Da Molfetta un creativo a tutto tondo con l'hobby della comicità: Sergio Spaccavento
Vincitore del XX Premio Azzarita, ripercorre la sua carriera tra passato, presente e futuro
giovedì 11 aprile 2024
Pubblicitario, umorista, autore televisivo, radiofonico e cinematografico, nonché formatore universitario e conferenziere internazionale, in una parola: creativo. Molfettese di origine e milanese di adozione, Sergio Spaccavento conta oltre vent'anni di carriera e si prepara a ritirare il Premio Leonardo Azzarita, che giunge a celebrazione di un brillante percorso professionale, scandito da importanti collaborazioni, successi e riconoscimenti.
Sei un pubblicitario, un autore e un docente, cosa ti piace fare di più?
«Tutto e niente. Nel senso, mi reputo più uno studioso della creatività e alternare quotidianamente le professioni mi rende più felice e libero. Certo, la verticalità su una disciplina grazie all'accumulo dell'esperienza ti fa avvicinare alla perfezione, però a volte può essere anche una gabbia dorata, in quanto la creatività è frutto della contaminazione e necessita di punti di vista originali che violano i flussi automatizzati o esplicitamente logici. Per fortuna le mie professioni vertono tutte sullo stesso insieme, a cambiare sono gli obiettivi: vendere e/o intrattenere, o divulgare».
Sei un autore prettamente umoristico, con quali comici hai collaborato nella tua carriera?
«In primis Maccio Capatonda, poi Herbert Ballerina, Nino Frassica, Emilio Gatto e altri che non vogliono assolutamente che si sappia, e viceversa».
Quali le collaborazioni decisamente memorabili?
«Tutte da ricordare e qualcuna da dimenticare, comunque sia ogni esperienza è stata formativa per differenti motivazioni. Lo Zoo di 105 mi ha insegnato l'utilizzo sistematico delle chiavi comiche, la struttura dei format e soprattutto la professionalità richiesta dal numero elevato di produzioni. Il cinema (Italiano medio e Omicidio all'italiana) mi hanno insegnato l'importanza dello storytelling più che della singola gag, dandomi la possibilità di seguire con più onestà intellettuale l'urgenza artistico-creativa. Invece, il lavoro quotidiano nella pubblicità mi ha reso concreto grazie alla scienza che c'è dietro e mi ha fatto focalizzare sull'importanza del messaggio specifico inserito in una storia, tutt'altro che semplice. La complessità sta nel fatto che devi interessare qualcuno che di base non vuole essere interrotto nella fruizione di un'opera, o semplicemente nella propria vita».
Quanto l'umorismo contribuisce alla creazione di contenuti virali?
«La viralità - ovvero la propensione a condividere spontaneamente dei contenuti sui social, anche se firmato da un brand - si basa su dei pilastri ancestrali: meraviglia, sesso, violenza e umorismo. Oggi più che mai, le persone cercano intrattenimento e la comicità è il tono di voce più premiante nei contenuti e nei social contemporanei. Il coinvolgimento è più saldo anche in materia pubblicitaria, come dimostra statisticamente il branded content».
Hai scritto un saggio sulla satira e sul politicamente corretto dal titolo "Che cazzo ridi? - Dialoghi sulla libertà di ridere", si può quindi scherzare su tutto?
«Assolutamente sì, fa parte della libertà di espressione, diffidate da chi dice il contrario a priori. Più che altro bisogna preoccuparsi della censura e del modo cerebroleso di adeguarsi a un pensiero comune buonista. L'importante è prima di tutto far ridere per davvero, poi avere buon gusto, capire il contesto e allenare la propria "coscienza comica" che dovrebbe dare il giusto valore a ogni battuta. Il rischio del politicamente corretto è disabituare al pensiero critico, semplificando con superficialità».
Cosa ne pensi della creatività computazionale, considerato che l'intelligenza artificiale non è solo una moda, ma cambierà effettivamente il mondo del lavoro?
«Più che di creatività computazionale parliamo dell'impatto concreto delle Generative AI che stanno effettivamente migliorando le capacità umane di ricerca, stimolo ed esecuzione, ma resterà, si spera ancora per molto, l'uomo il miglior direttore creativo, sia in termini di ideazione che di analisi e scelta. Io uso personalmente ChatGpt e Midjourney e ho velocizzato alcuni passaggi più meccanici, devo solo far attenzione a non cadere mai nell'illusione di potermi accontentare o impigrire».
Come si diventa creativi?
«Si pensa che la creatività sia qualcosa che riguarda solo alcune professioni "artistiche", ma credo che sia una dote basica per risolvere qualsiasi problema, lavorativo e non. Il genere umano è intelligente e creativo. Bisogna solo affinarla e studiarla, sapendo che la creatività senza le regole è solo caos. Inoltre ci vuole sempre un pensiero profondo analitico per poter poi spaziare, distruggere per poi abbracciare il pensiero laterale. Credo che la pubblicità abbia tutti i requisiti di una scienza, come l'umorismo sia pura matematica».
Sei originario di Molfetta, quanto sei legato al territorio?
«Vivo a Milano da oltre vent'anni, ma il mio paese di origine non è mai caduto nel dimenticatoio, mi manca il mare, la campagna, il gelato dell'Ice Cream, la focaccia, la Settimana Santa, la famiglia, gli amici. È fondamentale non dimenticare mai da dove si viene, ma ai miei tempi per lavorare in questo settore l'unica maniera era emigrare. Per questo l'aver vinto il premio Leonardo Azzarita, proprio nella mia città, mi rende doppiamente orgoglioso».
