Il molfettese Nicolò Ayroldi porta in teatro a Roma la storia di Peppino Impastato

Opera scritta, diretta e interpretata dall'attore che da anni lavora nella capitale

mercoledì 5 ottobre 2022 10.13
Prosegue a Roma il percorso artistico dell'attore Nicolò Ayroldi, molfettese classe 1994 che ha deciso come tanti suoi coetanei di lasciare Molfetta diversi anni fa per trasferirsi a Roma, nella speranza di formarsi artisticamente e di trovare l'essenza più profonda della propria identità.

Si era già raccontato nel 2020 alla nostra redazione per spiegare come era nata questa sua scelta di avvicinarsi al mondo del teatro: in questi due anni ha continuato a lavorare sodo per crescere dal punto di vista professionale e ritagliarsi uno spazio sempre più importante in un contesto, come quello romano, dove le occasioni capitano più di quanto possa accadere al Sud ma dove riesci a ottenere risultati solo se sei in grado di cogliere tutte le possibilità e di dare sempre il massimo per farti conoscere al pubblico. Questa volta ha toccato temi nuovi, soffermandosi in particolare sugli ultimi lavori svolti e su ciò che a stretto giro porterà in scena.

Come procede la tua carriera a Roma?
«Il tempo passa e ogni anno diventa difficile vivere qui a Roma, ma la mia formazione l'ho fatta qui e ho dei progetti avviati a cui tengo molto. Sicuramente il post-Accademia è stato vorticoso. Ho conosciuto tante realtà e continuerò a farlo perché credo molto nell'incontro, mi piace interagire con gente che lavora diversamente e che pensa diversamente da me. Ultimamente mi stanno capitando degli eventi che mi stanno riportando alle mie radici, alla Puglia e a Molfetta. Sono andato ad un provino a Napoli e dopo aver recitato un monologo in napoletano di Edoardo de Filippo, il regista mi chiede se avessi un monologo nel mio dialetto d'origine. Non avevo nulla. sono rimasto di stucco. Niente di niente. Nella crisi ravanando nella mia memoria ho trovato una poesia in Molfettese, sul polpo scazzato, ma non volevo fare una figuraccia anche perché detto francamente non me la ricordavo neanche bene. Scherzi a parte, dopo il provino ho pensato a quanta tradizione abbia Napoli e il dialetto partenopeo rispetto alla nostra e mi sono chiesto il perché. Non che io voglia fare paragoni ma semplicemente mi affascina la loro cultura. La nostra lingua può parlare molto, ha un suono che si porta dietro così tante storie. Allora perché nel tempo non si è creata un tradizione drammaturgica? Insomma, per rivendicare l'accaduto ho avuto l'esigenza di riconnettermi con il mio suono d'origine. Così ho scritto un po' di poesie in dialetto e poi un monologo che è stato da apripista all'idea del nuovo spettacolo scritto con il mio collega Samuele Gambino. Volevo parlare dei padri. Insieme abbiamo scritto "Io Mi Ricordo Quando". Attraverso l'esplosione di emozioni che il suono delle nostre lingue di provenienza diversa può creare, tra Molfettese e Catanese, abbiamo sciorinato una drammaturgia a tema "rapporto padre/figlio"».

Quale spettacolo ti ha segnato maggiormente in questa tua esperienza fuori?
«Non ci sono spettacoli che ti cambiano maggiormente, credo che ogni esperienza teatrale ti possa far uscire cambiato, con un dubbio in più, con un desiderio nuovo, un ricordo che avevi accantonato e che sboccia all'improvviso. Leggendo questa domanda mi sono venute in mente due esperienze in particolare. Una è "Il matriarcato", uno spettacolo che ha debuttato al Teatro Argentina il 12 giugno di quest'anno con la regia e supervisione di Marco Lucchesi. Recitare li è stata un esplosione di emozioni, ma quella che mi ricordo di più, forse perché è più legata ad una mia reazione corporea è la paura della grandezza. Questa bomboniera così grande e io così piccolo. C'è stata una scena dove noi attori dovevamo simulare il parto mentre una mia collega recitava un monologo molto divertente tratto da "'O cunto 'e Ficuciello". Dopo una estenuante corsa per accaparrarci i fogli che cadevano come pioggia dal traliccio, per poi infilarceli con veemenza sotto la nostra maglia, simbolo del fatto che la narrazione che ci è arrivata è stata imposta dagli uomini, creando così una società patriarcale. Sfiatati e sfiancati abbiamo simulato il travaglio facendo fuoriuscire questi fogli come popcorn per poi accasciarci a terra e dormire come dei bambini al suono di una ninna nanna. Ho avuto degli attacchi di panico! Non riuscivo a guardare il soffitto per quanto fosse distante. Menomale che c'erano i miei colleghi che mi hanno aiutato senza far vedere nulla al pubblico. Poi vedere il teatro spento con tutti i lumini accesi, quest'immagine macabra di un cimitero non mi ha aiutato affatto. Mi ha fatto rivivere un momento del passato quando, da piccolo, trascorrevo l'estate con gli scout e la notte ci distendevamo sul terreno, guardavamo le stelle e io non riuscivo a vedere il cielo perché mi perdevo, era troppo grande per me. La seconda cosa che mi è venuta in mente è stata, non sempre uno spettacolo ti cambia da attore, da spettatore ci sono stati tanti spettacoli che porterò sempre con me. Quello che ho sempre in mente è Raoul di James Thierrèe, dico solo che è il nipote di Charlie Chaplin, "e che te devo di", sono uscito dal teatro sconvolto e con una voglia di imparare che mi mangiava l'anima».

