Enzo De Caro incanta Molfetta a teatro
L'attore all'anfiteatro di Ponente
domenica 30 agosto 2020
0.39
Il mondo degli eroi omerici è l'indiscusso protagonista del nuovo appuntamento del cartellone di eventi estivi andati in scena nella cornice dell'Anfiteatro di Ponente di Molfetta: dopo i concerti dell'Orchestra del Teatro Petruzzelli e del M° Danilo Rea, la stagione culturale molfettese si arricchisce della rassegna "Metti un libro a teatro", format prodotto da Ergo sum e ideato da Alessandra Pizzi, che ne cura anche la direzione artistica, con l'intento di creare vari appuntamenti che mirino a costruire un itinerario storico culturale tra i grandi autori del passato, letti ed interpretati da attori.
Dopo aver conosciuto l'opera di Calvino "Se una notte d'inverno un viaggiatore", portata in scena dall'attore Giorgio Marchesi, venerdì 28 agosto è stato il turno dell'attore di origine partenopea Enzo De Caro con "Un'Odissea infinita", spettacolo raffinato sulla figura dell'eroe dal multiforme ingegno, Ulisse appunto. Ad accompagnare l'artista, Francesco Mancarella al pianoforte e Filippo Scrimieri al beat box .
De Caro accompagna quindi la platea nel viaggio celeberrimo di Odisseo, il quale però non è soltanto la tratta di mare che riporta l'eroe vittorioso da Troia alla patria natale di Itaca, da cui era partito venti anni prima: non rincontriamo solamente la turba di mostri, creature marine e divinità più o meno ostili che affollano i ricordi delle lezioni di epica nelle aule scolastiche. Il viaggio, a cui ci indirizza Enzo De Caro, è prima di tutto metaletterario in quanto la figura di Ulisse viene scandagliata attraverso gli artisti che, affascinati dalla figura di questo insaziabile cercatore di conoscenza, ne hanno scritto e cantato nel corso dei secoli, tratteggiandone di volta in volta caratteristiche sempre differenti. Il primo ovviamente a sovvenire alla memoria è Dante Alighieri, per cui Ulisse diventa l'emblematico simbolo dei consiglieri fraudolenti, perito nella sua sfida impossibile contro i limiti posti da Dio nella sua eterna missione di cercatore di "virtute e canoscenza"; ma Ulisse è anche l'incanutito cadavere spiaggiato che Pascoli colloca di nuovo sulle coste di Calipso; o il marinaio che finge di ascoltare un altrimenti silente canto delle sirene, come immagina Kafka; o il cantore del dolente ritorno a casa nell' "Itaca" di Lucio Dalla; o il protagonista dei testi di Guccini, o di Kavafis, o di Saba, fino al nostro Caparezza che immagina una Penelope che chiede ad Ulisse di portarla per mare assieme a lui. Difficile anche non pensare che il "naufragar m'è dolce in questo mare" di Leopardi non abbia avuto come ideale referente l'eroe omerico: questo perché il viaggio di Ulisse non è solamente uno spostamento tra due punti collocati in uno spazio diverso, ma è la più antica metafora della vita umana, tesa al raggiungimento della vetta più elevata cui ci abbia potuto sospingere il talento e la capacità.
"Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi", ha commentato sul finale Enzo De Caro citando Bertol Brecht, raccontando della genesi di questo spettacolo, nato in quel clima sospeso che è stato il lockdown della primavera scorsa dove, a fronte dell'avanzare della pandemia di Covid 19, il termine "eroi" veniva impiegato in modo continuo ed assiduo per descrivere i medici e gli operatori sanitari impegnati in quello che era un vero e proprio campo di battaglia.
È a loro che Enzo De Caro e Alessandra Pizzi dedicano idealmente lo spettacolo con il monito però che, al giorno d'oggi, chiamiamo eroi coloro che siano invece naturalmente provvisti delle caratteristiche di empatia ed altruismo che, in realtà, non sono null'altro che la cifra straordinariamente normale dell'essere umano.
Non eroi quindi, ma uomini che, come Ulisse ben tredici secoli fa, partono da casa, affrontano le metamorfosi che li conducono al meglio di sé e poi a casa ritornano.
Dopo aver conosciuto l'opera di Calvino "Se una notte d'inverno un viaggiatore", portata in scena dall'attore Giorgio Marchesi, venerdì 28 agosto è stato il turno dell'attore di origine partenopea Enzo De Caro con "Un'Odissea infinita", spettacolo raffinato sulla figura dell'eroe dal multiforme ingegno, Ulisse appunto. Ad accompagnare l'artista, Francesco Mancarella al pianoforte e Filippo Scrimieri al beat box .
De Caro accompagna quindi la platea nel viaggio celeberrimo di Odisseo, il quale però non è soltanto la tratta di mare che riporta l'eroe vittorioso da Troia alla patria natale di Itaca, da cui era partito venti anni prima: non rincontriamo solamente la turba di mostri, creature marine e divinità più o meno ostili che affollano i ricordi delle lezioni di epica nelle aule scolastiche. Il viaggio, a cui ci indirizza Enzo De Caro, è prima di tutto metaletterario in quanto la figura di Ulisse viene scandagliata attraverso gli artisti che, affascinati dalla figura di questo insaziabile cercatore di conoscenza, ne hanno scritto e cantato nel corso dei secoli, tratteggiandone di volta in volta caratteristiche sempre differenti. Il primo ovviamente a sovvenire alla memoria è Dante Alighieri, per cui Ulisse diventa l'emblematico simbolo dei consiglieri fraudolenti, perito nella sua sfida impossibile contro i limiti posti da Dio nella sua eterna missione di cercatore di "virtute e canoscenza"; ma Ulisse è anche l'incanutito cadavere spiaggiato che Pascoli colloca di nuovo sulle coste di Calipso; o il marinaio che finge di ascoltare un altrimenti silente canto delle sirene, come immagina Kafka; o il cantore del dolente ritorno a casa nell' "Itaca" di Lucio Dalla; o il protagonista dei testi di Guccini, o di Kavafis, o di Saba, fino al nostro Caparezza che immagina una Penelope che chiede ad Ulisse di portarla per mare assieme a lui. Difficile anche non pensare che il "naufragar m'è dolce in questo mare" di Leopardi non abbia avuto come ideale referente l'eroe omerico: questo perché il viaggio di Ulisse non è solamente uno spostamento tra due punti collocati in uno spazio diverso, ma è la più antica metafora della vita umana, tesa al raggiungimento della vetta più elevata cui ci abbia potuto sospingere il talento e la capacità.
"Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi", ha commentato sul finale Enzo De Caro citando Bertol Brecht, raccontando della genesi di questo spettacolo, nato in quel clima sospeso che è stato il lockdown della primavera scorsa dove, a fronte dell'avanzare della pandemia di Covid 19, il termine "eroi" veniva impiegato in modo continuo ed assiduo per descrivere i medici e gli operatori sanitari impegnati in quello che era un vero e proprio campo di battaglia.
È a loro che Enzo De Caro e Alessandra Pizzi dedicano idealmente lo spettacolo con il monito però che, al giorno d'oggi, chiamiamo eroi coloro che siano invece naturalmente provvisti delle caratteristiche di empatia ed altruismo che, in realtà, non sono null'altro che la cifra straordinariamente normale dell'essere umano.
Non eroi quindi, ma uomini che, come Ulisse ben tredici secoli fa, partono da casa, affrontano le metamorfosi che li conducono al meglio di sé e poi a casa ritornano.