Pip, risarcimento da 350mila euro chiesto al Comune di Molfetta
Tutti i particolari dell’intricata vicenda sin dal 2009
martedì 24 giugno 2014
7.27
È un primo campanello d'allarme. Lo scorso 20 maggio è stato notificato al Comune di Molfetta il ricorso al TAR Puglia della società IVS srl per ottenere l'annullamento, previa sospensiva, della determinazione dirigenziale del Settore Territorio n. 31/14 e, dunque, di tutti gli atti connessi e consequenziali con cui, in sede di autotutela, è stata annullata l'assegnazione di area destinata a servizi per scopi connessi all'attività d'impresa ricadente nell'ambito del Pip in ampliamento. Inoltre, la il ricorrente ha richiesto un risarcimento danni di 358mila euro (con interessi e rivalutazione monetaria).
Infatti, la contestata dirigenziale n.31 aveva annullato non solo l'assegnazione dell'area su cui edificare e lo schema di convenzione del 2009 tra Comune e azienda (così come gli atti successivi), ma anche il certificato di destinazione urbanistica rilasciato nel luglio 2009.
L'annullamento, che ha coinvolto anche un'altra azienda (altra dirigenziale), è una vicenda amministrativa piuttosto complessa. Già nel 2011, a seguito di alcuni controlli, il Comune, che pur aveva assegnato l'area, aveva comunicato alla ditta la risoluzione della convenzione «a causa del mancato inizio dei lavori e del mancato ritiro del permesso di costruire nei termini imposti»: a sua volta, l'azienda, come si legge nella dirigenziale n.31/14, aveva puntualizzato di non essere soggetta alla risoluzione per «una "precisazione" particolare a firma del dirigente pro tempore ing. Altomare, riportata nella nota del 2009», secondo cui «sul lotto a servizi, assegnato, la ditta potrebbe non edificare ed utilizzarlo per logistica o altra attività che non comportano l'edificazione di alcun manufatto, ovvero provvedano alla realizzazione di manufatti funzionali collegati a quelli già esistenti».
La stessa ditta, però, aveva manifestato l'intenzione di alienare l'area assegnata ad altre aziende interessate, previo recupero delle somme versate dal Comune che, tornando sui suoi passi, nel settembre 2012 aveva riavviato il procedimento di revoca dell'assegnazione, accertato che «l'area erroneamente assegnata ricade in una zona destinata al Piano dei servizi e, benché il progetto presentato riguarda la realizzazione di impianti destinati a servizi, non può essere utilizzata per scopi connessi all'attività dell'impresa».
Dopo la diffida dell'azienda e l'intervento dell'Ufficio Legale del comune, a dicembre 2012 si decise di stipulare un accordo transattivo che sarebbe costato alle casse comunali 266mila euro, transazione mai conclusa per una serie di vicende burocratiche.
A questo punto, l'attuale dirigenza ha sì sottolineato che non ci fossero i presupposti per procedere alla revoca del procedimento (assenza di motivazioni di interesse pubblico), ma, allo stesso tempo, riesaminando i primi atti dirigenziali, ha evidenziato come la determina del 2008 sia stata «effettuata in assenza di qualsiasi atto fondamentale da parte degli organi di governo». Insomma, si sarebbe trattato di provvedimenti «adottati in violazione di legge, nonché viziati da eccesso di potere e da incompetenza», come riportato nella dirigenziale n.31/14, tanto più che l'assegnazione sarebbe avvenuta «senza alcun controllo concorrenziale, in difetto di un previo avviso pubblico».
Del resto, la nota del 2009 non avrebbe avuto efficacia, perché sarebbero stati necessari «l'adozione di altra determinazione modificativa della convenzione», «la sottoscrizione di apposito negozio con le stesse forme notarili» e «l'accertato mancato inizio dei lavori nel termine previsto ha determinato la decadenza della facoltà edificatoria concessa alla ditta». Peraltro, la convalida dell'assegnazione presupporrebbe anche una variante urbanistica, senza alcun interesse pubblico. Per questo motivo, sono stati annullati i provvedimenti del 2008 e del 2009, pur volendo riconoscere alla ditta 145mila euro di risarcimento danni.
Di fronte al ricorso dell'azienda, il Comune ha, perciò, nominato il suo avvocato difensore tra quelli inseriti nell'elenco degli avvocati amministrativisti su indicazione dell'organo politico con conferimento intuitu personae, mediante procedura d'urgenza per l'istanza di sospensiva del ricorso.
In particolare, la locuzione latina "intuitu personae", regolata dall'art. 2229 del Codice Civile, indica quei negoziati o affidamenti in cui si ritengono di particolare rilevanza le "qualità personali" dei soggetti contraenti. Ecco perché questo tipo di affidamento è proprio delle attività dei privati e, invece, sempre più limitato per le amministrazioni pubbliche che, nello spendere il denaro dei contribuenti, devono garantire per legge l'equità e l'imparzialità delle scelte.
È interessante considerare la sentenza del TAR Puglia n. 494/07 secondo cui il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto.
