Le campagne di Molfetta sempre colme di rifiuti
Il lungo sfogo di un cittadino
domenica 23 agosto 2020
iReport
Riceviamo e pubblichiamo il lungo seguente sfogo di un cittadino, a proposito dell'abbandono dei rifiuti nell'agro di Molfetta.
"Un colpo d'occhio eccezionale. Con i loro colori sgargianti azzurro-rosa-bianco costellano le stradine di campagna, fioriscono dovunque, quasi accolte dalla terra madre nella loro recalcitrante bellezza. Oppure emergono come torri o trincee ed occhieggiano l'incauto passante lanciando misteriosi messaggi come solo l'arte contemporanea più audace sa fare.
Sono le installazioni oramai tipiche del nostro territorio, più tipiche degli antichi pagliai, trulli, casette di campagna che una volta costellavano le nostre campagne.
Ce ne sono anche molte realizzate sulle complanari, in particolare sulle piazzole di sosta della 16 bis, che sono visibili ai turisti di passaggio cosicché tutti possano goderne, semplicemente passandoci vicino.
Sono un marchio, oramai, insieme agli ulivi (quelli che la xylella non ha divorato), al sole, alle pietre. Sono i rifiuti abbandonati ovunque, o come solitari sacchetti parzialmente sbranati dai cani, o come raggruppamenti casuali, più o meno consistenti, lasciati alla libera decomposizione.
La natura è matrigna. Il messaggio leopardiano è stato inteso evidentemente alla lettera dagli abitanti del posto perché quale peggior nemesi per madre terra che incomprensibilmente questo si è meritata dai suoi figli. Chissà dove nel tempo si è spezzato il legame che induceva rispetto per chi ti nutre, chi ti accoglie, chi ti ospita. Chissà dove nel tempo qui da noi abbiamo iniziato ad odiare la terra, l'ulivo, il muretto a secco, il filare. Poi c'è la nevrosi di caricare in auto i rifiuti, percorrere più strada di quanta se ne farebbe per recarsi all'isola ecologica e scaricarli con soddisfazione nell'agro appena fuori città. Chissà se ha già un nome questa patologia mentale.
Fuor di metafora, di installazioni vere in Italia ce ne sono, in luoghi dove la terra è amata, corteggiata, rispettata, tanto da divenire scenografia di vere espressioni artistiche.
Si spera che la legge dei cicli, dei corsi e ricorsi storici come dir si voglia, porterà i nostri frequentatori delle campagne a provare schifo e vergogna nell'attimo in cui si accingono a vomitare sul territorio ogni loro rifiuto, perché sperare nella sistematica repressione di tali atti è cosa vana, non si può in regime di normalità arginare una devastazione così sistematica. Ci vorrebbe l'esercito ad ogni contrada per scoraggiare lo scempio. Le Amministrazioni periodicamente puliscono, ne sono testimone e sentitamente ringrazio. Ma il giorno dopo si ricomincia.
Qualche residente si è organizzato con cartelli che scoraggiano l'abbandono di rifiuti, che minacciano denunce, che avvertono della presenza di telecamere. Ma non basta. E di certo la cura del territorio non può essere affidata solo ai cittadini sani e virtuosi. Potremmo scomodare tutta la storiografia post ottocentesca per tentare di spiegare la disaffezione del popolo meridionale per il suo territorio. Di certo alcune delle ragioni risiedono nello sfruttamento delle masse contadine, nella gestione postunitaria, addirittura nella storia medievale, se si vuole proprio scavare.
Ma sarebbe ora di guardare avanti, anzi intorno a noi, sarebbe ora di non tollerare più. Non è solo una questione di immagine di fronte a chi visita le nostre zone. E' qualcosa di più. E' l'amore per se stessi, è la riscoperta della propria identità".
"Un colpo d'occhio eccezionale. Con i loro colori sgargianti azzurro-rosa-bianco costellano le stradine di campagna, fioriscono dovunque, quasi accolte dalla terra madre nella loro recalcitrante bellezza. Oppure emergono come torri o trincee ed occhieggiano l'incauto passante lanciando misteriosi messaggi come solo l'arte contemporanea più audace sa fare.
Sono le installazioni oramai tipiche del nostro territorio, più tipiche degli antichi pagliai, trulli, casette di campagna che una volta costellavano le nostre campagne.
Ce ne sono anche molte realizzate sulle complanari, in particolare sulle piazzole di sosta della 16 bis, che sono visibili ai turisti di passaggio cosicché tutti possano goderne, semplicemente passandoci vicino.
Sono un marchio, oramai, insieme agli ulivi (quelli che la xylella non ha divorato), al sole, alle pietre. Sono i rifiuti abbandonati ovunque, o come solitari sacchetti parzialmente sbranati dai cani, o come raggruppamenti casuali, più o meno consistenti, lasciati alla libera decomposizione.
La natura è matrigna. Il messaggio leopardiano è stato inteso evidentemente alla lettera dagli abitanti del posto perché quale peggior nemesi per madre terra che incomprensibilmente questo si è meritata dai suoi figli. Chissà dove nel tempo si è spezzato il legame che induceva rispetto per chi ti nutre, chi ti accoglie, chi ti ospita. Chissà dove nel tempo qui da noi abbiamo iniziato ad odiare la terra, l'ulivo, il muretto a secco, il filare. Poi c'è la nevrosi di caricare in auto i rifiuti, percorrere più strada di quanta se ne farebbe per recarsi all'isola ecologica e scaricarli con soddisfazione nell'agro appena fuori città. Chissà se ha già un nome questa patologia mentale.
Fuor di metafora, di installazioni vere in Italia ce ne sono, in luoghi dove la terra è amata, corteggiata, rispettata, tanto da divenire scenografia di vere espressioni artistiche.
Si spera che la legge dei cicli, dei corsi e ricorsi storici come dir si voglia, porterà i nostri frequentatori delle campagne a provare schifo e vergogna nell'attimo in cui si accingono a vomitare sul territorio ogni loro rifiuto, perché sperare nella sistematica repressione di tali atti è cosa vana, non si può in regime di normalità arginare una devastazione così sistematica. Ci vorrebbe l'esercito ad ogni contrada per scoraggiare lo scempio. Le Amministrazioni periodicamente puliscono, ne sono testimone e sentitamente ringrazio. Ma il giorno dopo si ricomincia.
Qualche residente si è organizzato con cartelli che scoraggiano l'abbandono di rifiuti, che minacciano denunce, che avvertono della presenza di telecamere. Ma non basta. E di certo la cura del territorio non può essere affidata solo ai cittadini sani e virtuosi. Potremmo scomodare tutta la storiografia post ottocentesca per tentare di spiegare la disaffezione del popolo meridionale per il suo territorio. Di certo alcune delle ragioni risiedono nello sfruttamento delle masse contadine, nella gestione postunitaria, addirittura nella storia medievale, se si vuole proprio scavare.
Ma sarebbe ora di guardare avanti, anzi intorno a noi, sarebbe ora di non tollerare più. Non è solo una questione di immagine di fronte a chi visita le nostre zone. E' qualcosa di più. E' l'amore per se stessi, è la riscoperta della propria identità".