Borgorosso, sei davvero grande? A Patruno il compito di curare i malanni
La sconfitta contro la Nuova Andria non dove mandare all'aria il lavoro fatto dal tecnico
lunedì 26 settembre 2016
13.14
Bisogna ammetterlo: non avrà l'appeal di una grande, non ha storia o grande tradizione, per lo più solletica il rammarico dei tifosi di altre nobili decadute che vorrebbero tanto essere lì al suo posto. Ma il Borgorosso Molfetta è una splendida realtà. La sconfitta contro la Nuova Andria non deve mandare all'aria il lavoro fatto da Michele Partuno. I biancorossi hanno il dovere di restare con i piedi per terra dopo l'amaro esordio stagionale, in attesa di muovere la casella punti in classifica. C'è da dire, però, che l'impronta del tecnico sta dando i suoi frutti. Patruno non è un allenatore che parla tanto e può piacere e non piacere.
Qualcuno si starà già chiedendo se il Borgorosso è da considerarsi una grande. Sconfitta a parte, il Borgorosso invece grande lo è già, e non da oggi. I successi della squadra allenata dall'ottimo Patruno sono certamente figli del lavoro dirigenziale di Felice la Padula e Gianni de Ceglia ma – soprattutto – della programmazione lucida e pragmatica che dalle categorie inferiori ha portato la squadra in Prima Categoria. Una programmazione che alcune big avrebbero fatto bene a copiare pari pari in questi anni, per evitare le figuracce che sappiamo. Perché si tratta della ricetta giusta, senza eccessi. Una ricetta che permette al club biancorosso di vantare inoltre una peculiarità invidiabile: è una squadra quasi interamente molfetetse salvo alcune eccezioni.
La "molfettesità" è una scelta ispirata e logica, anche se meno semplice da percorrere. Ma porta risultati. La squadra vista in azione nelle ultime due stagioni lo dimostra: organizzata, compatta, dinamica. Una piccola Molfetta. Solida e unita. Certo, ci sono i meriti di un allenatore abile come Patruno ma non solo. Spiccano le scelte del club che proprio su Patruno ha creduto, insistito e programmato. Il Borgorosso sa e può resistere. Murolo, Grieco, Castagno con i pro e contro, sono rimasti qui, vogliono emergere da qui. La loro crescita procede a modo loro, dalla Terza Categoria alla Prima. Non c'è fretta al Borgorosso, dove intanto trovano spazio nuovi talenti come l'imprevedibile Lacavalla, oppure come Messina, terzino esperto ma di grandi prospettive, soffiato alle grinfie di una qualificata e numerosa concorrenza.
Il Borgorosso ragiona e agisce da grande. Ed è per questo che una sconfitta all'esordio stagionale, va gestito con intelligenza, mai con sudditanza. Per i piani alti della classifica c'è tempo. L'obiettivo di disputare almeno i play off alla fine di questa stagione significherebbe il definitivo ingresso nell'olimpo del nostro calcio. Alla pari con le altre big. Ammesso che l'upgrade non sia già effettivo. Che cosa ha il Borgorosso meno delle altre grandi del torneo?
Ha in più, come detto, un carattere molfettese condiviso. Che non è male. Ha un gioco, risorse tattiche e tecniche. Ha una società forte e uno stadio che è "quasi" una seconda casa. Ha giocatori d'esperienza (Uva) e i giovani già citati che promettono meraviglie. Ha un portiere di qualità (Castagno), un difensore centrale solido (La Forgia), un centrocampista di sostanza (Abbinante). Insomma ha la struttura giusta per il nostro campionato. La cruda verità? Non ha molto da invidiare alle concorrenti...
Qualcuno si starà già chiedendo se il Borgorosso è da considerarsi una grande. Sconfitta a parte, il Borgorosso invece grande lo è già, e non da oggi. I successi della squadra allenata dall'ottimo Patruno sono certamente figli del lavoro dirigenziale di Felice la Padula e Gianni de Ceglia ma – soprattutto – della programmazione lucida e pragmatica che dalle categorie inferiori ha portato la squadra in Prima Categoria. Una programmazione che alcune big avrebbero fatto bene a copiare pari pari in questi anni, per evitare le figuracce che sappiamo. Perché si tratta della ricetta giusta, senza eccessi. Una ricetta che permette al club biancorosso di vantare inoltre una peculiarità invidiabile: è una squadra quasi interamente molfetetse salvo alcune eccezioni.
La "molfettesità" è una scelta ispirata e logica, anche se meno semplice da percorrere. Ma porta risultati. La squadra vista in azione nelle ultime due stagioni lo dimostra: organizzata, compatta, dinamica. Una piccola Molfetta. Solida e unita. Certo, ci sono i meriti di un allenatore abile come Patruno ma non solo. Spiccano le scelte del club che proprio su Patruno ha creduto, insistito e programmato. Il Borgorosso sa e può resistere. Murolo, Grieco, Castagno con i pro e contro, sono rimasti qui, vogliono emergere da qui. La loro crescita procede a modo loro, dalla Terza Categoria alla Prima. Non c'è fretta al Borgorosso, dove intanto trovano spazio nuovi talenti come l'imprevedibile Lacavalla, oppure come Messina, terzino esperto ma di grandi prospettive, soffiato alle grinfie di una qualificata e numerosa concorrenza.
Il Borgorosso ragiona e agisce da grande. Ed è per questo che una sconfitta all'esordio stagionale, va gestito con intelligenza, mai con sudditanza. Per i piani alti della classifica c'è tempo. L'obiettivo di disputare almeno i play off alla fine di questa stagione significherebbe il definitivo ingresso nell'olimpo del nostro calcio. Alla pari con le altre big. Ammesso che l'upgrade non sia già effettivo. Che cosa ha il Borgorosso meno delle altre grandi del torneo?
Ha in più, come detto, un carattere molfettese condiviso. Che non è male. Ha un gioco, risorse tattiche e tecniche. Ha una società forte e uno stadio che è "quasi" una seconda casa. Ha giocatori d'esperienza (Uva) e i giovani già citati che promettono meraviglie. Ha un portiere di qualità (Castagno), un difensore centrale solido (La Forgia), un centrocampista di sostanza (Abbinante). Insomma ha la struttura giusta per il nostro campionato. La cruda verità? Non ha molto da invidiare alle concorrenti...