Politica
Antonio Di Gioia lascia: il partito implode, il segretario si arrende
Dietro le dimissioni del segretario contrasti con una parte del partito
Molfetta - domenica 5 marzo 2017
11.15
Doveva essere la resa dei conti, l'Assemblea del Partito Democratico è stato l'ennesimo show. Una specie di scontro all'arma bianca, connesso alla bufera sull'incertezza legata alla figura ideale di candidato sindaco e alla coalizione con cui sedersi ad un tavolo. Il flop delle trattative del centrosinistra, le incertezze del segretario dimissionario, Sinistra Italiana, DèP, Rifondazione Comunista, Linea Diritta, i mal di pancia di la Grasta, Piergiovanni, Capurso. Sullo sfondo, i dubbi sulle liste civiche di Tommaso Minervini. Insomma, un'occasione migliore per mettere Di Gioia con le spalle al muro e chiedergli una svolta.
Nel mezzo, il solito canovaccio da commedia dell'arte, rappresentazione simbolica dei vecchi riti della vecchia politica, a uso e consumo di chi vuole avere almeno l'illusione di far parte di un partito che discute. L'intervento del segretario - a braccio - che non arretra di un millimetro rispetto alla sua linea in cui rivendica quanto fatto dalla sua elezione dello scorso 26 novembre fino ad ieri compresi i tavoli con SI, DèP, Rifondazione e Linea Diritta, protratti per mesi. Le repliche dei "leader" delle primarie interne Roberto la Grasta, Nicola Piergiovanni ed Pietro Capurso, di non ritirare la loro candidatura, con i primi due pronti a convergere sul tavolo minerviniano. Insomma uno show sconclusionato.
Risultato? Di Gioia evita un passaggio complicato, arrivando addirittura a concretizzare le sue dimissioni, con l'ipotesi del commissariamento quale unica ancora di salvezza ad interim dell'area dem. Il tutto mentre una parte del Pd sbuffa, e l'altra acconsente e trama.
Una decisione estrema per salvare almeno l'unità del Pd. Non poteva fare altrimenti. Il partito - quel che ne rimane - gli ha voltato le spalle. Perché la bocciatura di Di Gioia non è che il frutto di uno scontro tra correnti. La logica conseguenza di un partito imploso, senza più una guida. Di Gioia se ne va. Lascia che la ruota giri. Lascia in solitudine. D'altronde nel partito lo hanno spesso accusato proprio di questo. «Il segretario va avanti da solo», non coinvolge nessuno. Un distacco anche fisico tra il leader e il suo partito. Ora Di Gioia si dimette. Lascia dopo essere stato accusato - dentro e fuori il Pd - di aver anteposto le sue ambizioni alle necessità del Partito stesso. Gli hanno rimproverato di essere testardo e ostinato mandando il partito, a schiantarsi in un nulla di fatto. Missione compiuta. Dimissioni.
Nel mezzo, il solito canovaccio da commedia dell'arte, rappresentazione simbolica dei vecchi riti della vecchia politica, a uso e consumo di chi vuole avere almeno l'illusione di far parte di un partito che discute. L'intervento del segretario - a braccio - che non arretra di un millimetro rispetto alla sua linea in cui rivendica quanto fatto dalla sua elezione dello scorso 26 novembre fino ad ieri compresi i tavoli con SI, DèP, Rifondazione e Linea Diritta, protratti per mesi. Le repliche dei "leader" delle primarie interne Roberto la Grasta, Nicola Piergiovanni ed Pietro Capurso, di non ritirare la loro candidatura, con i primi due pronti a convergere sul tavolo minerviniano. Insomma uno show sconclusionato.
Risultato? Di Gioia evita un passaggio complicato, arrivando addirittura a concretizzare le sue dimissioni, con l'ipotesi del commissariamento quale unica ancora di salvezza ad interim dell'area dem. Il tutto mentre una parte del Pd sbuffa, e l'altra acconsente e trama.
Una decisione estrema per salvare almeno l'unità del Pd. Non poteva fare altrimenti. Il partito - quel che ne rimane - gli ha voltato le spalle. Perché la bocciatura di Di Gioia non è che il frutto di uno scontro tra correnti. La logica conseguenza di un partito imploso, senza più una guida. Di Gioia se ne va. Lascia che la ruota giri. Lascia in solitudine. D'altronde nel partito lo hanno spesso accusato proprio di questo. «Il segretario va avanti da solo», non coinvolge nessuno. Un distacco anche fisico tra il leader e il suo partito. Ora Di Gioia si dimette. Lascia dopo essere stato accusato - dentro e fuori il Pd - di aver anteposto le sue ambizioni alle necessità del Partito stesso. Gli hanno rimproverato di essere testardo e ostinato mandando il partito, a schiantarsi in un nulla di fatto. Missione compiuta. Dimissioni.