Cronaca
Ancora tartarughe spiaggiate sul litorale di Molfetta
Due gli esemplari rinvenuti nei giorni scorsi: entrambi erano in avanzato stato di decomposizione
Molfetta - lunedì 9 marzo 2020
C'è la mano dell'uomo dietro le ultime due carcasse di tartarughe marine della specie caretta caretta - la specie è diffusa in molti mari del mondo, ma fortemente minacciata ed ormai al limite dell'estinzione nelle acque territoriali italiane - che il mar Adriatico ha restituito negli ultimi giorni.
Le ultime due sono state rinvenute negli ultimi due giorni fa a Molfetta: la prima, del peso di 35 chilogrammi e con una lunghezza del carapace di 70 centimetri, ormai in avanzato stato di decomposizione, è stata recuperata in località Terza Cala, mentre la seconda, del peso di oltre 50 chilogrammi e con una lunghezza del carapace di 80 centimetri, anch'essa in avanzato stato di decomposizione, è stata rinvenuta nel nuovo porto commerciale di Molfetta.
Immediatamente è stato attivato il consueto protocollo per il recupero delle due carcasse, che ha visto coinvolti i militari della Capitaneria di Porto di Molfetta, gli uomini della Polizia Locale e i veterinari dell'Azienda Sanitaria Locale di Bari, i quali, con il valido supporto dei volontari del centro di recupero tartarughe marine di Molfetta, un vero e proprio ospedale, effettueranno le dovute analisi cliniche per risalire alle cause dei due decessi. Tuttavia, nonostante risulti difficile individuare il concatenamento di patologie che hanno portato alla morte, ad ipotizzare la "causa antropica" dietro gli ultimi due decessi è Pasquale Salvemini, del WWF Puglia. «Lo pensiamo perché entrambe le tartarughe marine presentavano un importante ed evidente prolasso cloacale», ovvero la fuoriuscita di un organo attraverso l'apertura della cloaca, posta sulla parte inferiore della coda dell'animale.
Si tratta di esemplari che col moto ondoso, hanno avuto difficoltà di sopravvivenza e non sono riusciti a risalire dai fondali per via delle lesioni traumatiche subite in precedenza. L'esempio più comune è il contatto con le eliche degli scafi, ma ci sono problemi collegate anche alla pesca intensiva: le reti a strascico e le lenze dei palangari sono strumenti di morte, ma una presenza ancor più letale è l'ingestione accidentale di sostanze plastiche.
Le carcasse sono frutto di una pulizia naturale del mare Adriatico. Quando gli operatori della pesca trovano tartarughe marine impigliate nelle reti o già morte per asfissia da annegamento, le rigettano in mare e le correnti poi le spingono sino a spiaggiarle.
Le ultime due sono state rinvenute negli ultimi due giorni fa a Molfetta: la prima, del peso di 35 chilogrammi e con una lunghezza del carapace di 70 centimetri, ormai in avanzato stato di decomposizione, è stata recuperata in località Terza Cala, mentre la seconda, del peso di oltre 50 chilogrammi e con una lunghezza del carapace di 80 centimetri, anch'essa in avanzato stato di decomposizione, è stata rinvenuta nel nuovo porto commerciale di Molfetta.
Immediatamente è stato attivato il consueto protocollo per il recupero delle due carcasse, che ha visto coinvolti i militari della Capitaneria di Porto di Molfetta, gli uomini della Polizia Locale e i veterinari dell'Azienda Sanitaria Locale di Bari, i quali, con il valido supporto dei volontari del centro di recupero tartarughe marine di Molfetta, un vero e proprio ospedale, effettueranno le dovute analisi cliniche per risalire alle cause dei due decessi. Tuttavia, nonostante risulti difficile individuare il concatenamento di patologie che hanno portato alla morte, ad ipotizzare la "causa antropica" dietro gli ultimi due decessi è Pasquale Salvemini, del WWF Puglia. «Lo pensiamo perché entrambe le tartarughe marine presentavano un importante ed evidente prolasso cloacale», ovvero la fuoriuscita di un organo attraverso l'apertura della cloaca, posta sulla parte inferiore della coda dell'animale.
Si tratta di esemplari che col moto ondoso, hanno avuto difficoltà di sopravvivenza e non sono riusciti a risalire dai fondali per via delle lesioni traumatiche subite in precedenza. L'esempio più comune è il contatto con le eliche degli scafi, ma ci sono problemi collegate anche alla pesca intensiva: le reti a strascico e le lenze dei palangari sono strumenti di morte, ma una presenza ancor più letale è l'ingestione accidentale di sostanze plastiche.
Le carcasse sono frutto di una pulizia naturale del mare Adriatico. Quando gli operatori della pesca trovano tartarughe marine impigliate nelle reti o già morte per asfissia da annegamento, le rigettano in mare e le correnti poi le spingono sino a spiaggiarle.