Stefano e D’Ascola, le due relazioni sul “caso Azzollini”
“Il fatto quotidiano” pubblica le carte vagliate dai senatori il 29 luglio
lunedì 3 agosto 2015
6.50
E' "Il fatto quotidiano" a pubblicare sul proprio sito web le due relazioni rese note al Senato prima del voto segreto sul "caso Azzollini". Si tratta delle due relazioni fondamentali svelatesi poi determinanti per il no agli arresti domiciliari per il senatore.
La prima relazione è quella di Dario Stefano, presidente della Giunta per le immunità che aveva proposto a Palazzo Madama di accogliere la richiesta giunta dai magistrati di Trani.
In circa dieci pagine, il parlamentare di Sel cerca di smontare la tesi di Azzollini ritenendola "inconsistente". Azzollini punterebbe il dito contro la Procura di Trani, autrice anche delle indagini sul porto di Molfetta: è qui il fumus persecutionis secondo l'ex sindaco.
"Rispetto alla presunta ostilità dell'ufficio precedente si è evidenziato che la cosiddetta indagine sul porto di Molfetta appartiene in realtà a magistrati diversi da quelli che hanno chiesto l'applicazione della misura cautelare, e parimenti diverso risulta il giudice per le indagini preliminari che ha firmato l'ordinanza cautelare", scrive Stefano che, dopo, aggiunge che "C'è di più, poiché l'argomento incontra una ulteriore e definitiva smentita, nel punto di vista espresso dal tribunale del Riesame, la cui composizione collegiale, e persino autorevole, allontana la già remota possibilità di una congiura giudiziaria viziata da fumus persecutionis che avrebbe pervaso, a questo punto, il giudizio di ben sei magistrati, gli ultimi tre, come detto, distanti anche topograficamente".
Del tutto diversa la relazione di Nico D'Ascola, quella che, alla fine dei conti, ha di fatto inciso in Aula e convinto circa sessanta democratici a schierarsi dalla parte dell'ex presidente alla Commissione bilancio.
Anche per il senatore di Ncd dieci pagine, ovviamente del tutto a favore della posizione del compagno d'area non arrestabile perché "esigenze cautelari così affievolite non possono concorrere a delineare un quadro di assoluta inderogabilità", si legge nella documentazione leggibile su "Il fatto quotidiano".
La prima relazione è quella di Dario Stefano, presidente della Giunta per le immunità che aveva proposto a Palazzo Madama di accogliere la richiesta giunta dai magistrati di Trani.
In circa dieci pagine, il parlamentare di Sel cerca di smontare la tesi di Azzollini ritenendola "inconsistente". Azzollini punterebbe il dito contro la Procura di Trani, autrice anche delle indagini sul porto di Molfetta: è qui il fumus persecutionis secondo l'ex sindaco.
"Rispetto alla presunta ostilità dell'ufficio precedente si è evidenziato che la cosiddetta indagine sul porto di Molfetta appartiene in realtà a magistrati diversi da quelli che hanno chiesto l'applicazione della misura cautelare, e parimenti diverso risulta il giudice per le indagini preliminari che ha firmato l'ordinanza cautelare", scrive Stefano che, dopo, aggiunge che "C'è di più, poiché l'argomento incontra una ulteriore e definitiva smentita, nel punto di vista espresso dal tribunale del Riesame, la cui composizione collegiale, e persino autorevole, allontana la già remota possibilità di una congiura giudiziaria viziata da fumus persecutionis che avrebbe pervaso, a questo punto, il giudizio di ben sei magistrati, gli ultimi tre, come detto, distanti anche topograficamente".
Del tutto diversa la relazione di Nico D'Ascola, quella che, alla fine dei conti, ha di fatto inciso in Aula e convinto circa sessanta democratici a schierarsi dalla parte dell'ex presidente alla Commissione bilancio.
Anche per il senatore di Ncd dieci pagine, ovviamente del tutto a favore della posizione del compagno d'area non arrestabile perché "esigenze cautelari così affievolite non possono concorrere a delineare un quadro di assoluta inderogabilità", si legge nella documentazione leggibile su "Il fatto quotidiano".