Ctenofori nelle acque di Molfetta. Il WWF: «Sono del tutto innocui»
La rassicurazione per i bagnanti: «Nessun pericolo con il contatto»
lunedì 29 luglio 2024
10.20
Nelle acque della costa di Molfetta, in particolare all'altezza della Prima Cala e di Torre Gavetone, si sta registrando la massiccia presenza di ctenofori, piccole creature marine che erroneamente vengono associate a meduse ma che in realtà non hanno nulla a che vedere con loro: alcune notizie circolanti sul web hanno diffuso gli ormai consueti allarmismi che il centro WWF cittadino ha voluto smentire.
A spiegare il fenomeno è stato Pasquale Salvemini, referente del WWF: «La recente massiccia invasione a Molfetta da parte dello ctenoforo Mnemiopsis leidyi, una specie nota come noce di mare, la cui esplosione è iniziata nel 2014, è connessa all'aumento della temperatura delle acque. Gli ctenofori sono organismi trasparenti, come meduse, che però hanno bande di ciglia mobili in diverse parti del corpo, utilizzate per la cattura dello zooplancton, di cui si nutrono, e per il movimento. Un aspetto interessante è che a differenza delle meduse, gli ctenofori non possiedono cellule urticanti, quindi non pungono, né costituiscono un pericolo per le persone che dovessero incontrarli in acqua o a riva».
L'aumento incontrollato della popolazione può al massimo avere un impatto negativo sulla consistenza delle popolazioni ittiche, in quanto si alimentano dello zooplancton di cui si nutrono anche gli stadi larvali dei pesci ossei. Inoltre, per la consistenza gelatinosa, intasano completamente le reti dei pescatori, producendo quindi un problema serio per il commercio ittico dell'area. La costa adriatica è un ambiente in forte cambiamento, soggetto a un intenso traffico navale, tipico vettore d'introduzione di specie aliene e numerose altre attività umane ed è quindi particolarmente colpita dalle specie invasive.
Come sottolinea Salvemini, gli individui che in questi giorni affollano la costa molfettese sono adulti di Mnemiopsis leidyi, specie originaria delle acque marine costiere e di estuario dell'Atlantico occidentale che nell'ultimo trentennio si è diffusa, grazie alle acque di zavorra delle petroliere e di altre grosse navi, nel mar Nero e da lì al Caspio (grazie ai fiumi e ai canali navigabili che collegano i due mari) e in diversi punti del Mediterraneo (tra cui il Golfo di Trieste) e in tempi più recenti pure nel mare del Nord e nel Baltico. In alcuni casi la diffusione della specie potrebbe però essere dovuta a trasporto tramite correnti marine.
A spiegare il fenomeno è stato Pasquale Salvemini, referente del WWF: «La recente massiccia invasione a Molfetta da parte dello ctenoforo Mnemiopsis leidyi, una specie nota come noce di mare, la cui esplosione è iniziata nel 2014, è connessa all'aumento della temperatura delle acque. Gli ctenofori sono organismi trasparenti, come meduse, che però hanno bande di ciglia mobili in diverse parti del corpo, utilizzate per la cattura dello zooplancton, di cui si nutrono, e per il movimento. Un aspetto interessante è che a differenza delle meduse, gli ctenofori non possiedono cellule urticanti, quindi non pungono, né costituiscono un pericolo per le persone che dovessero incontrarli in acqua o a riva».
L'aumento incontrollato della popolazione può al massimo avere un impatto negativo sulla consistenza delle popolazioni ittiche, in quanto si alimentano dello zooplancton di cui si nutrono anche gli stadi larvali dei pesci ossei. Inoltre, per la consistenza gelatinosa, intasano completamente le reti dei pescatori, producendo quindi un problema serio per il commercio ittico dell'area. La costa adriatica è un ambiente in forte cambiamento, soggetto a un intenso traffico navale, tipico vettore d'introduzione di specie aliene e numerose altre attività umane ed è quindi particolarmente colpita dalle specie invasive.
Come sottolinea Salvemini, gli individui che in questi giorni affollano la costa molfettese sono adulti di Mnemiopsis leidyi, specie originaria delle acque marine costiere e di estuario dell'Atlantico occidentale che nell'ultimo trentennio si è diffusa, grazie alle acque di zavorra delle petroliere e di altre grosse navi, nel mar Nero e da lì al Caspio (grazie ai fiumi e ai canali navigabili che collegano i due mari) e in diversi punti del Mediterraneo (tra cui il Golfo di Trieste) e in tempi più recenti pure nel mare del Nord e nel Baltico. In alcuni casi la diffusione della specie potrebbe però essere dovuta a trasporto tramite correnti marine.