Cronaca
22 auto in fiamme in 9 mesi. Perché bruciano le auto a Molfetta?
Un interrogativo senza risposta, mentre è pronto un vertice sulla sicurezza. Preoccupa la mentalità diffusa del dispetto
Molfetta - domenica 27 settembre 2020
2.28
22 auto in fiamme dall'inizio del 2020, 3 solo nell'ultimo episodio con un rogo che ha tenuto col fiato sospeso i residenti di via Zuppetta, colti di soprassalto dai botti degli pneumatici, dall'odore acre insopportabile e poi in apprensione per le fiamme che hanno lambito un palazzo.
Da oltre un decennio, ormai, è un fenomeno: a Molfetta, con il buio, in cui la gran parte della gente è avvolta dalle braccia di Morfeo, le auto bruciano. Marciano i Vigili del Fuoco del locale Distaccamento dovuti intervenire già 14 volte dall'inizio dell'anno. E in tutto il 2019, sono state ben 34 le auto bruciate. Il record, in ogni modo, è del 2012, quando 44 auto sono state date alle fiamme. Dal 2010, nella sola Molfetta, sono state incendiate più di 320 autovetture.
Di natura dolosa - prodotta attraverso l'uso di acceleranti di fiamma -, colposa/accidentale oppure imprecisata le cause censite per i roghi, un'attività difficile per la natura distruttiva dell'incendio e la struttura dell'oggetto d'investigazione. Le indagini hanno permesso di risalire all'area d'origine e, in alcuni casi, a poter discriminare tra i vari eventi attraverso la linea d'avanzamento dell'incendio (verticale per i casi dolosi, obliqua per quelli colposi/accidentali).
Si tratta di una netta linea di separazione tra la zona della carrozzeria danneggiata dal fuoco e quella non coinvolta dallo stesso, nella maggior parte dei casi innescato da una tavoletta di Diavolina, il combustibile usato per i barbecue, lasciata bruciare vicino agli pneumatici anteriori. Oppure una spruzzata di alcool (o di un qualsiasi altro liquido infiammabile, ndr) nel vano motore per simulare l'ipotesi colposa/accidentale (si legge cortocircuito, ndr).
In entrambi i casi (nel caso della Diavolina soprattutto) ci vuole tempo per arrivare al rogo. Il fuoco impiega una manciata di minuti per appiccarsi permettendo all'autore di scappare. La Diavolina, intanto, brucia e non lascia tracce: solo in uno degli ultimi casi - il 2 luglio scorso, nell'incendio avvenuto in via via Canonico de Beatis - è stata ritrovata una bottiglia intrisa di benzina. E da quell'indizio, che ha confermato il dolo, si cerca di trovare nuove indicazioni.
Ma perché le auto vanno a fuoco? Spesso accade anche che le auto vengano incendiate perché rubate, oppure, come raccontano gli investigatori, «per piccole vendette, preoccupa la mentalità diffusa del dispetto. Piccole beghe tra privati finiscono con lo sfociare in queste ritorsioni». Si bruciano le auto per torti veri o presunti, per questioni condominiali, per liti di quartiere, qualificate come futili motivi, ma anche e soprattutto per motivi di natura privata.
Ed ancora: liti in famiglia, un amore non corrisposto, la vendetta per vicende sentimentali, la fine di una relazione e in questo caso le azioni possono sfociare nel reato di stalking. Le auto bruciano pure per soldi mancati, per uno sgarro subìto, per una ritorsione. Ma anche per dare un segnale dopo un'estorsione andata a vuoto. E ci si ritrova con l'auto in fiamme, colpevoli solo di aver parcheggiato accanto a quella sbagliata, diventata obiettivo di un rogo.
E non manca nemmeno chi si brucia l'auto per intascare i soldi dell'assicurazione: esiste una norma secondo cui in caso di incendio del veicolo le imprese sono tenute a risarcire il danno senza chiedere all'assicurato il cosiddetto "certificato di chiusa inchiesta" - che concorreva in modo rilevante ad allungare i tempi di attesa per ottenere il risarcimento del danno -, ovvero quel documento attestante l'archiviazione di un procedimento penale contro ignoti.
Le ultime auto bruciate sono del 24 settembre, prima delle ore 23.00: a bruciare per prima una Fiat Grande Punto, poi una Fiat Punto, infine una Lancia Musa. In via Zuppetta il nero della fuliggine sulla facciata di una palazzina è visibile. Il fenomeno, che ha raggiunto dimensioni allarmanti tanto da essere menzionato nella relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, sarà al centro di un imminente vertice fra Palazzo di Città e le forze dell'ordine.
I cittadini, intanto - in tempi difficili in cui ricomprare un'auto è un sacrificio di non poco conto -, sono in allarme, mentre in città, nel silenzio della politica e della società civile, l'unico e solo a chiedere un intervento rapido è Matteo d'Ingeo, coordinatore del Liberatorio Politico: «È il momento di dire basta. Se sindaco, forze dell'ordine e magistratura continueranno a tacere, chiederemo la convocazione di un consiglio comunale monotematico sulla sicurezza».
In realtà il fenomeno, che non viene trascurato dai Carabinieri della locale Compagnia (arrestare i colpevoli non è facile) e che a Terlizzi (dove sono avvenuti 3 roghi in 8 giorni, per un totale di 5 autovetture, nda) è stato portato all'attenzione del prefetto Antonia Bellomo nell'ultimo comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, è in cima alla lista dei pensieri di Tommaso Minervini: «È da due anni, ormai, che stiamo dietro a questa storia», afferma.
