Le tante partite delle Regionali
A vincere è stato l’astensionismo
martedì 2 giugno 2015
11.41
Saverio Tammacco 9020, Guglielmo Minervini 7978, Stanislao Caputo 4412, Erika Cormio 1866. Sono questi i voti che i maggiori candidati molfettesi al Consiglio Regionale hanno raccolto nella circoscrizione di Bari. Voti e risultati che premiano solo Minervini, sarà consigliere per i prossimi 5 anni, anche se ha raccolto meno di Tammacco. Tutto questo per effetto delle percentuali più basse che il suo movimento politico, quello dei Popolari, ha ottenuto su scala regionale.
Ma al di la dei risultati, queste Regionali si sono fatte apprezzare anche per le tante partite nella partita che si sono giocate fino all'ultimo voto. Inutile negarlo. Troppe volte a Molfetta i candidati del centrosinistra hanno affermato dai palchi che il voto regionale non avrebbe per nulla influito sull'andamento e sulla solidità del governo cittadino, che non sarebbe stato un referendum a favore o contro il sindaco Paola Natalicchio. Troppe volte e troppe affermazioni, spesso però, significano una negazione. Ad esempio, la segreteria cittadina del Pd, che ha sostenuto la Cormio, non ha mai fatto mistero, e anche pubblicamente, di essere "nemica" di Minervini, che pure era iscritto al partito, e di chi tra i consiglieri comunali e gli assessori in carica lo ha sostenuto. A cominciare dal primo cittadino. «Chi lo sostiene è fuori dal Pd», avevano sentenziato in occasione dell'apertura della campagna elettorale. Lasciando intendere anche, che oscure vendette si sarebbero potute concretizzare a urne chiuse. E adesso che le urne sono chiuse per davvero, cosa succederà?
Un dato è certo il Pd, inteso come partito e come segreteria a Molfetta ha perso. Non è riuscito ad imporre, o meglio a far prevalere il suo candidato di bandiera. Non sono riusciti neanche i giochi di prestigio che hanno visto Tammacco passare improvvisamente da Forza Italia, quindi dall'opposizione in consiglio comunale, alle liste che hanno sostenuto il neo Governatore, Michele Emiliano. E non è andata neanche bene al centro destra, quello che fa capo all'ex sindaco e senatore Antonio Azzollini. Il suo candidato, Caputo, è rimasto in bilico fino all'ultimo, il gioco dei resti lo avrebbe potuto premiare. Ma non è successo neanche quello. A sentire i commenti ufficiali del dopo voto, tutti si sentono vincitori. Per essere stati eletti, per aver ottenuto risultati superiori alle aspettative, perché in prospettiva esistono i margini per migliorare, e così via. Nessuno però vuole meditare e profondamente, sul fatto che il vero vincitore è l'astensionismo. Molfetta ha registrato con meno del 40% di affluenza al voto, il dato più basso dell'intera Provincia e forse della sua storia cittadina. E sicuramente hanno contribuito a questo tutti i partiti, con la loro confusione, con il loro pressapochismo, con il voltare bandiera, con il loro giocare altre partite nella partita principale. Hanno fatto venir meno tutti i punti di riferimento. Non hanno mai fatto cenno ai loro programmi di governo. Hanno puntato solo e solamente sul personalismo.
Altro che scuse del tipo «colpa del ponte del 2 giugno, in molti erano fuori». No, i molfettesi erano tutti a Molfetta. Chi forse dovrebbe prendersi un periodo di vacanza è l'intera classe politica, che è stata capace di allontanare i cittadini dalla partecipazione popolare.
Ma al di la dei risultati, queste Regionali si sono fatte apprezzare anche per le tante partite nella partita che si sono giocate fino all'ultimo voto. Inutile negarlo. Troppe volte a Molfetta i candidati del centrosinistra hanno affermato dai palchi che il voto regionale non avrebbe per nulla influito sull'andamento e sulla solidità del governo cittadino, che non sarebbe stato un referendum a favore o contro il sindaco Paola Natalicchio. Troppe volte e troppe affermazioni, spesso però, significano una negazione. Ad esempio, la segreteria cittadina del Pd, che ha sostenuto la Cormio, non ha mai fatto mistero, e anche pubblicamente, di essere "nemica" di Minervini, che pure era iscritto al partito, e di chi tra i consiglieri comunali e gli assessori in carica lo ha sostenuto. A cominciare dal primo cittadino. «Chi lo sostiene è fuori dal Pd», avevano sentenziato in occasione dell'apertura della campagna elettorale. Lasciando intendere anche, che oscure vendette si sarebbero potute concretizzare a urne chiuse. E adesso che le urne sono chiuse per davvero, cosa succederà?
Un dato è certo il Pd, inteso come partito e come segreteria a Molfetta ha perso. Non è riuscito ad imporre, o meglio a far prevalere il suo candidato di bandiera. Non sono riusciti neanche i giochi di prestigio che hanno visto Tammacco passare improvvisamente da Forza Italia, quindi dall'opposizione in consiglio comunale, alle liste che hanno sostenuto il neo Governatore, Michele Emiliano. E non è andata neanche bene al centro destra, quello che fa capo all'ex sindaco e senatore Antonio Azzollini. Il suo candidato, Caputo, è rimasto in bilico fino all'ultimo, il gioco dei resti lo avrebbe potuto premiare. Ma non è successo neanche quello. A sentire i commenti ufficiali del dopo voto, tutti si sentono vincitori. Per essere stati eletti, per aver ottenuto risultati superiori alle aspettative, perché in prospettiva esistono i margini per migliorare, e così via. Nessuno però vuole meditare e profondamente, sul fatto che il vero vincitore è l'astensionismo. Molfetta ha registrato con meno del 40% di affluenza al voto, il dato più basso dell'intera Provincia e forse della sua storia cittadina. E sicuramente hanno contribuito a questo tutti i partiti, con la loro confusione, con il loro pressapochismo, con il voltare bandiera, con il loro giocare altre partite nella partita principale. Hanno fatto venir meno tutti i punti di riferimento. Non hanno mai fatto cenno ai loro programmi di governo. Hanno puntato solo e solamente sul personalismo.
Altro che scuse del tipo «colpa del ponte del 2 giugno, in molti erano fuori». No, i molfettesi erano tutti a Molfetta. Chi forse dovrebbe prendersi un periodo di vacanza è l'intera classe politica, che è stata capace di allontanare i cittadini dalla partecipazione popolare.