Gaetano Salvemini, il ricordo a 150 anni dalla nascita
Uno storico che ha portato in alto il nome di Molfetta nel mondo
Molfetta - venerdì 8 settembre 2023
20.11
Lo vidi per la prima volta in un pomeriggio di marzo 1912 in casa Spinelli. Era di statura inferiore alla media, di forme tozze, sguarnito di capelli al sommo del capo, di volto non bello ma animato da due occhi scuri, due pupille dove brillava una luce profonda e viva che era d'intelligenza e di bontà. In testa portava un cappello rotondo ad alte falde ed indosso un corto mantello grigio scuro.
È la descrizione che ci consegna il pedagogista bitontino Giuseppe Caiati quando incontrò per la prima volta Gaetano Salvemini. In occasione del 150° anniversario dalla nascita dell'intellettuale molfettese (8 settembre 2023), uno dei principali intellettuali meridionali del Novecento, in tutta Italia si stanno moltiplicando convegni, dibatti, manifestazioni e pubblicazioni per riscoprirne l'eredità storica e culturale. E, in effetti, tutt'oggi i temi propri del meridionalismo da lui affrontati sono lungi dall'essere tramontati.
Proviamo quindi a fornire qualche spunto di riflessione senza ovviamente avere la pretesa di esaustività. Storico acuto e combattente intransigente, attraverso la sua vita possiamo leggere le vicende di un mondo spesso in agonia, dilaniato da due conflitti mondiali e dall'esperienza oppressiva dei totalitarismi. Di carattere fermo, risoluto e a tratti spigoloso, Salvemini talvolta era in grado di lasciare interdetti i suoi stessi interlocutori. Di certo non era un moderato. E lo dimostra la sua scelta di uscire dal Partito socialista nel 1911, sia per un contrasto dovuto alle scelte del partito, come quella riguardante la sostanziale indifferenza innanzi alla conquista della Libia, sia perché poco interessato all'emancipazione dei contadino del Sud.
L'intellettuale molfettese, dopo il suffragio universale maschile concesso dal Giolitti, ne trasse la conclusione che questi aveva tolto al Partito socialista la possibilità di ritrovare la propria profonda unità nella lotta. Pertanto, evidenziò che «il lavoro che non abbiamo saputo o voluto fare per spingere le masse a conquistare il diritto elettorale, saremo costretti a farlo per educarle ad adoperarlo». Col senno di poi, Salvemini esprimerà riserve e preoccupazioni sulla concessione del suffragio universale senza una adeguata formazione etico-politica del popolo: «Io avrei desiderato – scrisse – un suffragio universale conquistato con una mezza dozzina d'anni di agitazione. Così come ci capitò adesso, è un pranzo offerto alle otto di mattina». Così, dopo aver condotto in un primo tempo le sue battaglie sul periodico la "Voce", nell'ottobre del 1911, il professore molfettese con Gino Luzzato, Giuseppe Petraglione e Giustino Fortunato fondò "L'Unità", vero e proprio organo di lotta politica.
Nel gennaio 1912, Salvemini, candidato a Molfetta per un seggio in parlamento, fu invitato ad accettare anche quella per Bitonto. Nel 1910 Salvemini era già stato candidato dai socialisti nella elezione suppletiva nel collegio uninominale di Frascati-Albano. In quell'occasione decise di accettare la candidatura perché ritenne suo dovere accogliere l'invito «ad una campagna di propaganda morale in un collegio profondamente inquinato per colpa di tutti i partiti». Rimasto solo in ballottaggio contro il candidato giolittiano Domenico Valenzani, probabilmente sarebbe stato eletto se, alla vigilia del voto, non si fosse ritirato avendo saputo che i suoi sostenitori, per neutralizzare le frodi degli avversari, intendevano anch'essi ricorrere a mezzi illeciti.
