Storia di Balla Danfa, tra l'immigrazione e l'integrazione su un peschereccio a Molfetta
Dal Senegal a Molfetta dove lavora sul "Giovanni Paolo II"
mercoledì 25 luglio 2018
Sono mesi di riflessione quelli che stiamo vivendo, soprattutto dopo l'insediamento del nuovo Governo e della presa di posizione di Matteo Salvini, titolare del Ministero dell'Interno, sulla questione immigrazione e sulla chiusura dei porti italiani alle navi delle ONG. Il dibattito è vivo anche a Molfetta, nell'anno in cui corre il 25° anniversario dalla morte di Don Tonino Bello, fra i primi ad aprire le porte dell'accoglienza. Nonostante le ovvie divergenze di pensiero, possiamo con molta serenità affermare che a Molfetta l'accoglienza non è mai stato un problema e l'ormai celebre ostello dell'accoglienza, concepito durante l'Amministrazione Natalicchio, messo su durante la tre giorni della Festa Patronale, rappresenta soltanto un esempio.
E' proprio quando gli esempi si trasformano in storie di vita, che, quelle riflessioni a cui alludevamo assumono un significato diverso.
La storia di Balla Danfa può essere letta in questo senso.
Senegalese, classe 1959, è a Molfetta da oltre 12 anni durante i quali non soltanto è riuscito ad integrarsi nel tessuto sociale locale, ma con la sua esperienza di uomo di mare è da anni perno della manovalanza sui pescherecci molfettesi.
E' un caldo venerdì pomeriggio quando suoniamo al suo appartamento, a ridosso del centro cittadino.
Cuffie nelle orecchie, ascolta musica, godendosi il meritato riposo di un week end qualunque, tanto atteso dopo una settimana intensa di lavoro.
Ebbene, il lavoro di Balla è quello dei nostri padri, dei nostri nonni, insomma dei molfettesi.
E' il duro lavoro sui pescherecci che tanta ricchezza ha portato a Molfetta, ma che oggi in molti scansano. Nonostante non sia più giovanissimo, Balla riesce ancora ad esibire un fisico quasi statuario, apparentemente per nulla sfiorato dalle fatiche quotidiane, che al contrario si notano da quelle mani rugose che stringiamo con affetto e che ricordano come il lavoro nobiliti l'uomo.
A parlare sono soprattutto i suoi occhi, quelli di uomo fiero, sicuro e felice per avercela fatta e per aver costruito intorno a se anche quello della sua famiglia.
«Sono qui a Molfetta da oltre dodici anni – ci conferma – e come tanti ho voluto fortemente l'Italia per cercare di costruire un futuro migliore da quello prospettato in Senegal e soprattutto per poterlo offrire alla mia famiglia».
Balla ha portato a Molfetta sua moglie e uno dei suoi figli, mentre invece nel suo paese ha lasciato un'altra figlia, non disponibile, a suo dire, a trasferirsi in Italia.
«In Senegal facevo il pescatore – prosegue nel suo racconto – e dunque per me non è stato difficile adattarmi al lavoro suoi pescherecci qui a Molfetta, imparando tuttavia moltissimo da questa esperienza in Italia. Oggi lavoro a bordo del "Giovanni Paolo II", ma negli anni passati ho prestato servizio anche su altri pescherecci di questa città».
Per un uomo che arriva dal mare, il mare diventa tutto, fonte di vita e di sopravvivenza.
«E' vero – annuisce – al mare devo la mia vita, così come la devono amici e parenti che con me sono giunti in questa terra magnifica, che mai mi ha fatto mancare la sua accoglienza e disponibilità».
«Siamo giunti a Molfetta con le nostre storie – prosegue Balla – un po' tutte simili tra loro, ma con una grandissima voglia di lavorare per soddisfare quello che la vita quotidianamente ci chiede e per dire grazie, a modo nostro, a questa terra che ci ha accolto. Ricordo che poco dopo il nostro arrivo a Molfetta in Assopesca cercavano uomini pronti a salpare a bordo dei pescherecci. Era il mio lavoro, quello che in Senegal da anni ho imparato a fare».
Qualcuno potrà pensare: che fortuna! Tutti a Molfetta sanno che il lavoro sui pescherecci non è fortuna, ma è frutto di sacrificio, esperienza e dedizione. Lo sanno i nostri padri e le nostre madri, che spesso hanno perso i propri mariti "in mezzo al mare", come in gergo si dice, dovendosi caricare sulle spalle il peso di una famiglia intera. Pur tuttavia il lavoro dei nostri marittimi ha fatto decollare economicamente questa città in un passato oggi così lontano.
La crisi marittima? La netta riduzioni dei natanti a Molfetta? Molteplici sono le cause di questo declino, ma la mancanza della forza lavoro ne è una delle condizioni determinati. La speranza che il settore marittimo torni allo splendore dei tempi passati è incredibilmente anche nelle mani di uomini come Balla Danfa, la cui dedizione al lavoro ricorda quello dei nostri padri, di chi ha "cavalcato" le onde, sfidato le burrasche per portare a casa quel pane in qualche modo sempre sacro. Cinquantanove anni compiuti ed un'età pensionabile che si avvicina. A questo Balla non pensa e il suo fisico lo conferma.
