Rosa dall’Argentina e Antonio dall’Australia sempre con Molfetta nel cuore
La festa della Madonna dei Martiri momento di ritrovo per tanti molfettesi nel mondo
martedì 12 settembre 2017
Rosa e Antonio. Argentina e Australia. Due persone carismatiche, due nazioni agli antipodi, due storie diverse, due età diverse, eppure hanno una città in comune: Molfetta e il suo dialetto, quello non si dimentica mai.
Entrambi continuano ad amare Molfetta. Anche se la loro scelta di partire per un'altra nazione è dettata da "necessità" diverse. Sono storie di emigrazione, storie di chi è riuscito con caparbietà e tenacia a costruirsi una vita in una nazione sconosciuta. Storie semplici, ma che danno il senso di come la propria città di origine rimanga sempre un punto di riferimento. E in questo la ultra trentennale esperienza dell'Associazione molfettesi nel mondo ne è una forte testimonianza. I protagonisti delle nostre storie gli abbiamo incontrati entrambi al "Molfetta Day".
Rosa Altamura è una frizzante nonnina di 93 anni, che ha lasciato Molfetta nel 1951 con tre figli per seguire suo marito che era in Argentina per lavoro, e prima di lui anche il padre di nonna Rosa. Ma dopo un anno dall'arrivo in Argentina il marito è morto e lei come si dice in gergo ha dovuto rimboccarsi le maniche ed ha incominciato a lavorare in una terra sconosciuta, senza conoscere la lingua, dice di quel periodo che «è stato un trauma molto grande». Superate le prime difficoltà e il grande dolore ha incominciato a lavorare prima come sarta e poi in una fabbrica di sigarette, «dove - come lei ci ha detto con un certo orgoglio- ci sono stata per 32 anni e 15 giorni».
Poi ci ha raccontato di essersi risposata con un abruzzese e di aver avuto altri due figli, oggi è circondata non solo dall'amore dei figli, ma anche da quella dei nipoti e dei pronipoti, infatti è venuta a Molfetta con suo nipote.
Parlare con lei è stato veramente un onore, le sue rughe raccontano i segni del tempo, ma il suo sorriso è quello di una ragazzina, coinvolgente e travolgente, quando le ho chiesto di raccontarmi la sua storia, molto candidamente mi ha detto: «non ha nulla di eccezionale». E invece no, nonna Rosa, i sacrifici fatti in una terra lontana oltre Oceano e la sua voglia di tornare a Molfetta, ci permettono di comprendere che forse dobbiamo amare un pochino di più questa complicata città.
Diversa, completamente diversa, è la storia di Antonio Caputi, presidente dell'Associazione Madonna dei Martiri di Sidney, partito per l'Australia la prima volta nel 1995 per una vacanza per andare a trovare degli zii. Infatti, più che una storia di emigrazione per necessità è una scelta d'amore, sia per questa terra che per un'australiana, di origini molfettesi, che ama l'Italia.
Galeotto fu quel primo viaggio nella terra dei canguri per il quarantanovenne Antonio, che emozionato ci racconta: «sono rimasto affascinato da quella terra perché ha grandi spazi, tanta pulizia, tante opportunità di lavoro e poi è una nazione giovane e allora mi sono detto il futuro è qui. Sono tornato in Italia, dove avevo un lavoro, ma con l'Australia nel cuore».
La storia particolare di Antonio è che si è sposato a Molfetta in Cattedrale nel 1998, ha continuato a lavorare in Italia, poi nel 2000 è ritornato in Australia per il matrimonio del cognato e da allora non ha più lasciato quella terra. Ha imparato l'inglese, ha studiato per aprire un'impresa artigiana ed oggi ha una piccola azienda con due dipendenti.
Non nega che i primi anni sono stati difficili «perché ho dovuto lavorare di giorno e la sera andare a scuola per imparare l'inglese, e ancora a scuola per prendermi le varie qualifiche per poter lavorare in proprio».
E dice anche che «quando penso a Molfetta penso alla Madonna dei Martiri, ai frutti di mare crudi e al Pulo che mi rammarico sia chiuso». Quella Madonna che rimane il simbolo di una fervida devozione e di un legame profondo con la città natia, Antonio dice di aver vissuto la festa con occhi diversi, «è stato per me un grande onore partecipare al corteo con lo stendardo dell'Associazione, non vedevo la festa della Madonna da circa 25 anni».