Salvemini, sulla scorta di quell'esperienza, al nuovo invito rivoltogli per il collegio di Bitonto, rispose: «Sentir parlare di candidature mi fa venire il freddo nella schiena. Sento di non potermi sottrarre a questa nuova passione. Eppure vorrei non accettarla e sfuggirla». Accettò comunque. Le elezioni politiche del 1913 passarono alla storia per le violenze inaudite dei "mazzieri" sotto l'occhio benevolo delle forze dell'ordine e del Prefetto. Nelle elezioni per la Deputazione provinciale del 1914, invece, Salvemini ottenne una vittoria schiacciante: a Molfetta riportò 4835 voti e a Bitonto 3336. Ma di lì a breve intervenne la Guerra a scompaginare gli equilibri internazionali. Salvemini fu tra i fautori dell'intervento contro l'Austria e l'imperialismo tedesco. La sua coerenza morale gli impose di arruolarsi volontario sul Carso sin dal primo anno di guerra. Sì trattò di un'esperienza che durò pochi giorni. Per lui, come in generale per gli interventisti democratici, la partecipazione al conflitto era necessaria non certo per assecondare logiche di potenza, ma per completare l'opera di unificazione nazionale ed avviare un processo di effettiva democratizzazione della vita politica, in Italia ed in Europa.
Va detto che questo proposito, unitamente all'opposizione quasi cieca a Giolitti e al giolittismo, non gli permise di cogliere l'assoluta estraneità delle classi subalterne, operai e contadini, alla guerra, le quali «domandavano solamente di essere lasciate tranquille alla loro vita di ogni giorno». Nel dopoguerra Salvemini, con i suoi collaboratori, continuò senza sosta a lavorare sul progetto de "L'Unità". Il periodico, pur essendo uno strumento di educazione politica e di lotta veramente unico, assorbì il professore molfettese in un lavoro, dirà, «penosissimo». «Ho la coscienza – confidò al suo amico Giovanni Modugno – che sia quello il solo giornale democratico in Italia oggi [...] Il nostro giornale dovrebbe essere la luce del Mezzogiorno. Ma solo a Torino si vendono tante copie quante in tutto il Mezzogiorno!».
Il 23 febbraio 1919, in un convegno a Firenze tenuto tra i più stretti collaboratori de "L'Unità", venne ipotizzato che "L'Unità" potesse divenire qualcosa di più che un semplice periodico politico. Si decise di costituire un primo nucleo d'azione a Firenze e di promuovere la creazione di presidi in altre città. Come primo compito il gruppo fiorentino si propose, tra le altre cose, di avviare delle campagne a favore di una legge proporzionale e di voto alle donne. Ben presto, in effetti, sorsero altri gruppi di "unitari" nelle principali città italiane, tra cui va menzionato quello torinese del ventenne Piero Gobetti, di lì a breve martire antifascista. Emblematica fu la prima impressione del giovane intellettuale torinese: «Salvemini è un genio – scrisse alla sua compagna - . Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che sviscera le questioni, che la fa smettere agli importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti, definitive». Salvemini, in tale frangente, si dichiarò favorevole a costituire un'organizzazione più agile e decentrata fino a quando la maggioranza degli amici del giornale non si fosse mostrata favorevole all'idea del partito. Questa si chiamò "Lega democratica per il rinnovamento della vita pubblica italiana".
Schieratosi nel 1919 con l'ANC (Associazione Nazionale Combattenti), si candidò nuovamente per il Parlamento, e finalmente la candidatura fu coronata dal successo elettorale, favorita anche dal clima di relativa correttezza elettorale sotto il governo di Francesco Nitti. Fu un successo al quale seguì un'ennesima delusione: nel volgere di poco tempo tutto il movimento combattentistico si spostò a destra, manovrato, subito dopo le elezioni, in Capitanata da Caradonna, ras agrario di Cerignola e successivamente anima nera del fascismo pugliese, e in provincia di Bari da Di Crollalanza, anch'egli in seguito personalità di spicco del fascismo. L'ANC trovò nel nazionalismo e nell'antisocialismo la sua ideologia di riferimento e nel fascismo il suo quasi naturale sbocco politico. Agli inizi del 1921, la stessa componete democratica guidata da Salvemini, resasi conto dell'orientamento antisocialista e filofascista che il movimento stava prendendo, decise di abbandonarlo definitivamente.
La situazione politica in Italia precipitò in breve tempo. Nella prima metà del 1925, Salvemini, insieme a Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e altri, dette vita a Firenze a un giornale clandestino, "Non mollare!", nel quale sostenne, contro le indecisioni degli aventiniani, la necessità di un'opposizione intransigente alla nuova dittatura. Arrestato e processato, nell'agosto 1925 approfittò della libertà provvisoria per espatriare in Francia e poi in Inghilterra, dove iniziò un'intensa attività di conferenziere e di pubblicista antifascista. Dopo essere stato tra i fondatori del movimento "Giustizia e Libertà", dal 1934 si stabilì negli Stati Uniti e fino al suo rientro in Italia, avvenuto nel 1947, tenne la cattedra di storia della civiltà italiana presso l'Università di Harvard.
