Confiscati beni per oltre 4 milioni di euro al defunto boss Alfredo Fiore
Il provvedimento emesso dal Tribunale di Bari riguarda due attività economiche e vari rapporti finanziari
mercoledì 7 febbraio 2018
15.42
I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Bari hanno sottoposto a confisca due fiorenti attività economiche intestate agli eredi del defunto boss di Molfetta Alfredo Fiore: un avviato e molto frequentato bar ubicato sul lungomare di Molfetta e l'impresa attiva nel commercio di prodotti ortofrutticoli, presso la quale il malavitoso fu assassinato il 13 marzo 2014, oltre a vari rapporti finanziari, per un valore complessivo di circa 4,2 milioni di euro.
Il provvedimento di confisca è stato emesso dal Tribunale di Bari – III Sezione Penale in funzione di Tribunale per la Prevenzione (presidente dott.ssa Francesca La Malfa, giudici dott. Giuseppe Battista e dott. Michele De Palma), su proposta del Procuratore della Repubblica di Bari, in applicazione della normativa antimafia contenuta nel decreto legislativo n. 159/2011.
Si tratta, in realtà del primo caso di applicazione a Bari, di una misura di prevenzione disposta nei confronti degli eredi del soggetto socialmente pericoloso, entro il termine di cinque anni dal decesso. Il fine della norma è proprio quello di sottrarre definitivamente i beni che erano nella disponibilità del soggetto socialmente pericoloso per inserirli nel circuito economico lecito.
Sulla pericolosità sociale di Alfredo Fiore si era già espressa l'Autorità Giudiziaria con l'emissione nel 1995 della misura della sorveglianza speciale.
Il curriculum del boss defunto è di tutto rispetto, annoverando una serie lunghissima di precedenti penali e di polizia, fino ad arrivare all'ultimo episodio, prima del suo assassinio, quando fu ritenuto responsabile di un attentato dinamitardo posto in essere nella notte del 1 gennaio 2014 a danno di un esercizio commerciale di Molfetta.
Lo spessore criminale di Alfredo Fiore e la sua perseveranza nel commettere delitti di particolare allarme sociale, consentono di ritenere senza dubbio alcuno che lo stesso, sino alla data del suo omicidio, abbia largamente beneficiato dei proventi delle attività delittuose. Le indagini hanno permesso di verificare l'assoluta sproporzione tra i beni nella disponibilità del pregiudicato defunto e la capacità economica del suo nucleo familiare.
Nello specifico, gli accertamenti hanno evidenziato una sperequazione elevata tra i redditi dichiarati ed investimenti sostenuti, nel periodo oggetto d'investigazione.
Il provvedimento di confisca è stato emesso dal Tribunale di Bari – III Sezione Penale in funzione di Tribunale per la Prevenzione (presidente dott.ssa Francesca La Malfa, giudici dott. Giuseppe Battista e dott. Michele De Palma), su proposta del Procuratore della Repubblica di Bari, in applicazione della normativa antimafia contenuta nel decreto legislativo n. 159/2011.
Si tratta, in realtà del primo caso di applicazione a Bari, di una misura di prevenzione disposta nei confronti degli eredi del soggetto socialmente pericoloso, entro il termine di cinque anni dal decesso. Il fine della norma è proprio quello di sottrarre definitivamente i beni che erano nella disponibilità del soggetto socialmente pericoloso per inserirli nel circuito economico lecito.
Sulla pericolosità sociale di Alfredo Fiore si era già espressa l'Autorità Giudiziaria con l'emissione nel 1995 della misura della sorveglianza speciale.
Il curriculum del boss defunto è di tutto rispetto, annoverando una serie lunghissima di precedenti penali e di polizia, fino ad arrivare all'ultimo episodio, prima del suo assassinio, quando fu ritenuto responsabile di un attentato dinamitardo posto in essere nella notte del 1 gennaio 2014 a danno di un esercizio commerciale di Molfetta.
Lo spessore criminale di Alfredo Fiore e la sua perseveranza nel commettere delitti di particolare allarme sociale, consentono di ritenere senza dubbio alcuno che lo stesso, sino alla data del suo omicidio, abbia largamente beneficiato dei proventi delle attività delittuose. Le indagini hanno permesso di verificare l'assoluta sproporzione tra i beni nella disponibilità del pregiudicato defunto e la capacità economica del suo nucleo familiare.
Nello specifico, gli accertamenti hanno evidenziato una sperequazione elevata tra i redditi dichiarati ed investimenti sostenuti, nel periodo oggetto d'investigazione.