«La pensione? Per ora non esiste nella mia testa – ci risponde – perché le energie che ho da spendere sono ancora tante. E poi c'è la mia famiglia che ha bisogno di me per molto tempo ancora». Suo figlio studia lingue all'Università, un orgoglio che ha il sapore di una vittoria.
«Spero mi dia tante soddisfazioni – conclude – non dimenticando mai quegli insegnamenti che come padre continuo quotidianamente a tramandargli».
E' proprio quando gli esempi si trasformano in storie di vita, che, quelle riflessioni a cui alludevamo assumono un significato diverso.
La storia di Balla Danfa può essere letta in questo senso.
Senegalese, classe 1959, è a Molfetta da oltre 12 anni durante i quali non soltanto è riuscito ad integrarsi nel tessuto sociale locale, ma con la sua esperienza di uomo di mare è da anni perno della manovalanza sui pescherecci molfettesi.
E' un caldo venerdì pomeriggio quando suoniamo al suo appartamento, a ridosso del centro cittadino.
Cuffie nelle orecchie, ascolta musica, godendosi il meritato riposo di un week end qualunque, tanto atteso dopo una settimana intensa di lavoro.
Ebbene, il lavoro di Balla è quello dei nostri padri, dei nostri nonni, insomma dei molfettesi.
E' il duro lavoro sui pescherecci che tanta ricchezza ha portato a Molfetta, ma che oggi in molti scansano. Nonostante non sia più giovanissimo, Balla riesce ancora ad esibire un fisico quasi statuario, apparentemente per nulla sfiorato dalle fatiche quotidiane, che al contrario si notano da quelle mani rugose che stringiamo con affetto e che ricordano come il lavoro nobiliti l'uomo.
A parlare sono soprattutto i suoi occhi, quelli di uomo fiero, sicuro e felice per avercela fatta e per aver costruito intorno a se anche quello della sua famiglia.
«Sono qui a Molfetta da oltre dodici anni – ci conferma – e come tanti ho voluto fortemente l'Italia per cercare di costruire un futuro migliore da quello prospettato in Senegal e soprattutto per poterlo offrire alla mia famiglia».
Balla ha portato a Molfetta sua moglie e uno dei suoi figli, mentre invece nel suo paese ha lasciato un'altra figlia, non disponibile, a suo dire, a trasferirsi in Italia.
«In Senegal facevo il pescatore – prosegue nel suo racconto – e dunque per me non è stato difficile adattarmi al lavoro suoi pescherecci qui a Molfetta, imparando tuttavia moltissimo da questa esperienza in Italia. Oggi lavoro a bordo del "Giovanni Paolo II", ma negli anni passati ho prestato servizio anche su altri pescherecci di questa città».
Per un uomo che arriva dal mare, il mare diventa tutto, fonte di vita e di sopravvivenza.
«E' vero – annuisce – al mare devo la mia vita, così come la devono amici e parenti che con me sono giunti in questa terra magnifica, che mai mi ha fatto mancare la sua accoglienza e disponibilità».
«Siamo giunti a Molfetta con le nostre storie – prosegue Balla – un po' tutte simili tra loro, ma con una grandissima voglia di lavorare per soddisfare quello che la vita quotidianamente ci chiede e per dire grazie, a modo nostro, a questa terra che ci ha accolto. Ricordo che poco dopo il nostro arrivo a Molfetta in Assopesca cercavano uomini pronti a salpare a bordo dei pescherecci. Era il mio lavoro, quello che in Senegal da anni ho imparato a fare».
Qualcuno potrà pensare: che fortuna! Tutti a Molfetta sanno che il lavoro sui pescherecci non è fortuna, ma è frutto di sacrificio, esperienza e dedizione. Lo sanno i nostri padri e le nostre madri, che spesso hanno perso i propri mariti "in mezzo al mare", come in gergo si dice, dovendosi caricare sulle spalle il peso di una famiglia intera. Pur tuttavia il lavoro dei nostri marittimi ha fatto decollare economicamente questa città in un passato oggi così lontano.
La crisi marittima? La netta riduzioni dei natanti a Molfetta? Molteplici sono le cause di questo declino, ma la mancanza della forza lavoro ne è una delle condizioni determinati. La speranza che il settore marittimo torni allo splendore dei tempi passati è incredibilmente anche nelle mani di uomini come Balla Danfa, la cui dedizione al lavoro ricorda quello dei nostri padri, di chi ha "cavalcato" le onde, sfidato le burrasche per portare a casa quel pane in qualche modo sempre sacro. Cinquantanove anni compiuti ed un'età pensionabile che si avvicina. A questo Balla non pensa e il suo fisico lo conferma.
«La pensione? Per ora non esiste nella mia testa – ci risponde – perché le energie che ho da spendere sono ancora tante. E poi c'è la mia famiglia che ha bisogno di me per molto tempo ancora». Suo figlio studia lingue all'Università, un orgoglio che ha il sapore di una vittoria.
«Spero mi dia tante soddisfazioni – conclude – non dimenticando mai quegli insegnamenti che come padre continuo quotidianamente a tramandargli».