Giovanni Capurso
È la descrizione che ci consegna il pedagogista bitontino Giuseppe Caiati quando incontrò per la prima volta Gaetano Salvemini. In occasione del 150° anniversario dalla nascita dell'intellettuale molfettese (8 settembre 2023), uno dei principali intellettuali meridionali del Novecento, in tutta Italia si stanno moltiplicando convegni, dibatti, manifestazioni e pubblicazioni per riscoprirne l'eredità storica e culturale. E, in effetti, tutt'oggi i temi propri del meridionalismo da lui affrontati sono lungi dall'essere tramontati.
Proviamo quindi a fornire qualche spunto di riflessione senza ovviamente avere la pretesa di esaustività. Storico acuto e combattente intransigente, attraverso la sua vita possiamo leggere le vicende di un mondo spesso in agonia, dilaniato da due conflitti mondiali e dall'esperienza oppressiva dei totalitarismi. Di carattere fermo, risoluto e a tratti spigoloso, Salvemini talvolta era in grado di lasciare interdetti i suoi stessi interlocutori. Di certo non era un moderato. E lo dimostra la sua scelta di uscire dal Partito socialista nel 1911, sia per un contrasto dovuto alle scelte del partito, come quella riguardante la sostanziale indifferenza innanzi alla conquista della Libia, sia perché poco interessato all'emancipazione dei contadino del Sud.
L'intellettuale molfettese, dopo il suffragio universale maschile concesso dal Giolitti, ne trasse la conclusione che questi aveva tolto al Partito socialista la possibilità di ritrovare la propria profonda unità nella lotta. Pertanto, evidenziò che «il lavoro che non abbiamo saputo o voluto fare per spingere le masse a conquistare il diritto elettorale, saremo costretti a farlo per educarle ad adoperarlo». Col senno di poi, Salvemini esprimerà riserve e preoccupazioni sulla concessione del suffragio universale senza una adeguata formazione etico-politica del popolo: «Io avrei desiderato – scrisse – un suffragio universale conquistato con una mezza dozzina d'anni di agitazione. Così come ci capitò adesso, è un pranzo offerto alle otto di mattina». Così, dopo aver condotto in un primo tempo le sue battaglie sul periodico la "Voce", nell'ottobre del 1911, il professore molfettese con Gino Luzzato, Giuseppe Petraglione e Giustino Fortunato fondò "L'Unità", vero e proprio organo di lotta politica.
Nel gennaio 1912, Salvemini, candidato a Molfetta per un seggio in parlamento, fu invitato ad accettare anche quella per Bitonto. Nel 1910 Salvemini era già stato candidato dai socialisti nella elezione suppletiva nel collegio uninominale di Frascati-Albano. In quell'occasione decise di accettare la candidatura perché ritenne suo dovere accogliere l'invito «ad una campagna di propaganda morale in un collegio profondamente inquinato per colpa di tutti i partiti». Rimasto solo in ballottaggio contro il candidato giolittiano Domenico Valenzani, probabilmente sarebbe stato eletto se, alla vigilia del voto, non si fosse ritirato avendo saputo che i suoi sostenitori, per neutralizzare le frodi degli avversari, intendevano anch'essi ricorrere a mezzi illeciti.
Salvemini, sulla scorta di quell'esperienza, al nuovo invito rivoltogli per il collegio di Bitonto, rispose: «Sentir parlare di candidature mi fa venire il freddo nella schiena. Sento di non potermi sottrarre a questa nuova passione. Eppure vorrei non accettarla e sfuggirla». Accettò comunque. Le elezioni politiche del 1913 passarono alla storia per le violenze inaudite dei "mazzieri" sotto l'occhio benevolo delle forze dell'ordine e del Prefetto. Nelle elezioni per la Deputazione provinciale del 1914, invece, Salvemini ottenne una vittoria schiacciante: a Molfetta riportò 4835 voti e a Bitonto 3336. Ma di lì a breve intervenne la Guerra a scompaginare gli equilibri internazionali. Salvemini fu tra i fautori dell'intervento contro l'Austria e l'imperialismo tedesco. La sua coerenza morale gli impose di arruolarsi volontario sul Carso sin dal primo anno di guerra. Sì trattò di un'esperienza che durò pochi giorni. Per lui, come in generale per gli interventisti democratici, la partecipazione al conflitto era necessaria non certo per assecondare logiche di potenza, ma per completare l'opera di unificazione nazionale ed avviare un processo di effettiva democratizzazione della vita politica, in Italia ed in Europa.