Sergio Spaccavento ritirerà il Premio Azzarita durante la cerimonia della ventesima edizione, che si terrà sabato 11 maggio nell'aula magna del Seminario Regionale "Pio XI", a partire dalle ore 18.30.
Sei un pubblicitario, un autore e un docente, cosa ti piace fare di più?
«Tutto e niente. Nel senso, mi reputo più uno studioso della creatività e alternare quotidianamente le professioni mi rende più felice e libero. Certo, la verticalità su una disciplina grazie all'accumulo dell'esperienza ti fa avvicinare alla perfezione, però a volte può essere anche una gabbia dorata, in quanto la creatività è frutto della contaminazione e necessita di punti di vista originali che violano i flussi automatizzati o esplicitamente logici. Per fortuna le mie professioni vertono tutte sullo stesso insieme, a cambiare sono gli obiettivi: vendere e/o intrattenere, o divulgare».
Sei un autore prettamente umoristico, con quali comici hai collaborato nella tua carriera?
«In primis Maccio Capatonda, poi Herbert Ballerina, Nino Frassica, Emilio Gatto e altri che non vogliono assolutamente che si sappia, e viceversa».
Quali le collaborazioni decisamente memorabili?
«Tutte da ricordare e qualcuna da dimenticare, comunque sia ogni esperienza è stata formativa per differenti motivazioni. Lo Zoo di 105 mi ha insegnato l'utilizzo sistematico delle chiavi comiche, la struttura dei format e soprattutto la professionalità richiesta dal numero elevato di produzioni. Il cinema (Italiano medio e Omicidio all'italiana) mi hanno insegnato l'importanza dello storytelling più che della singola gag, dandomi la possibilità di seguire con più onestà intellettuale l'urgenza artistico-creativa. Invece, il lavoro quotidiano nella pubblicità mi ha reso concreto grazie alla scienza che c'è dietro e mi ha fatto focalizzare sull'importanza del messaggio specifico inserito in una storia, tutt'altro che semplice. La complessità sta nel fatto che devi interessare qualcuno che di base non vuole essere interrotto nella fruizione di un'opera, o semplicemente nella propria vita».
Quanto l'umorismo contribuisce alla creazione di contenuti virali?
«La viralità - ovvero la propensione a condividere spontaneamente dei contenuti sui social, anche se firmato da un brand - si basa su dei pilastri ancestrali: meraviglia, sesso, violenza e umorismo. Oggi più che mai, le persone cercano intrattenimento e la comicità è il tono di voce più premiante nei contenuti e nei social contemporanei. Il coinvolgimento è più saldo anche in materia pubblicitaria, come dimostra statisticamente il branded content».
Hai scritto un saggio sulla satira e sul politicamente corretto dal titolo "Che cazzo ridi? - Dialoghi sulla libertà di ridere", si può quindi scherzare su tutto?
«Assolutamente sì, fa parte della libertà di espressione, diffidate da chi dice il contrario a priori. Più che altro bisogna preoccuparsi della censura e del modo cerebroleso di adeguarsi a un pensiero comune buonista. L'importante è prima di tutto far ridere per davvero, poi avere buon gusto, capire il contesto e allenare la propria "coscienza comica" che dovrebbe dare il giusto valore a ogni battuta. Il rischio del politicamente corretto è disabituare al pensiero critico, semplificando con superficialità».
Cosa ne pensi della creatività computazionale, considerato che l'intelligenza artificiale non è solo una moda, ma cambierà effettivamente il mondo del lavoro?
«Più che di creatività computazionale parliamo dell'impatto concreto delle Generative AI che stanno effettivamente migliorando le capacità umane di ricerca, stimolo ed esecuzione, ma resterà, si spera ancora per molto, l'uomo il miglior direttore creativo, sia in termini di ideazione che di analisi e scelta. Io uso personalmente ChatGpt e Midjourney e ho velocizzato alcuni passaggi più meccanici, devo solo far attenzione a non cadere mai nell'illusione di potermi accontentare o impigrire».
Come si diventa creativi?
«Si pensa che la creatività sia qualcosa che riguarda solo alcune professioni "artistiche", ma credo che sia una dote basica per risolvere qualsiasi problema, lavorativo e non. Il genere umano è intelligente e creativo. Bisogna solo affinarla e studiarla, sapendo che la creatività senza le regole è solo caos. Inoltre ci vuole sempre un pensiero profondo analitico per poter poi spaziare, distruggere per poi abbracciare il pensiero laterale. Credo che la pubblicità abbia tutti i requisiti di una scienza, come l'umorismo sia pura matematica».
Sei originario di Molfetta, quanto sei legato al territorio?
«Vivo a Milano da oltre vent'anni, ma il mio paese di origine non è mai caduto nel dimenticatoio, mi manca il mare, la campagna, il gelato dell'Ice Cream, la focaccia, la Settimana Santa, la famiglia, gli amici. È fondamentale non dimenticare mai da dove si viene, ma ai miei tempi per lavorare in questo settore l'unica maniera era emigrare. Per questo l'aver vinto il premio Leonardo Azzarita, proprio nella mia città, mi rende doppiamente orgoglioso».
Sergio Spaccavento ritirerà il Premio Azzarita durante la cerimonia della ventesima edizione, che si terrà sabato 11 maggio nell'aula magna del Seminario Regionale "Pio XI", a partire dalle ore 18.30.