«Credo che i Carabinieri siano a buon punto e vicini a capire tutto - conclude speranzoso -, mentre noi, come amministrazione comunale, abbiamo nominato un legale che sta seguendo questa storia». In attesa del prossimo capitolo. Mentre i molfettesi chiedono interventi concreti, non solo parole.
Da oltre un decennio, ormai, è un fenomeno: a Molfetta, con il buio, in cui la gran parte della gente è avvolta dalle braccia di Morfeo, le auto bruciano. Marciano i Vigili del Fuoco del locale Distaccamento dovuti intervenire già 14 volte dall'inizio dell'anno. E in tutto il 2019, sono state ben 34 le auto bruciate. Il record, in ogni modo, è del 2012, quando 44 auto sono state date alle fiamme. Dal 2010, nella sola Molfetta, sono state incendiate più di 320 autovetture.
Di natura dolosa - prodotta attraverso l'uso di acceleranti di fiamma -, colposa/accidentale oppure imprecisata le cause censite per i roghi, un'attività difficile per la natura distruttiva dell'incendio e la struttura dell'oggetto d'investigazione. Le indagini hanno permesso di risalire all'area d'origine e, in alcuni casi, a poter discriminare tra i vari eventi attraverso la linea d'avanzamento dell'incendio (verticale per i casi dolosi, obliqua per quelli colposi/accidentali).
Si tratta di una netta linea di separazione tra la zona della carrozzeria danneggiata dal fuoco e quella non coinvolta dallo stesso, nella maggior parte dei casi innescato da una tavoletta di Diavolina, il combustibile usato per i barbecue, lasciata bruciare vicino agli pneumatici anteriori. Oppure una spruzzata di alcool (o di un qualsiasi altro liquido infiammabile, ndr) nel vano motore per simulare l'ipotesi colposa/accidentale (si legge cortocircuito, ndr).
In entrambi i casi (nel caso della Diavolina soprattutto) ci vuole tempo per arrivare al rogo. Il fuoco impiega una manciata di minuti per appiccarsi permettendo all'autore di scappare. La Diavolina, intanto, brucia e non lascia tracce: solo in uno degli ultimi casi - il 2 luglio scorso, nell'incendio avvenuto in via via Canonico de Beatis - è stata ritrovata una bottiglia intrisa di benzina. E da quell'indizio, che ha confermato il dolo, si cerca di trovare nuove indicazioni.
Ma perché le auto vanno a fuoco? Spesso accade anche che le auto vengano incendiate perché rubate, oppure, come raccontano gli investigatori, «per piccole vendette, preoccupa la mentalità diffusa del dispetto. Piccole beghe tra privati finiscono con lo sfociare in queste ritorsioni». Si bruciano le auto per torti veri o presunti, per questioni condominiali, per liti di quartiere, qualificate come futili motivi, ma anche e soprattutto per motivi di natura privata.
Ed ancora: liti in famiglia, un amore non corrisposto, la vendetta per vicende sentimentali, la fine di una relazione e in questo caso le azioni possono sfociare nel reato di stalking. Le auto bruciano pure per soldi mancati, per uno sgarro subìto, per una ritorsione. Ma anche per dare un segnale dopo un'estorsione andata a vuoto. E ci si ritrova con l'auto in fiamme, colpevoli solo di aver parcheggiato accanto a quella sbagliata, diventata obiettivo di un rogo.
E non manca nemmeno chi si brucia l'auto per intascare i soldi dell'assicurazione: esiste una norma secondo cui in caso di incendio del veicolo le imprese sono tenute a risarcire il danno senza chiedere all'assicurato il cosiddetto "certificato di chiusa inchiesta" - che concorreva in modo rilevante ad allungare i tempi di attesa per ottenere il risarcimento del danno -, ovvero quel documento attestante l'archiviazione di un procedimento penale contro ignoti.
Le ultime auto bruciate sono del 24 settembre, prima delle ore 23.00: a bruciare per prima una Fiat Grande Punto, poi una Fiat Punto, infine una Lancia Musa. In via Zuppetta il nero della fuliggine sulla facciata di una palazzina è visibile. Il fenomeno, che ha raggiunto dimensioni allarmanti tanto da essere menzionato nella relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, sarà al centro di un imminente vertice fra Palazzo di Città e le forze dell'ordine.
I cittadini, intanto - in tempi difficili in cui ricomprare un'auto è un sacrificio di non poco conto -, sono in allarme, mentre in città, nel silenzio della politica e della società civile, l'unico e solo a chiedere un intervento rapido è Matteo d'Ingeo, coordinatore del Liberatorio Politico: «È il momento di dire basta. Se sindaco, forze dell'ordine e magistratura continueranno a tacere, chiederemo la convocazione di un consiglio comunale monotematico sulla sicurezza».
In realtà il fenomeno, che non viene trascurato dai Carabinieri della locale Compagnia (arrestare i colpevoli non è facile) e che a Terlizzi (dove sono avvenuti 3 roghi in 8 giorni, per un totale di 5 autovetture, nda) è stato portato all'attenzione del prefetto Antonia Bellomo nell'ultimo comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, è in cima alla lista dei pensieri di Tommaso Minervini: «È da due anni, ormai, che stiamo dietro a questa storia», afferma.
«Credo che i Carabinieri siano a buon punto e vicini a capire tutto - conclude speranzoso -, mentre noi, come amministrazione comunale, abbiamo nominato un legale che sta seguendo questa storia». In attesa del prossimo capitolo. Mentre i molfettesi chiedono interventi concreti, non solo parole.