Va detto che questo proposito, unitamente all'opposizione quasi cieca a Giolitti e al giolittismo, non gli permise di cogliere l'assoluta estraneità delle classi subalterne, operai e contadini, alla guerra, le quali «domandavano solamente di essere lasciate tranquille alla loro vita di ogni giorno». Nel dopoguerra Salvemini, con i suoi collaboratori, continuò senza sosta a lavorare sul progetto de "L'Unità". Il periodico, pur essendo uno strumento di educazione politica e di lotta veramente unico, assorbì il professore molfettese in un lavoro, dirà, «penosissimo». «Ho la coscienza – confidò al suo amico Giovanni Modugno – che sia quello il solo giornale democratico in Italia oggi [...] Il nostro giornale dovrebbe essere la luce del Mezzogiorno. Ma solo a Torino si vendono tante copie quante in tutto il Mezzogiorno!».
Il 23 febbraio 1919, in un convegno a Firenze tenuto tra i più stretti collaboratori de "L'Unità", venne ipotizzato che "L'Unità" potesse divenire qualcosa di più che un semplice periodico politico. Si decise di costituire un primo nucleo d'azione a Firenze e di promuovere la creazione di presidi in altre città. Come primo compito il gruppo fiorentino si propose, tra le altre cose, di avviare delle campagne a favore di una legge proporzionale e di voto alle donne. Ben presto, in effetti, sorsero altri gruppi di "unitari" nelle principali città italiane, tra cui va menzionato quello torinese del ventenne Piero Gobetti, di lì a breve martire antifascista. Emblematica fu la prima impressione del giovane intellettuale torinese: «Salvemini è un genio – scrisse alla sua compagna - . Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che sviscera le questioni, che la fa smettere agli importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti, definitive». Salvemini, in tale frangente, si dichiarò favorevole a costituire un'organizzazione più agile e decentrata fino a quando la maggioranza degli amici del giornale non si fosse mostrata favorevole all'idea del partito. Questa si chiamò "Lega democratica per il rinnovamento della vita pubblica italiana".
Schieratosi nel 1919 con l'ANC (Associazione Nazionale Combattenti), si candidò nuovamente per il Parlamento, e finalmente la candidatura fu coronata dal successo elettorale, favorita anche dal clima di relativa correttezza elettorale sotto il governo di Francesco Nitti. Fu un successo al quale seguì un'ennesima delusione: nel volgere di poco tempo tutto il movimento combattentistico si spostò a destra, manovrato, subito dopo le elezioni, in Capitanata da Caradonna, ras agrario di Cerignola e successivamente anima nera del fascismo pugliese, e in provincia di Bari da Di Crollalanza, anch'egli in seguito personalità di spicco del fascismo. L'ANC trovò nel nazionalismo e nell'antisocialismo la sua ideologia di riferimento e nel fascismo il suo quasi naturale sbocco politico. Agli inizi del 1921, la stessa componete democratica guidata da Salvemini, resasi conto dell'orientamento antisocialista e filofascista che il movimento stava prendendo, decise di abbandonarlo definitivamente.
La situazione politica in Italia precipitò in breve tempo. Nella prima metà del 1925, Salvemini, insieme a Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e altri, dette vita a Firenze a un giornale clandestino, "Non mollare!", nel quale sostenne, contro le indecisioni degli aventiniani, la necessità di un'opposizione intransigente alla nuova dittatura. Arrestato e processato, nell'agosto 1925 approfittò della libertà provvisoria per espatriare in Francia e poi in Inghilterra, dove iniziò un'intensa attività di conferenziere e di pubblicista antifascista. Dopo essere stato tra i fondatori del movimento "Giustizia e Libertà", dal 1934 si stabilì negli Stati Uniti e fino al suo rientro in Italia, avvenuto nel 1947, tenne la cattedra di storia della civiltà italiana presso l'Università di Harvard.
Giovanni Capurso