Processo Amato: assolti anche Mezzina e Guido

Intanto i legali di Pino Amato si preparano a muovere un'azione risarcitoria per ingiusta detenzione

giovedì 23 ottobre 2014 15.56
Pena ridotta a 10 mesi di reclusione e al pagamento di 1.400 euro di multa per la sola accusa di voto di scambio: ipotesi che risulterà comunque prescritta fino alla pronuncia della Cassazione. La seconda sezione della Corte d'Appello riforma quasi totalmente la sentenza di primo grado nei confronti di Pino Amato.

Muta totalmente il verdetto per gli altri 2 imputati: il maresciallo dei vigili urbani Pasquale Mezzina e la legale rappresentante dell'istituto di vigilanza Securpol Giovanna Anna Guido, che il Tribunale di Trani aveva rispettivamente condannato, col beneficio della pena sospesa, a 2 mesi e 20 giorni di reclusione e ad 1 anno e 4 mesi. Entrambi sono stati assolti con formula piena. Al pari di Amato per le contestazioni da cui è stato scagionato; per un'altra accusa a suo carico il collegio barese ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela.

Con la sentenza d'appello, che la difesa di Amato saluta con grande soddisfazione e che costituisce secondo gli avvocati Giacomo Ragno e Domenico Di Terlizzi il presupposto dell'azione risarcitoria per ingiusta detenzione (i reati che portarono all'arresto di Amato sono caduti), l'ex assessore è stato condannato al pagamento delle spese di costituzione di parte civile del Comune.

L'altra parte civile, l'ex candidato sindaco Matteo D'Ingeo, sarà invece tenuto a pagare le spese del secondo grado di giudizio quale parte civile appellante della sentenza di primo grado, in gran parte riformata dai giudici baresi.

Pino Amato, eletto nel consiglio comunale del 2006 nella lista "Popolari per Molfetta" risultando il più suffragato tra tutti i candidati, in primo grado fu condannato a vario titolo dal Tribunale di Trani a 3 anni di reclusione (tuttavia la pena fu condonata per l'indulto) con interdizione di 5 anni dai pubblici uffici e sospensione per 3 anni dai diritti elettorali e da tutti i pubblici uffici. La variegata inchiesta fu imbastita dall'ex procuratore della Repubblica di Trani Giuseppe Maralfa che ipotizzò numerosi e differenti illeciti.