Garofoli racconta la sua esperienza come Sottosegretario di Stato: «Periodo intenso»

Il magistrato di Molfetta è stato intervistato da "Il Foglio" per ricordare quel periodo e non solo

lunedì 24 febbraio 2025
Roberto Garofoli, magistrato molfettese e sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Draghi dal febbraio 2021 all'ottobre 2022, è stato intervistato da "Il Foglio" e ha raccontato il suo periodo come capo di gabinetto e segretario generale.

In primis, ha riposto di ricordare la fine, più che l'inizio di quell'avventura: era il pomeriggio del 21 luglio 2022, il giorno in cui Mario Draghi si dimise. «Ricordo come è finita», dice, mentre la memoria lo riporta a quel momento cruciale della storia del governo. «Gli ero accanto, sottosegretario del presidente del consiglio». Quella giornata, così carica di significato, segna anche un ricordo personale che Garofoli non riesce a dimenticare. «Ricordo i saluti, i ringraziamenti, la cena con il presidente. L'immagine è ancora nitida, ce l'ho ancora in testa, incancellabile.

La cena quella sera è stata particolare. «Ricordo che Draghi si alzò per andare a pagare. Disse che eravamo suoi 'ospiti'. La sala rumoreggiava, ma all'improvviso è calato il silenzio. Tutti abbiamo iniziato a guardarlo, a guardare un punto. Si sentirono solo i suoi passi e poi cominciò. Uno, e poi uno, 'grazie', e poi, ancora, 'grazie', e poi, di nuovo 'grazie', e poi fu un battito di mani, sempre più forte, e da fuori si aggiunsero altri applausi». Un gesto semplice, ma significativo, che incarna l'affetto e il rispetto che Draghi suscitava.

«Non so cosa si intenda con 'amato'», continua Garofoli, «ma so che quel governo, quel tempo, è stata un'esperienza irripetibile. È stata 'la cosa'. Nella vita di ciascuno c'è sempre un momento, un intervallo unico. Non ti accorgi che stai per vivere qualcosa che non tornerà». Nel raccontare l'esperienza del governo, Garofoli spiega anche come si viveva in quei mesi cruciali. «Ci sentivamo parte di un governo che doveva trascinare fuori l'Italia dal Covid. Era l'Italia che doveva ripartire. Ho abitato per più di un anno in caserma, in una foresteria messa a disposizione dei ministri e dei sottosegretari». La scelta di vivere separato dal resto del mondo non è stata casuale. «È stata una mia decisione. Non volevo avere distrazioni. Non sono stato l'unico a fare quella scelta».

Parlando del libro che ha scritto con Bernardo Giorgio Mattarella, "Governare le fragilità", Garofoli racconta il processo che ha portato alla sua realizzazione. «L'ambasciatore Michele Valensise si è presentato al nostro incontro preparato come fosse un esame», dice con un sorriso, mentre il libro giace sul tavolo del ristorante a pochi passi da Campo dei Fiori, a Roma. La discussione sul volume prosegue con Garofoli che, da europeista convinto, cita Adenauer: «L'Europa unita era un sogno di pochi, è stata una speranza per molti, oggi è una necessità per tutti». Ma quando gli si chiede se esisterà ancora l'Europa, Garofoli risponde con una certa preoccupazione: «Non basta da sola». E riguardo a un possibile grande esercito europeo, aggiunge: «Spendiamo già più della Russia, ma la nostra capacità di deterrenza è ridotta».

Con una chiarezza che non lascia spazio a equivoci, Garofoli racconta anche dei suoi giorni in seno al Governo Draghi: «Ogni mattina telefonavo ai ministeri per chiedere lo stato di avanzamento del PNRR», rivela, parlando di come Draghi, durante le conferenze stampa, lo indicava spesso per spiegare i punti più delicati. «Le mie guance arrossivano, ma sapevo di dover parlare di decreti attuativi, della golden power, di come tutelare gli asset italiani». Se fosse ancora a Palazzo Chigi, Garofoli avrebbe voluto rafforzare la golden power, ma con un uso preciso: «È uno strumento utile, ma non deve diventare un mezzo per fare politica industriale».

Nel corso della conversazione, Garofoli non si sottrae nemmeno a domande più provocatorie. Quando gli si chiede se si considera un "boiardo" o un "mandarino", sorride, ma non accetta la provocazione. La discussione si sposta anche sul futuro dell'Europa, sulle sfide legate alla politica estera e alla rappresentanza internazionale, con Garofoli che lamenta la divisione dell'Italia anche nelle sedi diplomatiche: «Ogni regione ha le sue sedi di rappresentanza che si aggiungono alle ambasciate del ministero».

Quando si parla del suo rapporto con Mario Draghi e dell'inizio del suo percorso al governo, Garofoli ricorda il primo incontro con il presidente del Consiglio. «Mi presento a Draghi, che non conoscevo, e inizio a elencargli i dossier», racconta. «Ma mi ha interrotto dicendo con semplicità: 'Il suo metodo non è il mio. Io ragiono a una cosa per volta'. Così cambiò il nostro approccio. Abbiamo usato il suo metodo». Un metodo che, come racconta Garofoli, prevedeva di concentrarsi su un solo problema alla volta, senza disperdere le forze.

Guardando indietro, Garofoli riflette su quell'esperienza unica. «È stato il tempo della serietà, dell'impegno, della buona volontà e della buona fede», dice, con un velo di nostalgia. «Un periodo che, ancora oggi, rimpiango».