Infermiera da Molfetta a Bologna, passando per Münster e Tubinga
Il racconto della giovane: «In Italia c'è ancora molta strada da fare per riconoscere il nostro lavoro»
venerdì 12 maggio 2023
Il 12 maggio è la Giornata Internazionale dell'Infermiere, che ricorre in questa data perchè è il giorno in cui, nel 1820, nacque Florence Nightngale, considerata fondatrice delle Scienze Infermieristiche moderne.
Per restituire uno spaccato della complessità di questa professione, abbiamo rintracciato una molfettese che ha svolto la sua prima esperienza lavorativa in Germania, a Münster nel 2017 e a Tubinga dal 2019, per poi tornare a Nord Italia all'inizio del 2023. Ecco il racconto della sua esperienza, tra crescita e riflessioni.
Come hai scelto di diventare infermiera?
«Ho sempre avuto una spinta per aiutare il prossimo e un forte interesse per il mondo sanitario. Quando mi chiedo se ho fatto la scelta giusta, la risposta che mi ripeto è sempre la stessa: non saprei immaginarmi altrove. La mia è stata una decisione dettata da una serie di circostanze, l'idea di lavorare in ospedale e di rendermi utile hanno tracciato per me questa strada».
Perché hai scelto di spostarti all'estero?
«In verità mi sono lanciata. Era il 2017 e stavo lavorando a Molfetta facendo assistenze domiciliari, ma non faceva per me. Avevo inviato candidature a vari enti, tra cui un' agenzia che assumeva infermieri per la Germania. Il caso, o forse il destino, hanno voluto che io abbia dato le dimissioni a Molfetta e, poco dopo, fossi contatta per il colloquio in quest'agenzia. Il colloquio è andato a buon fine e io sono partita senza pensarci troppo, mi sono gettata a capofitto in un'esperienza nuova, quella che considero la mia prima vera esperienza lavorativa».
Cosa ti ha insegnato l'esperienza in Germania?
«Sono sicuramente cresciuta tanto, la Germania mi ha lasciato molto dal punto di vista umano e lavorativo. Quando sono partita non conoscevo neanche una parola in lingua tedesca, l'ho imparata da zero e anche questo mi ha fortificata perché mi sono dovuta rapportare con colleghi e conoscenti in una lingua che non avevo mai praticato».
Come avete gestito il periodo covid?
«Io sono stata fortunata in quel periodo, lavoravo in un reparto di cardiochirurgia e chirurgia toracica, in cui il 90% degli interventi sono programmati. Però nel reparto avevamo bisogno spesso di posti in terapia intensiva. Nel periodo di pandemia le terapie intensive, specie all'inizio, erano piene, c'erano necessità di ogni tipo che molto spesso non si potevano prevedere. Cosí abbiamo dovuto ridurre notevolmente il numero degli interventi. La situazione è rimasta tutto sommato gestibile, ma non è mancata la paura che all'inizio ha colpito tutti indistintamente. Ricordo quando ancora non sapevamo come trattare i casi di pazienti positivi al covid e dovevamo abituarci a svolgere il nostro lavoro con le mascherine e tutti i DPI del caso. Ma presto abbiamo imparato a rapportarci al coronavirus e ci siamo abituati anche questo».
Secondo te quali sono le differenze nella professione di infermiere tra l'Italia e la Germania?
«Le differenze la sto notando adesso, perché da qualche mese sto lavorando in un ospedale a Bologna. Innanzitutto ho avvertito una forte differenza nel rapporto medico-infermiere. In Germania ho notato molto più rispetto nei confronti della mia professione, invece penso che in Italia ci sia ancora molta strada da fare per riconoscere questo lavoro nella sua complessità. Sebbene il medico e l'infermiere siano due figure complementari, l'idea diffusa è che il medico sia il titolare dell'infermiere, ma non c'è niente di più sbagliato. Questa concezione radicata nei piú, ti porta a vivere una serie di situazioni non molto piacevoli, che si aggiungono alle turnazioni. In Germania non esistono i doppi turni, sono illegali. In Italia se sei chiamato a fare un doppio turno, non puoi tirarti in dietro, non esistono "se" e non esistono "ma". Naturalmente un'altra differenza risiede negli stipendi, che in Germania sono più alti che in Italia. Questo è anche legato al fatto che gli scioperi e le manifestazioni che si svolgono in Germania portano a risultati e obiettivi concreti, mentre in Italia tutto resta fermo, nonostante le proteste».
