Lo spaccio di droga a Molfetta, una questione di famiglia. Tutti in manette

Antonio Minervini era stato sorpreso nel 2021 con un panetto di hashish. Ora nei guai sono finiti anche le moglie e i suoi figli

mercoledì 1 febbraio 2023 12.01
A cura di Nicola Miccione
Lo spaccio di droga a Molfetta? Tutto in famiglia. E agli arresti finisce un intero nucleo. Se Antonio Minervini, 60enne di Molfetta, nei guai era finito già due anni fa, nel corso del tempo le attenzioni si sono spostate sulla moglie, la 58enne Vincenza Rizzi, e sui due figli gemelli di 24 anni, Domenico e Giuseppe, tutti noti.

Questo perché, già prima dell'arresto del padre - sorpreso il 15 giugno 2021, nella portineria del mercato ortofrutticolo della città con un panetto di hashish su cui era impressa l'immagine di Pablo Escobar e posto ai domiciliari - la droga sulla piazza di Molfetta circolava allegramente. I Carabinieri della locale Compagnia gli avevano puntato l'attenzione e dopo mesi l'hanno colto con le mani nel sacco, mettendo la parola fine, almeno per un po', allo smercio di hashish e di marijuana.

Nella notte di ieri, i militari, su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Marina Chiddo, hanno arrestato la famiglia Minervini per i reati, contestati a vario titolo, di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e, solo per il padre, di tentato omicidio in concorso. Il 60enne avrebbe rafforzato «il proposito criminoso, agevolando Ruggiero» (suo terzo figlio), protagonista, il 23 febbraio 2020, di un pericoloso duello a pistolettate Cosma Damiano Grosso.

Secondo le indagini, coordinate dal pubblico ministero della Procura della Repubblica di Trani, Giuseppe Francesco Aiello, Minervini senior avrebbe «codetenuto illegalmente e portato in luogo pubblico la pistola materialmente utilizzata dal figlio Ruggiero, accompagnato con la propria auto per le vie di Molfetta alla ricerca di Grosso». Quel pomeriggio, i due - entrambi noti - si erano «cercati e sparati vicendevolmente» in via San Giovanni. Furono entrambi fermati cinque mesi dopo.

Si diceva dello spaccio. Per gli investigatori del capitano Francesco Iodice, l'arresto del 60enne ha consentito di mettere un punto fermo sulla storia della droga. I quattro, «in concorso fra loro», da aprile a giugno del 2021 - il periodo delle indagini della Sezione Operativa retta dal tenente Domenico Mastromauro - avrebbero «posto in essere un'importante attività di spaccio, fatta in modo costante e per un lungo periodo di tempo» con 608 cessioni di hashish e marijuana contestate.

La base logistica era in vico II Crocifisso dove il 60enne «invitava gli acquirenti allo sportello delle cessioni sull'uscio della casa familiare, gestiva la contabilità e la cupa dello stupefacente, effettuando l'approvvigionamento dall'esterno della sostanza stupefacente e infine custodendola presso il luogo di lavoro», il mercato ortofrutticolo di Molfetta, dove è stato poi arrestato in flagranza. Alla moglie, invece, gli inquirenti contestano 214 cessioni di droga, ai suoi due figli gemelli 71.

Gli indagati, difesi dagli avvocati Michele Salvemini e Giuseppe Germinario, sono usciti dalla caserma di via Vittime di Nassiriya per entrare nel carcere di Trani in quanto «si ritiene sussistente e apprezzabile in concreto il grave ed attuale pericolo di reiterazione delle condotte criminose» portate avanti dagli indagati, «bene inseriti nel contesto criminale locale», attraverso «un sistema organizzativo che ha consentito di mettere a segno vari reati in materia di sostanze stupefacenti».

Sempre secondo il gip di Trani, infine, «è evidente che la famiglia Minervini - è scritto, all'interno dell'ordinanza, nelle esigenze cautelari - ha intrapreso un'attività di spaccio quotidiana con un modo organizzativo rudimentale che ha permesso di realizzare ingenti profitti» tramite una piazza di spaccio a gestione familiare.