«Criminalità appetitosa per i ragazzi». L'allarme del procuratore Giannella

Il coordinatore dell'Antimafia di Bari ospite ieri all'incontro promosso dal presidio Libera di Molfetta

sabato 9 novembre 2024 11.23
A cura di Nicola Miccione
«La criminalità organizzata è appetitosa per i ragazzi perché dà loro una identità di gruppo, concede una sorta di protezione e soprattutto l'idea di fare guadagni facili», fra cui quelli derivanti dallo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti, «la base su cui si fonda il 90% del potere criminale delle organizzazioni mafiose».

Lo ha detto, ieri sera in una affollata sala Finocchiaro, a Molfetta, Francesco Giannella, procuratore aggiunto e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, nel corso dell'incontro pubblico dal titolo "Io appartengo... Giovani e criminalità", organizzato dal presidio Libera intitolato a Gianni Carnicella. «Un titolo - ha detto la moderatrice Paola de Pinto - che trae spunto da un modo di dire molto diffuso fra i giovani per indicare l'appartenenza ad alcune famiglie criminali».

«Appartenere a qualcuno significa essere qualcuno. Ma questo modello l'abbiamo prospettato noi, insegnando ai ragazzi dei modelli educativi che sono opposti rispetto a quelli che noi desideremmo avere», ha detto Giannella. Il magistrato ha citato un breve passaggio di una recente intervista di Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, secondo cui «i genitori di questi 12enni hanno 40-45 anni e sono i peggiori perché sono cresciuti con l'idea che mettere limiti è una cosa riprovevole».

In una città, Molfetta, ancora scossa da due efferati delitti in un appena un anno (Dario De Gennaro, il 23enne ucciso a coltellate il 16 febbraio scorso, e Antonella Lopez, di soli 19 anni, vittima innocente della sparatoria avvenuta tra il 28 ed il 29 settembre scorso), «la criminalità organizzata, in un territorio come questo - ha continuato Giannella - è appetitosa per i ragazzi perché dà loro un'identità di gruppo, concede una sorta di protezione e soprattutto l'idea di far guadagni facili».

Secondo le ultime «rilevanze investigative», infatti, «un piccolo pusher può arrivare a guadagnare 10mila euro a settimana». Secondo Giannella, che ha diretto le indagini sull'omicidio avvenuto al Bahia Beach, «la droga è un tema molto sdoganato, ma è la base su cui si fonda il 90% del potere criminale delle organizzazioni mafiose: i guadagni si fondano sullo spaccio di stupefacenti». E la criminalità interviene sui bisogni viziosi della gente: «Prima c'erano le bische, oggi la droga».

Per Giannella, dunque, «il focus è questo, ma poi ci sono le carenze educative», in primis gli istituti di pena. «Per essere qualcuno - ha proseguito - devi andare in carcere, dove ci sono le cerimonie di affiliazione, le scalate delle gerarchie, si continuano a gestire i traffici e i delitti, circola droga e i cellulari con cui i malavitosi mandano dei messaggi. Ma non è una novità. Le carceri sono le palestre di malavita. Non è una soluzione, ma è un momento di isolamento dal contesto civile».

All'incontro ha partecipato anche Raffaele Diomede, educatore, tra i maggiori esperti di devianza minorile di Bari e per un piccolo periodo assessore con delega alla Legalità, che si è soffermato sul delitto di Molfetta, avendo conosciuto il presunto omicida, Michele Lavopa: «L'avevo incontrato poco prima e mi colpì il suo senso di smarrimento. Era diventato maggiorenne - ha raccontato -, ma non aveva alcuna prospettiva. Ho conosciuto anche Lopez, che abitava a San Girolamo».

I due ragazzi «si conoscevano, da bambini giocavano insieme, vittima e carnefice», ha aggiunto Diomede, impegnato coi ragazzi baresi in un percorso di legalità e contrasto alle devianze. «I rampolli dei clan, pure a Molfetta, utilizzano i TikTok fra privé nelle discoteche, bottiglie di Dom Pérignon e soldi per far assaporare il profumo del lusso. È un bisogno studiato: ogni essere umano ha bisogno di un riconoscimento». Video per documentare le loro attività e inviare dei messaggi.

L'incontro è stato anche una valida occasione per riflettere con i cittadini e le cittadine sul rapporto tra giovani e criminalità e sul fascino che drammaticamente la malavita esercita sulle giovani generazioni. Di qui l'appello di don Angelo Cassano, parroco della parrocchia San Carlo Borromeo di Bari e referente di Libera in Puglia: «Se vogliamo far qualcosa per i giovani, iniziamo a cambiare noi. Ci preoccupiamo dei giovani - ha detto ancora -, ma non ci occupiamo affatto di loro».

«In quella discoteca - ha concluso il sacerdote riferendosi all'omicidio del Bahia Beach - non c'era solo i rampolli dei clan, c'erano anche i ragazzi della buona borghesia». Infine, sulle politiche sociali, «il problema - ha detto rivolgendosi al sindaco Tommaso Minervini - è che a volte i piani vengono decisi a tavolino. Interroghiamoci a vicenda».