Cultura, Eventi e Spettacolo
Da Molfetta a Roma alla ricerca di un sogno: la storia di Nicolò Ayroldi
Un lungo percorso artistico e di crescita, dall'animazione al teatro
Molfetta - mercoledì 27 maggio 2020
14.51
Cercare la propria via di realizzazione è l'obiettivo più alto che ciascuno si possa porre nella vita, nel quotidiano ma soprattutto a lungo termine. Talvolta, scegliere significa anche rinunciare, soprattutto quando la propria inclinazione necessita di uno sradicamento rispetto alla terra d'origine. Potremmo riassumere così la storia di Nicolò Ayroldi, classe 1994 che ha deciso come tanti suoi coetanei di lasciare Molfetta per trasferirsi a Roma, nella speranza di formarsi artisticamente e di trovare l'essenza più profonda della propria identità.
Il suo grande sogno è quello di diventare un attore di teatro, eppure da ragazzino il suo palcoscenico ideale era quello del rettangolo verde: il calcio era la sua passione e fino a un certo punto ha anche assaporato la possibilità di poter davvero sfondare nel tanto ambito mondo del pallone. Nella stagione 2012-13 ha militato anche nel Bisceglie in Serie D, momento più alto di una carriera interrotta troppo presto da problemi fisici: «Quando mi è stato detto che non avrei potuto continuare a giocare ho affrontato una fase molto delicata, perché mi sentivo privato di un qualcosa che reputavo fondamentale per me. Ho dovuto appendere gli scarpini al chiodo, come si dice in questi casi».
Archiviata l'ambizione sportiva, è arrivato il primo approccio con il palco, suo futuro e fedele compagno: «Ho scelto di mettermi in gioco con l'animazione e grazie all'agenzia Frog ho iniziato a riscoprire un nuovo lato del mio essere e con loro ho lavorato per sei stagioni. Durante questo periodo mi sono reso conto di aver bisogno ancora di qualcosa di diverso e ho scelto di dar seguito alla passione per la comicità che mi ha sempre caratterizzato e che probabilmente avrebbe potuto darmi soddisfazioni anche dal punto di vista artistico. Per cimentarmi in questa nuova avventura ho preferito ripartire da zero altrove e Roma mi è sembrato il luogo più adatto».
Il trasferimento nella capitale, nel 2014, segna l'avvio di un profondo studio del mondo della comicità: «A Roma ho intrapreso un percorso di studio legato al cabaret e ho avuto la possibilità di approfondire la conoscenza di tutto ciò che caratterizza la risata, un mare ben più profondo di quanto si possa pensare. In seguito ho formato con alcuni miei colleghi un gruppo chiamato "The Comical Brothers" e ho fatto una gavetta di due anni durante i quali ho scritto monologhi comici e mi esibivo in pub e locali. Anche in questo caso, purtroppo o per fortuna, sentivo di non essere ancora pienamente soddisfatto e ho provato a seguire la via del doppiaggio, seguendo due corsi a Benevento e sempre a Roma. Mi mancava ancora qualcosa, forse l'ultimo step di questa mia ricerca dentro me stesso».
La svolta, quella decisiva, arriva proprio con l'avvicinamento al teatro: «Il passaggio-chiave è stato l'ingresso nell'Accademia d'arte drammatica Cassiopea nel 2017, dove ho finalmente toccato con mano l'essenza di quel che cercavo ossia diventare un attore. Qui è cambiato totalmente il mio modo di percepire e vivere l'arte attoriale, perché è davvero difficile capire cosa possa significare essere un attore: fare arte significa lavorare duramente ogni giorno, al pari di un qualsiasi musicista che deve studiare con costanza il proprio strumento, per conoscersi e capire come poter tirar fuori le proprie sensazioni e i propri stati d'animo. Fin quando non ti rendi conto di chi sei non puoi sapere come dar forma a quel che pensi di essere. Studiare in accademia mi ha dato tantissimo in questo senso, aiutandomi a crescere anche come persona».
«L'anno scorso - racconta Nicolò - ho potuto scrivere il mio primo spettacolo con alcuni miei colleghi, per un progetto accademico dal titolo "I corpi dell'Arma" che richiama la tristemente nota vicenda di Stefano Cucchi e affronta il tema delle scelte che noi facciamo come vero spartiacque tra il bene e il male. Nel 2020 abbiamo nuovamente avuto l'occasione di cimentarci in un progetto autonomo grazie al premio vinto dall'accademia e fra pochi giorni mi sarei esibito per la prima volta se non fosse emersa l'epidemia di Coronavirus. Purtroppo dobbiamo accettare questo stato di cose e continuare a lavorare per il futuro, cercando di sfruttare nel migliore dei modi questo difficile tempo di stallo che le circostanze ci stanno imponendo».
L'appuntamento con l'esordio è dunque rinviato alla stagione 2020-21 ma, nel frattempo, dal lockdown è nato comunque un nuovo prodotto artistico, online sul web da pochi giorni: «La performance "La drammaturgia degli ibernati" nasce proprio come ribellione rispetto a questo periodo di confusione totale, per una esperienza audiovisiva che ha già vinto un premio e che punta a trasmettere proprio il senso di smarrimento che noi tutti stiamo vivendo sia come persone che come artisti in questo momento molto particolare della nostra storia. Ringrazio i miei colleghi con cui ho realizzato quest'ultimo progetto ossia Martina Tirone, Giulia Carrara, Benjamin Miller, Samuele Gambino, Valeria Micheli, Mira Damato. Speriamo di ripartire tutti insieme dopo questa chiusura generalizzata dei teatri e mi piacerebbe tantissimo, un giorno, tornare a Molfetta con un mio spettacolo».
