maggiore comunicazione tra giudice penale e giudice civile allo scopo di porre un freno anche alle denunce strumentali, magari mediante la cognizione di ciò che accade anche nelle cause di separazione, e un'implementazione ulteriore dell'istituto dell'incidente probatorio, così da impedire che per le alterne vicende che avvengono in un processo, la vittima debba essere sentita ripetutamente a distanza di tempo, con rievocazione dolorosa del proprio vissuto e conseguente scoraggiamento a proseguire nell'iter giudiziario.
Il weekend di "Rosso porpora" prosegue stasera 29 febbraio, alle 20 sempre presso il Museo Diocesano, con "Harem, le donne di Federico" a cura dell'Associazione culturale Galleria Manfredi di Lucera, un piccolo giallo storico in cui la figura di Federico II di Svevia è narrata attraverso tre figure femminili protagoniste: Bianca Lancia, sua figlia Violante e la sua balia.
Nel primo appuntamento di questa nuova serie di eventi, si è tenuto venerdì 28 febbraio presso l'Auditorium del Museo Diocesano l'incontro "Codice Rosso- tra inefficienze del sistema e cronache di delitti annunciati": oltre all'assessore Allegretta, che ha ancora rivendicato il valore della rassegna, da sempre incentrata sul dare una voce alle donne piuttosto che a focalizzarsi sui particolari scabrosi e macabri degli eventi delittuosi, sono intervenuti il Giudice della prima sezione del Tribunale penale di Roma Valerio de Gioia e la scrittrice e giornalista del Tg1 Adriana Pannitteri.
Stavolta i riflettori di "Rosso porpora" si accendono su quelli che sono i diritti delle donne, partendo da una disamina del cosiddetto Codice Rosso, ossia la legge n.69/2019 che ha introdotto una serie di norme nuove ed inedite in difesa delle vittime di violenza e femminicidi. Se la nuova legge ha avuto il merito di rendere reati alcuni comportamenti particolarmente aberranti come il revenge porn o il reato di omicidio di identità, consistente in tutte quelle pratiche per cui una donna viene privata dei suoi tratti caratteristici mediante acido o altro, appare però ancora drammaticamente evidente come spesso, sulla base dell'onda emotiva dell'eco di fatti di cronaca efferati, si varino delle leggi il cui effettivo contenuto sanzionatorio si affievolisce notevolmente quando si arriva alla pratica, scaricando spesso la percezione della mancanza di tutela sul giudice e non invece sul legislatore.
Durante l'incontro, infatti, il giudice De Gioia e la giornalista Pannitteri hanno illuminato parte di queste ombre, partendo da quelle classifiche che, in modo erroneamente confortante, pongono l'Italia a metà elenco di paesi per numero di denunce di reati di genere, preceduta da stati molto più aperti mentalmente quali quelli nordici. Eppure, il problema in realtà è a monte, dato che in Italia si denuncia molto meno e, oltre che per un costume differente, non viene in soccorso nemmeno il sistema legale. Se si è imposto ai pm di ascoltare la vittima entro tre giorni dalla denuncia, obbligo spesso traslato sulla polizia giudiziaria per la mole di lavoro dei magistrati, non si è ancora impedito che la donna resti nel luogo in cui è oggetto di denuncia per anni, prima di giungere a dibattimento. Si è prevista come aggravante la cosiddetta "violenza assistita", che avviene dove i minori assistano agli episodi di violenza, ma al contempo gli orfani di femminicidio sono destinatari di un fondo apposito di tutela che per il momento non è ancora attuato. Senza contare le altre forme di risarcimento di cui, talvolta, viene imposta la restituzione allo Stato perché, nonostante il gran numero di denunce della vittima, l'omicidio si profilava come "inevitabile".
La strada, perciò, appare più che mai in salita, nonostante le roboanti dichiarazioni di principio e le norme in vigore. Parte della sua risoluzione passa, secondo Adriana Pannitteri, da una forma diversa di educazione emozionale che parta dalla scuola elementare e che insegni sin da bambini a gestire la rabbia, il rifiuto, l'emozione negativa che, se non ben canalizzata, può sfociare nella violenza. A livello giuridico, invece, il magistrato De Gioia ha auspicato, tra le altre cose, una maggiore comunicazione tra giudice penale e giudice civile allo scopo di porre un freno anche alle denunce strumentali, magari mediante la cognizione di ciò che accade anche nelle cause di separazione, e un'implementazione ulteriore dell'istituto dell'incidente probatorio, così da impedire che per le alterne vicende che avvengono in un processo, la vittima debba essere sentita ripetutamente a distanza di tempo, con rievocazione dolorosa del proprio vissuto e conseguente scoraggiamento a proseguire nell'iter giudiziario.
Il weekend di "Rosso porpora" prosegue stasera 29 febbraio, alle 20 sempre presso il Museo Diocesano, con "Harem, le donne di Federico" a cura dell'Associazione culturale Galleria Manfredi di Lucera, un piccolo giallo storico in cui la figura di Federico II di Svevia è narrata attraverso tre figure femminili protagoniste: Bianca Lancia, sua figlia Violante e la sua balia.