Per di più, il conferimento d'incarico professionale è realizzabile in base a esigenze effettive dell'amministrazione per periodi determinati e per attività specifiche, con scelta dell'incaricato mediante una procedura comparativa ed evitando procedure non concorsuali, quali il mero colloquio, che dovrebbero ormai intendersi lesive del principio di parità di trattamento e di imparzialità (integrerebbero una attribuzione fiduciaria dell'incarico non più ammessa).
Infatti, la contestata dirigenziale n.31 aveva annullato non solo l'assegnazione dell'area su cui edificare e lo schema di convenzione del 2009 tra Comune e azienda (così come gli atti successivi), ma anche il certificato di destinazione urbanistica rilasciato nel luglio 2009.
L'annullamento, che ha coinvolto anche un'altra azienda (altra dirigenziale), è una vicenda amministrativa piuttosto complessa. Già nel 2011, a seguito di alcuni controlli, il Comune, che pur aveva assegnato l'area, aveva comunicato alla ditta la risoluzione della convenzione «a causa del mancato inizio dei lavori e del mancato ritiro del permesso di costruire nei termini imposti»: a sua volta, l'azienda, come si legge nella dirigenziale n.31/14, aveva puntualizzato di non essere soggetta alla risoluzione per «una "precisazione" particolare a firma del dirigente pro tempore ing. Altomare, riportata nella nota del 2009», secondo cui «sul lotto a servizi, assegnato, la ditta potrebbe non edificare ed utilizzarlo per logistica o altra attività che non comportano l'edificazione di alcun manufatto, ovvero provvedano alla realizzazione di manufatti funzionali collegati a quelli già esistenti».
La stessa ditta, però, aveva manifestato l'intenzione di alienare l'area assegnata ad altre aziende interessate, previo recupero delle somme versate dal Comune che, tornando sui suoi passi, nel settembre 2012 aveva riavviato il procedimento di revoca dell'assegnazione, accertato che «l'area erroneamente assegnata ricade in una zona destinata al Piano dei servizi e, benché il progetto presentato riguarda la realizzazione di impianti destinati a servizi, non può essere utilizzata per scopi connessi all'attività dell'impresa».
Dopo la diffida dell'azienda e l'intervento dell'Ufficio Legale del comune, a dicembre 2012 si decise di stipulare un accordo transattivo che sarebbe costato alle casse comunali 266mila euro, transazione mai conclusa per una serie di vicende burocratiche.
A questo punto, l'attuale dirigenza ha sì sottolineato che non ci fossero i presupposti per procedere alla revoca del procedimento (assenza di motivazioni di interesse pubblico), ma, allo stesso tempo, riesaminando i primi atti dirigenziali, ha evidenziato come la determina del 2008 sia stata «effettuata in assenza di qualsiasi atto fondamentale da parte degli organi di governo». Insomma, si sarebbe trattato di provvedimenti «adottati in violazione di legge, nonché viziati da eccesso di potere e da incompetenza», come riportato nella dirigenziale n.31/14, tanto più che l'assegnazione sarebbe avvenuta «senza alcun controllo concorrenziale, in difetto di un previo avviso pubblico».
Del resto, la nota del 2009 non avrebbe avuto efficacia, perché sarebbero stati necessari «l'adozione di altra determinazione modificativa della convenzione», «la sottoscrizione di apposito negozio con le stesse forme notarili» e «l'accertato mancato inizio dei lavori nel termine previsto ha determinato la decadenza della facoltà edificatoria concessa alla ditta». Peraltro, la convalida dell'assegnazione presupporrebbe anche una variante urbanistica, senza alcun interesse pubblico. Per questo motivo, sono stati annullati i provvedimenti del 2008 e del 2009, pur volendo riconoscere alla ditta 145mila euro di risarcimento danni.
Di fronte al ricorso dell'azienda, il Comune ha, perciò, nominato il suo avvocato difensore tra quelli inseriti nell'elenco degli avvocati amministrativisti su indicazione dell'organo politico con conferimento intuitu personae, mediante procedura d'urgenza per l'istanza di sospensiva del ricorso.
In particolare, la locuzione latina "intuitu personae", regolata dall'art. 2229 del Codice Civile, indica quei negoziati o affidamenti in cui si ritengono di particolare rilevanza le "qualità personali" dei soggetti contraenti. Ecco perché questo tipo di affidamento è proprio delle attività dei privati e, invece, sempre più limitato per le amministrazioni pubbliche che, nello spendere il denaro dei contribuenti, devono garantire per legge l'equità e l'imparzialità delle scelte.
È interessante considerare la sentenza del TAR Puglia n. 494/07 secondo cui il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto.
Per di più, il conferimento d'incarico professionale è realizzabile in base a esigenze effettive dell'amministrazione per periodi determinati e per attività specifiche, con scelta dell'incaricato mediante una procedura comparativa ed evitando procedure non concorsuali, quali il mero colloquio, che dovrebbero ormai intendersi lesive del principio di parità di trattamento e di imparzialità (integrerebbero una attribuzione fiduciaria dell'incarico non più ammessa).