La metamorfosi di Antonio Di Gioia in settantacinque giorni
Bandito il cambiamento, rispunta la tradizione?
giovedì 9 febbraio 2017
10.37
Il passaggio incriminato arriva dalla stessa mozione denominata "Articolo 49", che ha portato Antonio Di Gioia a diventare segretario del Pd, il 26 novembre scorso.
«Il nostro impegno, deve avere l'ambizione non solo di portare a termine quanto non realizzato ma di abbracciare sensibilità ed energie nuove», diceva Di Gioia nella mozione. Aggiungendo però che «la proposta democratica sia sempre maggiormente dinamica, inclusiva ed orientata ad un'idea appassionata ed appassionante di Partito e di città» e debba quindi «scalfire una distinzione troppo rigida fra società civile e politica valorizzando ogni risorsa, senza pregiudizi ideologici, senza la presunzione di assegnare patenti di appartenenza a priori, ma mettendo al centro della proposta l'ascolto e le competenze di tutti coloro che vogliano dare il proprio contributo per migliorare la società».
Frasi che ad oggi sembrano buttate lì, e in un colpo solo sono state spazzate via. Dalla retorica congressuale del cambiamento, dell'allargamento, dell'innovazione radicale alla parola "tradizione" che a memoria nostra non è mai nemmeno lontanamente uscita nel lessico del segretario. Nel testo della mozione, Di Gioia esprimeva ancora meglio il concetto, e le sue polarità: «abbiamo il dovere di collaborare con tutte le forze democratiche e progressiste di centrosinistra, siano esse partiti o movimenti civici, che possano condividere un progetto di chiara impronta riformista, come abbiamo il compito di cercare di aggregare anche altre forze politiche e movimenti civici che, come noi, credono nei principi di uguaglianza, solidarietà, libertà, interesse per il bene comune e per i più deboli».
Il tutto lasciava presagire ad una nuova e rinnovata identità dem senza muri e barriere. A distanza di settantacinque giorni la sensazione, latente, è che Di Gioia sia stato più tradizionalista che innovatore. Molto più propenso ad accarezzare la rabbia e la paura, anziché provare a sopirla con la speranza e con la favola del Pd che conquisterà il mondo con la sua bellezza di "prima donna". Ma dall'idea di allargamento e apertura a «partiti o movimenti civici, che possano condividere un progetto di chiara impronta riformista» si è passati ad una serie di tavoli con DèP, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, La Puglia in più e Linea Diritta. Un ritorno alle origini, alla coalizione del 2013.
Lo possiamo dire? Con un linguaggio aderente allo spirito dei tempi, ecco il "nuovo" Di Gioia che abbandona la furia innovatrice della rinascita dem per abbracciare una narrazione più consona ai tempi cupi. Oplà, la metamorfosi è servita.
E con Tommaso Minervini candidato sindaco delle sei liste civiche, adesso, cosa accadrà?
«Il nostro impegno, deve avere l'ambizione non solo di portare a termine quanto non realizzato ma di abbracciare sensibilità ed energie nuove», diceva Di Gioia nella mozione. Aggiungendo però che «la proposta democratica sia sempre maggiormente dinamica, inclusiva ed orientata ad un'idea appassionata ed appassionante di Partito e di città» e debba quindi «scalfire una distinzione troppo rigida fra società civile e politica valorizzando ogni risorsa, senza pregiudizi ideologici, senza la presunzione di assegnare patenti di appartenenza a priori, ma mettendo al centro della proposta l'ascolto e le competenze di tutti coloro che vogliano dare il proprio contributo per migliorare la società».
Frasi che ad oggi sembrano buttate lì, e in un colpo solo sono state spazzate via. Dalla retorica congressuale del cambiamento, dell'allargamento, dell'innovazione radicale alla parola "tradizione" che a memoria nostra non è mai nemmeno lontanamente uscita nel lessico del segretario. Nel testo della mozione, Di Gioia esprimeva ancora meglio il concetto, e le sue polarità: «abbiamo il dovere di collaborare con tutte le forze democratiche e progressiste di centrosinistra, siano esse partiti o movimenti civici, che possano condividere un progetto di chiara impronta riformista, come abbiamo il compito di cercare di aggregare anche altre forze politiche e movimenti civici che, come noi, credono nei principi di uguaglianza, solidarietà, libertà, interesse per il bene comune e per i più deboli».
Il tutto lasciava presagire ad una nuova e rinnovata identità dem senza muri e barriere. A distanza di settantacinque giorni la sensazione, latente, è che Di Gioia sia stato più tradizionalista che innovatore. Molto più propenso ad accarezzare la rabbia e la paura, anziché provare a sopirla con la speranza e con la favola del Pd che conquisterà il mondo con la sua bellezza di "prima donna". Ma dall'idea di allargamento e apertura a «partiti o movimenti civici, che possano condividere un progetto di chiara impronta riformista» si è passati ad una serie di tavoli con DèP, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, La Puglia in più e Linea Diritta. Un ritorno alle origini, alla coalizione del 2013.
Lo possiamo dire? Con un linguaggio aderente allo spirito dei tempi, ecco il "nuovo" Di Gioia che abbandona la furia innovatrice della rinascita dem per abbracciare una narrazione più consona ai tempi cupi. Oplà, la metamorfosi è servita.
E con Tommaso Minervini candidato sindaco delle sei liste civiche, adesso, cosa accadrà?