Minacciò d'Ingeo nel 2014: condannato dal Tribunale di Trani

Per il Liberatorio Politico si tratta di una condanna "beffa"

lunedì 10 ottobre 2016 10.13
La Procura di Trani aveva rinviato a giudizio F.A. imputato di aver minacciato pubblicamente (art.612 c.p.) Matteo d'Ingeo, coordinatore del Liberatorio Politico, dicendogli che «gli avrebbe infilato le dita negli occhi se avesse continuato ad occuparsi della sua famiglia»; la minaccia è stata commessa a Molfetta il 9 dicembre 2014, con recidiva reiterata.

Matteo d'Ingeo è stato rappresentato e difeso dall'avvocato Annamaria Caputo del Foro di Trani.

«Il Giudice di Pace di Trani, Avv. Michele Giangregorio nella pubblica udienza del 28.07.2016 ha pronunziato la seguente sentenza nei confronti di A.F.:
- Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara l'imputato colpevole del reato ascritto in rubrica e lo condanna al pagamento di 50,00 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali;
- Visti gli artt. 538 e segg. cpp condanna l'imputato al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile che liquida in 500,00 euro oltre al pagamento delle spese di costituzione in giudizio e difesa che liquida in 800.00 euro oltre spese generali, IVA, CAP di legge.

Per una migliore comprensione dei fatti l'episodio va inquadrato nell'ambito dell'attività di coordinatore di un movimento civico (Liberatorio Politico) del d'Ingeo il quale segnalava, con esposti, corredati da relative fotografie dei luoghi, alle autorità competenti eventuali occupazioni abusive di strade e marciapiedi da parte di commercianti di ortofrutta tra cui la figlia dell'imputato.

Nella querela il d'Ingeo afferma che la minaccia veniva consumata all'interno di un panificio dove si era appena recato per acquistare il pane quando entrava pure il prevenuto che lo affrontava subito proferendo le frasi di cui alla contestazione. La circostanza è stata confermata da entrambi i testi sentiti dai Carabinieri.

Il fatto deve ritenersi pertanto attendibile e coerente con i riscontri esterni, mentre le frasi pronunciate, considerato il contesto e la recidiva, rappresentano la gravità e credibilità del danno ingiusto e illecito minacciato al d'Ingeo con coscienza e volontà di intimorirlo.

In definitiva deve essere riconosciuta la responsabilità dell'imputato e alla luce dei criteri di cui all'art. 133 cp, appare congrua, la pena di 50,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali relativamente al reato per cui è stato condannato ex art. 535, 1° co, c.p.p.

In merito alla richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla costituita parte civile, ex art. 538 e segg. cpp, si rileva che la raggiunta prova del reato consente di ritenere dimostrati i danni non patrimoniali patiti, da individuarsi nell'offesa arrecata alla tranquillità individuale della stessa, con il comportamento e la frase minacciosa posta in essere dall'imputato, con eventuali risvolti negativi nell'attività politica svolta dalla parte civile, e che equitativamente ex art. 1226 c.c. possa ritenersi nella misura congrua di 500.00 euro (cinquecento) oltre al pagamento delle spese di costituzione e difesa che, tenuto conto dei parametri di cui alle tariffe forensi vengono liquidati complessivamente in 800,00 euro (ottocento) oltre accessori di legge."

Questi i fatti...
Alle ore 17,15 circa, del 9 dicembre 2014, Matteo d'Ingeo viene raggiunto, in un noto esercizio commerciale del centro città, dal condannato che comincia a rivolgersi, nei confronti dello stesso, con un linguaggio dialettale e toni minacciosi, chiedendogli di smetterla di fare fotografie e riprese all'attività commerciale di ortofrutta e di occuparsi di altro.

D'Ingeo infastidito da questo intervento invita il signor A. a moderare i toni ricordandogli che era in un luogo pubblico con telecamere. Non curante di quelle parole l'A. risponde che a lui non importava delle telecamere.

Dopo aver invitato l'A. a calmarsi e ad abbassare i toni, d'Ingeo chiedeva ai presenti di essere stati testimoni di quanto accaduto. Ma il signor A. con arroganza, e alzando ancora di più i toni e la voce, respingeva fisicamente Matteo d'Ingeo e lo minacciava alzando la mano dicendo che non gli interessava dei testimoni e che «gli avrebbe infilato le dita negli occhi se avesse continuato ad occuparsi della sua famiglia».

L'episodio intimidatorio, prontamente denunciato alle autorità competenti, proviene, ancora una volta dagli ambienti del commercio dell'ortofrutta. Da molti anni il Liberatorio, con una costante attività di documentazione, denuncia, l'occupazione abusiva di suolo pubblico, fenomeno spesso sottovalutato e minimizzato, nonostante il sottobosco criminale che si muove intorno ad esso.

Già nel marzo del 2012 un parente dell'odierno imputato usò le stesse attenzione nei confronti di Matteo d'Ingeo.