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Felice Spaccavento: «Tutto ciò che non è ospedale»
La nota del candidato al Consiglio comunale di Rinascere con Lillino Drago sindaco
Molfetta - giovedì 9 giugno 2022
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Sono stato, per anni, un Medico ospedaliero. Un medico di quel posto chiamato troppo genericamente "Ospedale", dove i cittadini dovrebbero correre quando necessitano di prestazioni occasionali urgenti o dove dovrebbero recarsi per visite mediche o cure che prevedono il ricovero di più giorni. Cioè in tutte quelle condizioni in cui servirebbe ripristinare o migliorare la salute, in modo che i pazienti possano poi tornare a casa. Il condizionale in questi casi è d'obbligo perché tra le finalità dichiarate e la reale attuazione di queste misure c'è un gap considerevole a causa di una atavica cultura ospedalo-centrica o di una scarsa conoscenza di tutto ciò che "non è ospedale".
Eppure la mia sfida più grande è stata quella di diventare un Medico del territorio, iniziata circa tre anni fa, quando, zaino in spalla, ho deciso di occuparmi di "assistenza territoriale".
Parola rimasta in sordina per troppo tempo ma inflazionata con l'arrivo della pandemia. E proprio questa tragedia sanitaria ha sbattuto in faccia, a tutti noi, una mancanza o carenza di medicina del territorio, che ha portato gli ospedali a saturarsi velocemente, con tutti i problemi che ne sono derivati.
L'assistenza territoriale comprende attività e prestazioni di diagnosi, cura, riabilitazione di primo livello, di pronto intervento, di educazione sanitaria e di medicina preventiva. L'offerta di questi servizi si colloca all'esterno degli ospedali per acuti e all'interno di strutture come i Distretti Socio Sanitari, i PTA (presidi territoriali di assistenza), le strutture residenziali e semiresidenziali. Rappresenta l'alternativa alla ospedalizzazione per il trattamento di bisogni di salute che richiedono un'offerta sanitaria di primo livello. Garantisce la continuità assistenziale per la gestione sia dei pazienti dimessi dagli ospedali nelle fasi post acuzie, sia affetti da patologie croniche, cioè da quelle patologie da cui non si guarisce ma, se ben controllate, permettono comunque una buona qualità di vita.
Il territorio non è però una scoperta della pandemia, bensì nasce più di trenta anni fa.
La pandemia, ha solo evidenziato che, non investire sul territorio, è stato un grave segno di miopia e di scarsa lungimiranza nella gestione del nostro Sistema Sanitario Nazionale.
Per questo, la prima componente del nuovo PNRR, ha l'obiettivo di potenziare, là dove già esistano, oppure creare ex novo, strutture e presidi territoriali, tra cui le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità oltre a rafforzare l'assistenza domiciliare anche con lo sviluppo della telemedicina.
L'investimento previsto ammonta a circa 2 miliardi di euro, tra gli altri, solo per la creazione o il potenziamento di 1.288 case di comunità a livello nazionale, che dovranno lavorare come un filtro sul territorio per evitare accessi impropri negli ospedali, gestendo in particolare i pazienti anziani e cronici, con "presenza medica" 7 giorni su 7 per 24 ore al giorno. Anche per il comune di Molfetta è prevista la costituzione della Casa di Comunità che, a detta della giunta Minervini, con dichiarazione del febbraio scorso, dovrebbe sorgere in un'area di 3500 metri quadrati, adiacente all'attuale ospedale.
Il PNRR prevede anche l'identificazione di un modello condiviso delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, come la telemedicina.
Anche il potenziamento dei servizi domiciliari è un obiettivo fondamentale. L'investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 % della popolazione di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche o non autosufficienti.
Ma chi come me opera sul territorio, non ha atteso il PNRR per tirare fuori l'immane potenziale di tutto ciò che "non è ospdale".
In quello zaino, con cui sono partito tre anni fa, oggi posso mettere solo il fonendoscopio e un ricettario, perché ben presto è stato necessario munire la squadra di dotazioni strumentali, di devices, di elettrocardiografi o ecografi. Oltre che di quell'empatia che è la chiave che apre le case di tutti i pazienti.
A testimonianza che la sanità è ospedale, è territorio ma può essere anche casa.
L'impegno di oggi è, pertanto, quello di implementare l' assistenza sanitaria territoriale che mi ha sfidato pochi anni fa, mirando a ridefinire i rapporti ospedale-territorio, a ricongiungere la dimensione sociale con quella sanitaria, per tutte le persone in condizione di vulnerabilità ed emarginazione e soprattutto a stimolare un processo decisivo di rinnovamento culturale verso "tutto ciò che non è Ospedale".