Il suo grande sogno è quello di diventare un attore di teatro, eppure da ragazzino il suo palcoscenico ideale era quello del rettangolo verde: il calcio era la sua passione e fino a un certo punto ha anche assaporato la possibilità di poter davvero sfondare nel tanto ambito mondo del pallone. Nella stagione 2012-13 ha militato anche nel Bisceglie in Serie D, momento più alto di una carriera interrotta troppo presto da problemi fisici: «Quando mi è stato detto che non avrei potuto continuare a giocare ho affrontato una fase molto delicata, perché mi sentivo privato di un qualcosa che reputavo fondamentale per me. Ho dovuto appendere gli scarpini al chiodo, come si dice in questi casi».
Archiviata l'ambizione sportiva, è arrivato il primo approccio con il palco, suo futuro e fedele compagno: «Ho scelto di mettermi in gioco con l'animazione e grazie all'agenzia Frog ho iniziato a riscoprire un nuovo lato del mio essere e con loro ho lavorato per sei stagioni. Durante questo periodo mi sono reso conto di aver bisogno ancora di qualcosa di diverso e ho scelto di dar seguito alla passione per la comicità che mi ha sempre caratterizzato e che probabilmente avrebbe potuto darmi soddisfazioni anche dal punto di vista artistico. Per cimentarmi in questa nuova avventura ho preferito ripartire da zero altrove e Roma mi è sembrato il luogo più adatto».
Il trasferimento nella capitale, nel 2014, segna l'avvio di un profondo studio del mondo della comicità: «A Roma ho intrapreso un percorso di studio legato al cabaret e ho avuto la possibilità di approfondire la conoscenza di tutto ciò che caratterizza la risata, un mare ben più profondo di quanto si possa pensare. In seguito ho formato con alcuni miei colleghi un gruppo chiamato "The Comical Brothers" e ho fatto una gavetta di due anni durante i quali ho scritto monologhi comici e mi esibivo in pub e locali. Anche in questo caso, purtroppo o per fortuna, sentivo di non essere ancora pienamente soddisfatto e ho provato a seguire la via del doppiaggio, seguendo due corsi a Benevento e sempre a Roma. Mi mancava ancora qualcosa, forse l'ultimo step di questa mia ricerca dentro me stesso».
La svolta, quella decisiva, arriva proprio con l'avvicinamento al teatro: «Il passaggio-chiave è stato l'ingresso nell'Accademia d'arte drammatica Cassiopea nel 2017, dove ho finalmente toccato con mano l'essenza di quel che cercavo ossia diventare un attore. Qui è cambiato totalmente il mio modo di percepire e vivere l'arte attoriale, perché è davvero difficile capire cosa possa significare essere un attore: fare arte significa lavorare duramente ogni giorno, al pari di un qualsiasi musicista che deve studiare con costanza il proprio strumento, per conoscersi e capire come poter tirar fuori le proprie sensazioni e i propri stati d'animo. Fin quando non ti rendi conto di chi sei non puoi sapere come dar forma a quel che pensi di essere. Studiare in accademia mi ha dato tantissimo in questo senso, aiutandomi a crescere anche come persona».
«L'anno scorso - racconta Nicolò - ho potuto scrivere il mio primo spettacolo con alcuni miei colleghi, per un progetto accademico dal titolo "I corpi dell'Arma" che richiama la tristemente nota vicenda di Stefano Cucchi e affronta il tema delle scelte che noi facciamo come vero spartiacque tra il bene e il male. Nel 2020 abbiamo nuovamente avuto l'occasione di cimentarci in un progetto autonomo grazie al premio vinto dall'accademia e fra pochi giorni mi sarei esibito per la prima volta se non fosse emersa l'epidemia di Coronavirus. Purtroppo dobbiamo accettare questo stato di cose e continuare a lavorare per il futuro, cercando di sfruttare nel migliore dei modi questo difficile tempo di stallo che le circostanze ci stanno imponendo».
L'appuntamento con l'esordio è dunque rinviato alla stagione 2020-21 ma, nel frattempo, dal lockdown è nato comunque un nuovo prodotto artistico, online sul web da pochi giorni: «La performance "La drammaturgia degli ibernati" nasce proprio come ribellione rispetto a questo periodo di confusione totale, per una esperienza audiovisiva che ha già vinto un premio e che punta a trasmettere proprio il senso di smarrimento che noi tutti stiamo vivendo sia come persone che come artisti in questo momento molto particolare della nostra storia. Ringrazio i miei colleghi con cui ho realizzato quest'ultimo progetto ossia Martina Tirone, Giulia Carrara, Benjamin Miller, Samuele Gambino, Valeria Micheli, Mira Damato. Speriamo di ripartire tutti insieme dopo questa chiusura generalizzata dei teatri e mi piacerebbe tantissimo, un giorno, tornare a Molfetta con un mio spettacolo».