Per restituire uno spaccato della complessità di questa professione, abbiamo rintracciato una molfettese che ha svolto la sua prima esperienza lavorativa in Germania, a Münster nel 2017 e a Tubinga dal 2019, per poi tornare a Nord Italia all'inizio del 2023. Ecco il racconto della sua esperienza, tra crescita e riflessioni.
Come hai scelto di diventare infermiera?
«Ho sempre avuto una spinta per aiutare il prossimo e un forte interesse per il mondo sanitario. Quando mi chiedo se ho fatto la scelta giusta, la risposta che mi ripeto è sempre la stessa: non saprei immaginarmi altrove. La mia è stata una decisione dettata da una serie di circostanze, l'idea di lavorare in ospedale e di rendermi utile hanno tracciato per me questa strada».
Perché hai scelto di spostarti all'estero?
«In verità mi sono lanciata. Era il 2017 e stavo lavorando a Molfetta facendo assistenze domiciliari, ma non faceva per me. Avevo inviato candidature a vari enti, tra cui un' agenzia che assumeva infermieri per la Germania. Il caso, o forse il destino, hanno voluto che io abbia dato le dimissioni a Molfetta e, poco dopo, fossi contatta per il colloquio in quest'agenzia. Il colloquio è andato a buon fine e io sono partita senza pensarci troppo, mi sono gettata a capofitto in un'esperienza nuova, quella che considero la mia prima vera esperienza lavorativa».
Cosa ti ha insegnato l'esperienza in Germania?
«Sono sicuramente cresciuta tanto, la Germania mi ha lasciato molto dal punto di vista umano e lavorativo. Quando sono partita non conoscevo neanche una parola in lingua tedesca, l'ho imparata da zero e anche questo mi ha fortificata perché mi sono dovuta rapportare con colleghi e conoscenti in una lingua che non avevo mai praticato».
Come avete gestito il periodo covid?
«Io sono stata fortunata in quel periodo, lavoravo in un reparto di cardiochirurgia e chirurgia toracica, in cui il 90% degli interventi sono programmati. Però nel reparto avevamo bisogno spesso di posti in terapia intensiva. Nel periodo di pandemia le terapie intensive, specie all'inizio, erano piene, c'erano necessità di ogni tipo che molto spesso non si potevano prevedere. Cosí abbiamo dovuto ridurre notevolmente il numero degli interventi. La situazione è rimasta tutto sommato gestibile, ma non è mancata la paura che all'inizio ha colpito tutti indistintamente. Ricordo quando ancora non sapevamo come trattare i casi di pazienti positivi al covid e dovevamo abituarci a svolgere il nostro lavoro con le mascherine e tutti i DPI del caso. Ma presto abbiamo imparato a rapportarci al coronavirus e ci siamo abituati anche questo».
Secondo te quali sono le differenze nella professione di infermiere tra l'Italia e la Germania?
«Le differenze la sto notando adesso, perché da qualche mese sto lavorando in un ospedale a Bologna. Innanzitutto ho avvertito una forte differenza nel rapporto medico-infermiere. In Germania ho notato molto più rispetto nei confronti della mia professione, invece penso che in Italia ci sia ancora molta strada da fare per riconoscere questo lavoro nella sua complessità. Sebbene il medico e l'infermiere siano due figure complementari, l'idea diffusa è che il medico sia il titolare dell'infermiere, ma non c'è niente di più sbagliato. Questa concezione radicata nei piú, ti porta a vivere una serie di situazioni non molto piacevoli, che si aggiungono alle turnazioni. In Germania non esistono i doppi turni, sono illegali. In Italia se sei chiamato a fare un doppio turno, non puoi tirarti in dietro, non esistono "se" e non esistono "ma". Naturalmente un'altra differenza risiede negli stipendi, che in Germania sono più alti che in Italia. Questo è anche legato al fatto che gli scioperi e le manifestazioni che si svolgono in Germania portano a risultati e obiettivi concreti, mentre in Italia tutto resta fermo, nonostante le proteste».