Si parte per una terra lontana a volte per scelta, altre per necessità ma in entrambi i casi si rimane molfettesi nel cuore. L'essere molfettesi è una sorta di tatuaggio che rimane impresso a vita in qualunque parte del mondo ci si trovi. Sono queste storie, il loro amore per la terra natia che ti fa sentire "orgogliosi di essere molfettesi", al di là dei brutti fatti di cronaca.
Entrambi continuano ad amare Molfetta. Anche se la loro scelta di partire per un'altra nazione è dettata da "necessità" diverse. Sono storie di emigrazione, storie di chi è riuscito con caparbietà e tenacia a costruirsi una vita in una nazione sconosciuta. Storie semplici, ma che danno il senso di come la propria città di origine rimanga sempre un punto di riferimento. E in questo la ultra trentennale esperienza dell'Associazione molfettesi nel mondo ne è una forte testimonianza. I protagonisti delle nostre storie gli abbiamo incontrati entrambi al "Molfetta Day".
Rosa Altamura è una frizzante nonnina di 93 anni, che ha lasciato Molfetta nel 1951 con tre figli per seguire suo marito che era in Argentina per lavoro, e prima di lui anche il padre di nonna Rosa. Ma dopo un anno dall'arrivo in Argentina il marito è morto e lei come si dice in gergo ha dovuto rimboccarsi le maniche ed ha incominciato a lavorare in una terra sconosciuta, senza conoscere la lingua, dice di quel periodo che «è stato un trauma molto grande». Superate le prime difficoltà e il grande dolore ha incominciato a lavorare prima come sarta e poi in una fabbrica di sigarette, «dove - come lei ci ha detto con un certo orgoglio- ci sono stata per 32 anni e 15 giorni».
Poi ci ha raccontato di essersi risposata con un abruzzese e di aver avuto altri due figli, oggi è circondata non solo dall'amore dei figli, ma anche da quella dei nipoti e dei pronipoti, infatti è venuta a Molfetta con suo nipote.
Parlare con lei è stato veramente un onore, le sue rughe raccontano i segni del tempo, ma il suo sorriso è quello di una ragazzina, coinvolgente e travolgente, quando le ho chiesto di raccontarmi la sua storia, molto candidamente mi ha detto: «non ha nulla di eccezionale». E invece no, nonna Rosa, i sacrifici fatti in una terra lontana oltre Oceano e la sua voglia di tornare a Molfetta, ci permettono di comprendere che forse dobbiamo amare un pochino di più questa complicata città.
Diversa, completamente diversa, è la storia di Antonio Caputi, presidente dell'Associazione Madonna dei Martiri di Sidney, partito per l'Australia la prima volta nel 1995 per una vacanza per andare a trovare degli zii. Infatti, più che una storia di emigrazione per necessità è una scelta d'amore, sia per questa terra che per un'australiana, di origini molfettesi, che ama l'Italia.
Galeotto fu quel primo viaggio nella terra dei canguri per il quarantanovenne Antonio, che emozionato ci racconta: «sono rimasto affascinato da quella terra perché ha grandi spazi, tanta pulizia, tante opportunità di lavoro e poi è una nazione giovane e allora mi sono detto il futuro è qui. Sono tornato in Italia, dove avevo un lavoro, ma con l'Australia nel cuore».
La storia particolare di Antonio è che si è sposato a Molfetta in Cattedrale nel 1998, ha continuato a lavorare in Italia, poi nel 2000 è ritornato in Australia per il matrimonio del cognato e da allora non ha più lasciato quella terra. Ha imparato l'inglese, ha studiato per aprire un'impresa artigiana ed oggi ha una piccola azienda con due dipendenti.
Non nega che i primi anni sono stati difficili «perché ho dovuto lavorare di giorno e la sera andare a scuola per imparare l'inglese, e ancora a scuola per prendermi le varie qualifiche per poter lavorare in proprio».
E dice anche che «quando penso a Molfetta penso alla Madonna dei Martiri, ai frutti di mare crudi e al Pulo che mi rammarico sia chiuso». Quella Madonna che rimane il simbolo di una fervida devozione e di un legame profondo con la città natia, Antonio dice di aver vissuto la festa con occhi diversi, «è stato per me un grande onore partecipare al corteo con lo stendardo dell'Associazione, non vedevo la festa della Madonna da circa 25 anni».
Si parte per una terra lontana a volte per scelta, altre per necessità ma in entrambi i casi si rimane molfettesi nel cuore. L'essere molfettesi è una sorta di tatuaggio che rimane impresso a vita in qualunque parte del mondo ci si trovi. Sono queste storie, il loro amore per la terra natia che ti fa sentire "orgogliosi di essere molfettesi", al di là dei brutti fatti di cronaca.