Giornata contro la violenza sulle donne, poco da festeggiare e molto su cui riflettere
Diverse le iniziative in tutta la Puglia ma c'è ancora tanto da lavorare
giovedì 25 novembre 2021
14.51
Oggi, 25 novembre, si "festeggia" la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle donne. Ma in Puglia, e in tutta Italia, c'è davvero poco da festeggiare e molto su cui riflettere.
Nel solo 2020 nella nostra regione sono stati 2.349 i nuovi accessi ai Centri antiviolenza, con un aumento di 290 casi rispetto al 2019 e di 599 rispetto all'anno 2018. Principalmente si tratta di donne italiane e gli autori della violenza sono nell'81% dei casi ex partner (27,5%) o partner (53,3%) mentre un 12% delle violenze è perpetrato da un familiare. Quindi nel 93% dei casi di violenza si parla di violenza contro le donne in ambito familiare. La percentuale più alta viene registrata tra donne che hanno tra i 30 e i 49 anni (58%) ma è significativa anche la percentuale delle donne di età compresa tra i 18-29 anni (15,7%). Il titolo di studio prevalente è quello di scuola media inferiore (38,78%), segue quello di scuola media superiore (37,7%), e il titolo di laurea per il 12,6%.
La tipologia di violenza prevalente è quella psicologica (44,9%), seguita da quella fisica (40,7%) e dallo stalking (6,4%). Il 68% delle donne si era già rivolto ad altri servizi prima di contattate il centro antiviolenza e, in diversi casi, anche a più di un servizio. Sul totale delle donne seguite dai centri antiviolenza, nel 2020 ha denunciato il 39,3%, nel 2019 la percentuale era pari al 52,3%. Solo il 27,6% di queste donne ha un'occupazione stabile (-6% rispetto al 2019) a fronte del 44,8% di donne senza occupazione (casalinghe e/o non occupate) e del 18,4% di donne con un'occupazione precaria e, quindi, con una fonte di reddito incerta. Le donne con figli rappresentano il 66% del totale e sono 106 i minori che hanno seguito le madri nelle case (nel 2019 erano 57).
Questi dati devono farci riflettere su quanta strada si debba ancora fare, principalmente dal punto di vista culturale, per uscire dagli schemi mentali che tutti noi abbiamo e in cui, purtroppo, siamo cresciuti e che abbiamo interiorizzato. Tutti noi portiamo avanti una concezione della vita in cui troppo spesso la donna è colei che deve stare a casa e pensare ai figli e alla famiglia, e l'uomo deve essere forte, deve "portare i pantaloni" e non può permettersi debolezze.
Le donne sono vittime degli uomini violenti, che sono a loro volta vittime di una società che porta avanti una immagine di "mascolinità tossica" che non fa bene a nessuno. E troppo spesso le stesse donne, da vittime, diventano colpevoli nella mente di chi molto facilmente è pronto a giudicare un comportamento, un atteggiamento, una condotta ritenuta poco consona al ruolo che la donna dovrebbe avere. Anche nella violenza di genere si sfocia, esattamente come per la violenza sessuale, in quella concezione per cui la donna "se l'è cercata" perché ha provocato, perché ha lasciato l'uomo, perché si è comportata male. Ma le donne non possono da vittime diventare colpevoli e esse stesse considerarsi tali. È necessario uscire da questo circolo vizioso e iniziare a vedere le cose per quello che sono.
Troppo spesso, inoltre, non siamo in gradi di riconoscere la violenza, di leggere un comportamento come violento, solo perché la violenza è psicologica e non fisica. Riconosciamo tutti facilmente una donna che è stata picchiata, difficilmente comprendiamo la violenza portata avanti in maniera sistematica per anni, o messa in atto da chi in posizione di "potere" sfrutta la situazione (come in qualche modo può essere la situazione dell'ormai famoso ginecologo di Bari pronto a curare le sue pazienti offrendo come cura del sesso con lui).
Non siamo culturalmente pronti ad affrontare tali problematiche e per questo è necessario educare le nuove generazioni. Smetterla di parlare ai bambini maschi imponendogli degli stereotipi in cui devono per forza giocare a calcio e non piangere come "una femminuccia", e insegnare alle bambine che possono essere tutto ciò che vogliono, non solo delle brave mammine con le bambole, ma se vogliono possono anche diventare un'astronauta e fare il "maschiaccio".
In tutte le città oggi si svolgeranno tante iniziative, si sentiranno tante belle parole. Ma non basta un giorno all'anno. Dato il numero di vittime questa può tranquillamente essere considerata una guerra, e la guerra si vince combattendola ogni giorno, portando a casa diverse battaglie. Ogni giorno dobbiamo lottare, per rendere sia la Puglia che tutta l'Italia un posto in cui ogni donna possa sentirsi al sicuro, e non temere un domani di essere minacciata, fisicamente e non solo, proprio dal padre dei suoi figli o dal suo compagno o dal suo ex.