Hai progetti in cantiere a cui stai lavorando?
«Come dicevo prima "Io Mi Ricordo Quando" è un progetto che ho iniziato con il mio collega Samuele Gambino sul tema del rapporto padre/figlio. Abbiamo portato in scena un estratto al Festival d'Arte Spaccata a Roma, vincendo il primo premio e adesso siamo in fase di lavorazione. Tra diversi lavori e progetti, stiamo arricchendo il materiale. Questo è un lavoro che mi piace molto perché va di pari passo ai nostri cambiamenti e non c'è mai una fine, forse il cambiamento è quello che racconteremo, chi lo sa. Adesso, invece, dall'11 al 16 ottobre sono in scena con un monologo scritto diretto e interpretato da me. "Sono una bomba-La storia di Peppino Impastato". Si tratta di uno spettacolo nato all'inizio del 2021. Nella seconda ondata della pandemia, non avendo uno spazio dove provare, ho iniziato a buttar giù delle idee drammaturgiche sul tema. La pièce è frutto di un lavoro in primis giornalistico, dato che non si parla di una figura immaginifica ma di una persona realmente esistita e non potevo permettermi di sbagliare informazioni. Desideravo conoscere più cose possibili della sua vita e così, attraverso una ricerca accurata sulla storia della mafia e sui temi che ne derivano, sono riuscito ad avere una visione più critica sull'argomento per poi poter abbandonarmi ad una interpretazione più personale. Ho concluso il mio percorso drammaturgico con un viaggio a Cinisi dove ho incontrato prima i suoi famigliari, a Casa Memoria Impastato, e poi Salvo Vitale, compagno di mille racconti su Radio AUT. Giovanni e la figlia Luisa mi hanno accolto con calore, facendomi visitare la casa dove la famiglia Impastato ha vissuto. Fuori ci sono le 100 mattonelle che separano la casa di Peppino da quella del mandante del suo omicidio, Tano Badalamenti, i famosi 100 passi. La cosa più strana è stata l'ultima mattonella, appena fuori alla casa di Tano. La mattonella raffigurava un Duomo a me familiare. Era il Duomo di Molfetta, la mia città natale, con una dedica alla memoria di Gianni Carnicella, sindaco assassinato dalla mafia il 7 luglio 1992».

Ipotizzi un giorno di poter tornare a Molfetta per diventare un riferimento nel teatro locale?
«Mi piacerebbe molto ritornare a Molfetta, Malalingua è una associazione che conosco perché ho seguito lì una delle mie prime lezioni di teatro quando avevo 20 anni prima di partire per Roma e attraverso i social vedo che sta crescendo molto e sta dando tanto contributo al territorio. L'anno scorso sono passato per il Teatro "La Cittadella degli artisti" e sono rimasto sbalordito. Quando ero a Molfetta non esisteva, sono stato felice che ci fosse un luogo nuovo dove poter far nascere qualcosa di bello nel campo dell'arte. Ricordo che Floriano dell'associazione Tesla mi ha aperto le porte e, dopo una bella chiacchierata, ci siamo lasciati con un arrivederci. Per concludere, vi dico che c'è un progetto cinematografico a cui prenderò parte in piccola parte, verso novembre e sarà vicino casa. Altre cose non le posso ancora dire».