Nel solo 2020 nella nostra regione sono stati 2.349 i nuovi accessi ai Centri antiviolenza, con un aumento di 290 casi rispetto al 2019 e di 599 rispetto all'anno 2018. Principalmente si tratta di donne italiane e gli autori della violenza sono nell'81% dei casi ex partner (27,5%) o partner (53,3%) mentre un 12% delle violenze è perpetrato da un familiare. Quindi nel 93% dei casi di violenza si parla di violenza contro le donne in ambito familiare. La percentuale più alta viene registrata tra donne che hanno tra i 30 e i 49 anni (58%) ma è significativa anche la percentuale delle donne di età compresa tra i 18-29 anni (15,7%). Il titolo di studio prevalente è quello di scuola media inferiore (38,78%), segue quello di scuola media superiore (37,7%), e il titolo di laurea per il 12,6%.
La tipologia di violenza prevalente è quella psicologica (44,9%), seguita da quella fisica (40,7%) e dallo stalking (6,4%). Il 68% delle donne si era già rivolto ad altri servizi prima di contattate il centro antiviolenza e, in diversi casi, anche a più di un servizio. Sul totale delle donne seguite dai centri antiviolenza, nel 2020 ha denunciato il 39,3%, nel 2019 la percentuale era pari al 52,3%. Solo il 27,6% di queste donne ha un'occupazione stabile (-6% rispetto al 2019) a fronte del 44,8% di donne senza occupazione (casalinghe e/o non occupate) e del 18,4% di donne con un'occupazione precaria e, quindi, con una fonte di reddito incerta. Le donne con figli rappresentano il 66% del totale e sono 106 i minori che hanno seguito le madri nelle case (nel 2019 erano 57).
Questi dati devono farci riflettere su quanta strada si debba ancora fare, principalmente dal punto di vista culturale, per uscire dagli schemi mentali che tutti noi abbiamo e in cui, purtroppo, siamo cresciuti e che abbiamo interiorizzato. Tutti noi portiamo avanti una concezione della vita in cui troppo spesso la donna è colei che deve stare a casa e pensare ai figli e alla famiglia, e l'uomo deve essere forte, deve "portare i pantaloni" e non può permettersi debolezze.
Le donne sono vittime degli uomini violenti, che sono a loro volta vittime di una società che porta avanti una immagine di "mascolinità tossica" che non fa bene a nessuno. E troppo spesso le stesse donne, da vittime, diventano colpevoli nella mente di chi molto facilmente è pronto a giudicare un comportamento, un atteggiamento, una condotta ritenuta poco consona al ruolo che la donna dovrebbe avere. Anche nella violenza di genere si sfocia, esattamente come per la violenza sessuale, in quella concezione per cui la donna "se l'è cercata" perché ha provocato, perché ha lasciato l'uomo, perché si è comportata male. Ma le donne non possono da vittime diventare colpevoli e esse stesse considerarsi tali. È necessario uscire da questo circolo vizioso e iniziare a vedere le cose per quello che sono.
Troppo spesso, inoltre, non siamo in gradi di riconoscere la violenza, di leggere un comportamento come violento, solo perché la violenza è psicologica e non fisica. Riconosciamo tutti facilmente una donna che è stata picchiata, difficilmente comprendiamo la violenza portata avanti in maniera sistematica per anni, o messa in atto da chi in posizione di "potere" sfrutta la situazione (come in qualche modo può essere la situazione dell'ormai famoso ginecologo di Bari pronto a curare le sue pazienti offrendo come cura del sesso con lui).
Non siamo culturalmente pronti ad affrontare tali problematiche e per questo è necessario educare le nuove generazioni. Smetterla di parlare ai bambini maschi imponendogli degli stereotipi in cui devono per forza giocare a calcio e non piangere come "una femminuccia", e insegnare alle bambine che possono essere tutto ciò che vogliono, non solo delle brave mammine con le bambole, ma se vogliono possono anche diventare un'astronauta e fare il "maschiaccio".
In tutte le città oggi si svolgeranno tante iniziative, si sentiranno tante belle parole. Ma non basta un giorno all'anno. Dato il numero di vittime questa può tranquillamente essere considerata una guerra, e la guerra si vince combattendola ogni giorno, portando a casa diverse battaglie. Ogni giorno dobbiamo lottare, per rendere sia la Puglia che tutta l'Italia un posto in cui ogni donna possa sentirsi al sicuro, e non temere un domani di essere minacciata, fisicamente e non solo, proprio dal padre dei suoi figli o dal suo compagno o dal suo ex.